Prof. Michetti contro il Ddl Zan: «Discrimina il popolo! Andatevi a leggere la Costituzione: lì c’è già scritto tutto»

Condividi su...

Il dibattito intorno al DDL S. 2005 in esame al Senato, assurto alle cronache con l’appellativo di Ddl Zan dal nome del suo relatore. Alessandro Zan, nato a Padova il 4 ottobre 1973 è un politico ed esponente della comunità LGBTQI+ ed è noto soprattutto per aver promosso ed ottenuto il primo registro anagrafico italiano delle coppie di fatto, aperto anche alle coppie omosessuali. Poi, per essere il relatore del Disegno di legge “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”.

Dopo aver incassato il 4 novembre 2020 – nella sostanziale distrazione del Paese, preso con ben più urgenti problemi, a causa dell’emergenza sanitaria – l’approvazione in prima lettura dalla Camera dei deputati, il progetto è rimasto fino a oggi impantanato nella Commissione Giustizia del Senato. Poi, lo scossone è arrivato con la Nota verbale della Santa Sede al Governo italiano, che invece di dialogo ha ottenuto una alzata del muro e rifiuto di ogni dialogo o mediazione: “Senatori approvino la legge così com’è” (Zan) e “Ddl Zan deve essere approvato così com’è” (Letta).

Quello che da tempo viene contestato – e non soltanto nell’ambiente cattolico – tra altre criticità, è l’impianto di discriminazione e disuguaglianze che si verrebbe a creare proprio nell’intento di porre rimedio nei confronti di discriminazioni e disuguaglianze. «Se il sopruso, la violenza è la medesima per entrambi i sessi – si è chiesto in diretta a Un giorno speciale su Radio Radio oggi, 27 giugno, il Prof. Enrico Michetti – perché uno deve avere una tutela rafforzata e l’altro deve avere una tutela minorata dinanzi al medesimo sopruso?».

Ai microfoni di Fabio Duranti e Francesco Vergovich, l’avvocato amministrativista Enrico Michetti, professore di diritto amministrativo e direttore di Gazzetta amministrativa, nonché candidato a Sindaco di Roma, ha fornito una chiave di lettura prendendo spunto dalla Costituzione. Nella Carta costituzionale infatti c’è già un articolo, il terzo, che nella prima parte fa riferimento al principio di inclusione e antirazzismo: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».

«Chi è Enrico Michetti, il “Tribuno della Radio” che FdI vuole sindaco a Roma. Su Radio Radio spazia tra pop e dottrina, con venature negazioniste sul Covid. “Lusingato, accetterei”. Ma Lega e FI sono scettici. Sintonizzarsi sulle onde di Radio Radio e non riconoscerlo è impossibile. È una piccola grande star della conversazione radiofonica della Capitale, una sorta di The Voice che commenta tutto lo scibile e soprattutto interviene sui temi, le gioie e i dolori del vivere a Roma e dell’amministrare questa città. Radio Radio è l’emittente romana da cui risuona la sua voce in pillole quotidiane. Ha il suo pubblico, che pende dal suo microfono e gli manda attestati di fiducia e di fedeltà, come capita ai radiogiornalisti sportivi ma lui non lo è (“Adoro la politica”, dice) e sono in tanti nel suo mondo che già lo vedono al Campidoglio, seduto sulla poltrona di sindaco. Uno che non si sente un populista ma, a detta di tutti, è capace di unire il registro alto con quello basso, il pop radiofonico con la dottrina accademica, l’indignazione per il cassonetto strabordante e le idee su come riformare la burocrazia capitolina che notoriamente ha bisogno di una rivoluzione urgente. E lui crede di avere passione e competenza per poter cambiare tutto» (Gabriella Cerami – Huffington Post, 21 maggio 2021).

A Un Giorno Speciale su Radio Radio, il Prof. Michetti ha detto: «Io credo che al centro ci sia il sopruso, cioè la violenza. A prescindere dal Ddl Zan, io credo che quando c’è la violenza non possiamo creare delle leggi che se tu appartieni a un genere o a una categoria sociale ricevi una tutela rafforzata. Se tu appartieni all’altra categoria sociale, dinanzi alla medesima violenza e dinanzi al medesimo sopruso, ricevi una tutela minorata. Altrimenti noi facciamo leggi ad personam. La legge deve essere generale e astratta, non deve essere a favore di una categoria. Se il sopruso, la violenza è la medesima: perché uno deve avere una tutela rafforzata e l’altro deve avere una tutela minorata dinanzi al medesimo sopruso? Per me è una questione di merito. La libertà è proporzione, la libertà è il rispetto dell’essere umano in quanto tale. Sotto questo aspetto la Costituzione è qualsiasi di perfetto. Io lo dico sempre, pure ai sindaci: prima di prendere una decisione leggete il testo della Costituzione, là trovate tutte le soluzioni. Prima di prendere una decisione sul Ddl Zan andate a leggere l’articolo 3 della Costituzione».

Costituzione della Repubblica Italiana
Articolo 3


«Tutti i cittadini hanno pari dignità e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».

Che cosa significa? L’Articolo 3 assume il principio di uguaglianza tra tutti i cittadini come un diritto fondamentale. Il principio di uguaglianza è molto radicato nella nostra società, anche se periodicamente episodi di razzismo e di intolleranza sembrano metterlo in discussione. Secondo questo principio gli uomini sono uguali per natura, non nel senso che sono identici come se fossero fotocopie o che devono diventare tale, ma nel senso che hanno gli stessi diritti. Razza, sesso, opinioni politiche ecc. determinano importanti differenze tra i cittadini, ma non tali da rendere alcuni superiori e altri inferiori dal punto di vista dei diritti. Fanno parte delle loro caratteristiche naturali (come il sesso), culturali (come la lingua) o personali (come le opinioni politiche). Conoscere e frequentare persone diverse da noi arricchisce la nostra conoscenza del mondo, aiuta a modificare o a consolidare le nostre opinioni. In una società democratica la diversità non è solo un dato di fatto, ma una caratteristica essenziale, senza la quale la democrazia si trasformerebbe (come è avvenuto in passato) in un regime.

L’Articolo 3 si divide in due parti, che definiscono due diversi concetti: quello di uguaglianza formale e quello di uguaglianza sostanziale. Quindi, oltre che dal punto di vista del diritto, l’Articolo 3 sancisce l’uguaglianza di fatto dei cittadini e affida allo Stato il compito di crearne le condizioni.

Il primo comma sancisce l’uguaglianza formale, cioè. l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, per esempio che un cittadino sia cattolico, ebreo, musulmano o ateo, per la legge non cambia nulla e i suoi diritti restano i medesimi. Vengono indicate chiaramente le caratteristiche che erano o sono tuttora alla base della maggior parte delle discriminazioni (e che non sono comunque esaustive, concordano i costituzionalisti): basti pensare al fatto che le donne per secoli non hanno avuto gli stessi diritti degli uomini. Qui parliamo di pari opportunità, in inglese equal opportunity, un principio giuridico inteso come l’assenza di ostacoli alla partecipazione economica, politica e sociale di un qualsiasi individuo per ragioni connesse al genere, religione e convinzioni personali, razza e origine etnica, disabilità, età, orientamento sessuale o politico. L’interpretazione costituzionale, però, è concorde nel ritenere che l’articolo non escluda la possibilità di discipline differenziate della legge: si pensi agli stessi articoli della Costituzione che proteggono le minoranze linguistiche. Il passaggio riguardo alla dignità sociale, spiega la Treccani, stabilisce invece che non possono esserci distinzioni che abbiano una rilevanza sociale se non quelle basate sulla capacità e sul merito dell’individuo.

Il secondo comma assegna allo Stato il compito di favorire l’uguaglianza sostanziale, ossia l’uguaglianza effettiva: la povertà, la provenienza da un ambiente degradato, la scarsa istruzione ecc. sono fattori che possono determinare tra i cittadini una disuguaglianza tale da impedire l’esercizio dei diritti fondamentali. Prevede cioè che lo Stato si impegni attivamente dal punto di vista politico, economico e sociale per eliminare queste discriminazioni. In questo senso, però, i trattamenti differenziati – azione positiva, in inglese affermative action, o discriminazione positiva, uno strumento politico che mira a promuovere la partecipazione di persone con certe identità etniche, di genere, sessuali e sociali in contesti in cui sono minoritarie e/o sottorappresentate – sono permessi solo quando servono a evitare situazioni penalizzanti per certe categorie di cittadini. Si possono insomma applicare trattamenti differenziati quando sarebbe la loro non applicazione a determinare delle discriminazioni. La seconda comma parla di «pieno sviluppo della persona umana», che ricorda un po’ la famosa formula della «ricerca della felicità» contenuta nella Dichiarazione d’indipendenza americana, che prescrive l’obbligo per lo Stato di impegnarsi perché tutti i suoi cittadini abbiano la possibilità di realizzare le proprie aspirazioni.

Free Webcam Girls
151.11.48.50