Nella memoria del Genocidio Armeno

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La notte del 24 aprile 1915 iniziava il sistematico sterminio del popolo armeno nei territori dell’Impero ottomano. L’obiettivo dei Giovani Turchi, organizzazione nazionalista nata all’inizio del XX secolo, era quello di creare uno stato nazionale turco, sul modello dei nuovi paesi europei nati nell’Ottocento. Gli armeni, cristiani ed indoeuropei, erano l’ostacolo più evidente da eliminare per portare a termine il sogno nazionalista di un immenso territorio che dal Mediterraneo arrivasse fino allo Xinjiang cinese. Il primo passo era la nascita di un nuovo Paese abitato soltanto da turchi. Le popolazioni cristiane, che per secoli si erano organizzate in diversi millet (le comunità religiose e nazionali) dovevano sparire dal territorio. La definizione ‘Stato nazionale’ prevedeva un paese linguisticamente e culturalmente omogeneo, con una popolazione composta in larga misura da un unico gruppo etnico e dove le altre popolazioni si limitano a piccole minoranze. L’idea dei Giovani Turchi era quella di conseguire con la forza le condizioni che la storia non aveva realizzato. A quasi un secolo di distanza, il governo turco ancora non riconosce il genocidio. Nonostante questo, turchi e armeni non rinunciano al dialogo, come testimonia l’evento svoltosi dal 21 al 24 aprile, che ha coinvolto, oltre a diversi gruppi e media turchi, anche la Hrant Dink Foundation e gli editori di Agos, la rivista fondata dal giornalista assassinato nel 2007, Hrant Dink.

 

Gli armeni erano stati i primi a dichiarare il Cristianesimo religione ufficiale del proprio Paese, nell’anno 301. Secondo la tradizione la fondazione della Chiesa armena viene fatta risalire a Taddeo e Bartolomeo (due apostoli di Gesù), ma fu solo all’inizio del IV secolo che San Gregorio Illuminatore battezzò il re armeno Tiridate III. Da allora il Cristianesimo è diventato il pilastro dell’identità armena. Religione e cultura furono i segni distintivi degli armeni, per secoli sotto dominazioni straniere. In ogni casa, anche la più povera, non mancano mai i libri e nelle biblioteche è possibile scovare antichi volumi a forma di bottiglia per nasconderli meglio dal furore distruttivo degli invasori e preservare la propria storia e il proprio futuro. Prima di convertirsi al Vangelo, Tiridate aveva fatto rinchiudere san Gregorio in un pozzo sul quale sorge il monastero di Khor Virap, dal quale è possibile ammirare il Monte Ararat, simbolo dell’Armenia. Oggi gran parte dell’Armenia storica si trova in territorio turco. In primo luogo per via del genocidio che annientò le vite di un milione e mezzo di armeni; infatti nel 1923 gli Stati occidentali firmarono a Losanna un nuovo trattato che annullava quello di Sévres del 1920, che avrebbe dovuto dare vita a un’Armenia indipendente nel territorio dell’Armenia storica, secondo quanto voluto dal presidente americano Woodrow Wilson. Agli armeni non rimase dunque che una piccola porzione di territorio, la Repubblica democratica armena che, entrata a far parte dell’Unione Sovietica all’inizio degli anni ‘20, ritroverà l’indipendenza solo nel 1991. Nell’Armenia occidentale restarono solo chiese diroccate, monasteri deserti, villaggi abbandonati. La cattedrale di Akhtamar, importantissimo centro della cristianità armena su un’isola del lago di Van, è stata trasformata pochi anni fa in un museo dal governo turco. I nomi stessi di quei luoghi sono monumenti dolorosi di un mondo distrutto dall’odio nazionalista che continua sistematicamente a negare le proprie responsabilità. Agopik Manoukian, Presidente onorario dell’Unione Armeni d’Italia, ha ricordato gli strumenti per mantenere vivo il ricordo del genocidio del popolo armeno: “Il ricordo sic et simpliciter non cambia le cose. Potrei citare Gramsci, il quale diceva che la storia è un’ottima maestra, senza scolari. Se non c’è un processo di elaborazione più profondo sulle cause del genocidio e sul fatto che siamo tutti implicati nel produrre storie complesse e ambivalenti, se non accettiamo che vi siano quindi zone grigie dentro le società e dentro di noi, se non ci si occupa del passato in un modo che possiamo dire ‘elaborativo’, e si resta imprigionati entro le pressioni della rivendicazione, allora non vedo grandi progressi. Anche per quanto riguarda la acculturazione e la socializzazione delle nuove generazioni credo ci sia molto da fare, ma penso anche che vadano individuati e costruiti modi diversi di avvicinare e avvicinarsi a queste vicende e alle problematiche che esse sollevano. Occorre tenere in mente che le lezioni della storia devono servire a guardare avanti. L’arroccarsi rispetto alla questione del genocidio entro un atteggiamento unicamente rivolto a denunciare la persecuzione e la violenza subita, non penso sia efficace. Si tratta di una posizione che rischia di diventare involutiva, nostalgica. Oggi per gli armeni credo sia importante investire per l’evoluzione dell’Armenia attuale, per lo sviluppo di questa società”.

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