Mons. Marconi delinea una Chiesa viva

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“In questo tempo di Chiesa così tribolato ed anche spaventato, la grande tentazione è di contare solo sulle nostre forze e perciò, al massimo, di sperare di sopravvivere al Covid19. Una speranza così piccola però potrebbe ammalare non solo i singoli, ma anche la nostra intera Chiesa diocesana”: così inizia la nuova lettera pastorale di mons. Nazareno Marconi, vescovo di Macerata, intitolata ‘Per una Chiesa viva e non sopravvissuta’, incentrata sulla speranza cristiana.

L’invito del vescovo di Macerata è quello di risorgere a ‘vita eterna’; quindi anche la Chiesa ha il compito di essere fedele al Vangelo: “Risorgere dalla pandemia è perciò passare ad una vita di Chiesa rinnovata e più piena, più aderente al Vangelo, più capace di dialogare col mondo di oggi e di essere per tutti una proposta significativa ed attraente di vita buona.

Papa Francesco ha ricordato che da una crisi si può uscire in tanti modi e la cosa peggiore di una crisi è: ‘sprecare l’occasione di uscirne migliori’. Non vorremmo davvero farlo e per questo è giusto ricordare e focalizzare delle cose preziose, che ci sta insegnando questo tempo di lotta e di fatica”.

Per mons. Marconi la pastorale si deve concentrare su tre parole essenziali, quali fede, speranza e carità: “Nei momenti di cambiamento e confusione, come sembra esserlo quello attuale, è saggio concentrarci ancora di più su ciò che è fondamentale, che non cambia nei grandi cambiamenti, che non vacilla quando tante cose crollano”.

Nel racconto marciano dell’incontro con gli scribi “Gesù insegna che il fondamento di ciò che è fondamentale: mettersi in ascolto di Dio che ci parla. Un ascolto profondo ed umile che si apre ad ogni comunicazione con cui il Padre cerca di raggiungere il nostro cuore, la nostra mente, ma anche le nostre forze.

Perché si ascolta Dio quando lo si fa col cuore, con la mente, ma anche con l’esperienza di vivere e dare ascolto alla vita. Quando l’uomo vive, ed impiega tutte le sue forze per trovare il giusto ed il bene, impara facendo, impara vivendo, ascolta tutta la vita che lo circonda ed è anche attraverso la vita che Dio gli parla”.

La diocesi ha intrapreso un percorso per vivere le tre virtù teologali: “Parlare di Evangelizzazione, Preghiera e Testimonianza come i tre obiettivi della Pastorale fondamentale è allargare lo sguardo, pensare un po’ più in grande di quanto fatto finora.

In un tempo difficile, in cui la Chiesa appare a volte spaventata dalla novità, il rischio è di fare come la tartaruga: quando ha paura si ferma e si rinchiude nel suo guscio. Il rischio è di rinchiuderci a pensare subito e solo alle cose che già sappiamo fare”.

Per questo il vescovo invita ad un nuovo modo di evangelizzazione: “E’ tempo perciò di ripensare l’evangelizzazione e non semplicemente la catechesi, rivolta a tutti i livelli sociali e proiettata verso tutte le età della vita.

Così è tempo di riflettere su come rilanciare la preghiera nelle sue tante forme, da quella liturgica a quella personale e meditativa. Infine è ora di valutare in modo nuovo il tema della Testimonianza del Vangelo che la Chiesa offre al mondo, attraverso uno stile di vita nuovo, animato dalla carità in ogni relazione”.

Il metodo pastorale offerto dal vescovo è quello della sinodalità,  che permette di leggere i ‘segni dei tempi’: “Questa visione del legame che tutti ci unisce vale non solo per la salute fisica, ma anche per la salvezza spirituale: non ci si salva da soli, né dal Covid, né dall’ateismo pratico che sembra in crescita.

C’è un brano di John Donne, poeta religioso anglicano di fine ‘500, citato da grandi scrittori di cultura e mentalità molto diverse quali: Thomas Merton ed Ernest Hemingway. E’ tratto da un libro dal titolo molto attuale: ‘Devozioni per situazioni di emergenza’ una raccolta di riflessioni, invocazioni a Dio e preghiere legate al tema della malattia. Merita di rileggerlo perché ci aiuta a capire meglio questo insegnamento importante datoci dalla pandemia…

Quando suona la campana per annunciare la morte di qualcuno, John Donne ci ricorda che suona anche per noi, perché essendo tutti legati nella fraternità umana, è anche un pezzo di noi che è morto, ognuno è più povero perché chi muore è sempre un fratello nella comune umanità.

Nel mio paesello di origine la campana suonava però, con ritmo diverso, anche per annunciare una nascita, o un matrimonio, cioè la nascita di una nuova famiglia. Anche in quel caso ‘la campana suona anche per te’, perché di ogni nascita tutto il mondo si arricchisce ed ogni famiglia è preziosa per tutti”.

Per questo il papa ha scritto l’enciclica ‘Fratelli tutti’: “Quel testo articola il pensiero di una rinnovata cultura della fraternità, dopo almeno due secoli di cultura dell’individualismo giunta fino alle esasperazioni di un certo isolazionismo contemporaneo, che vede nella socialità e nella fraternità solo dannose limitazioni della libertà dell’Ego…

Se la pandemia ci ha fatto riscoprire che la salute è un fatto sociale, tanto che siamo tutti legati sia nel curarci che nel contagiarci, anche la “salute” spirituale nella vita di fede ha una profonda radice sociale, comunionale”.

La fede invade la vita e non può essere solo un atto intimista: “La pandemia ci ha insegnato che la fede per vivere e crescere si deve incarnare in azioni pubbliche, concrete, deve infettare la vita. Questo richiede, come ha più volte ripetuto papa Francesco, di ripensare la vita di fede valorizzando la prossimità, la vicinanza, il contatto uno ad uno, per ricostruire e costruire comunità, incontro, condivisione.

C’è però a questo punto un importante passaggio culturale e di stile da fare. Il nostro pensiero, non soltanto e non soprattutto quello dei preti, è ancora molto clericale. Cioè noi pensiamo la Chiesa e la fede a partire dal prete, la parrocchia a partire dal centro, cioè dalle strutture parrocchiali e dal prete che vi abita.

In una Chiesa italiana in cui il numero dei preti è in calo e le strutture sono collocate nei centri storici sempre più vuoti, dove abitava la gente ormai 200 anni fa, realizzare la prossimità secondo questo schema clericale è davvero difficile, oggi più che mai”.

E’ necessario un nuovo stile di Chiesa: “Questo stile di presenza che si articola su una triplice caratterizzazione, oserei dire una caratterizzazione ‘trinitaria’, si radica nella unicità della condizione umana così come è concepita dalla genuina fede cristiana.

Piuttosto che rincorrere ‘nuovi umanesimi’ basati su una diversa visione dell’uomo, su una antropologia provvisoria e discutibile, è bene che la Chiesa torni ad annunciare con convinzione e chiarezza la visione antropologica cristiana, che ha fondato tutto lo sviluppo culturale della civiltà degli ultimi due millenni”.

Ed ha indicato una nuova presenza di Chiesa nel territorio: “Quella che potremmo proporre come sintesi provvisoria della riflessione fatta fino ad ora è: non potremo, né dovremo restare identici a noi stessi alla fine di questa pandemia.

Senza cadere in una logica rivoluzionaria di totale cambiamento senza memoria e senza radici, che non è cristiana, dobbiamo però credere nella possibilità della evoluzione della forma di Chiesa che oggi viviamo. Una evoluzione di stile, che comporterà poi anche una evoluzione di strutture”.

Queste indicazioni potrebbero essere la base per dar forma ad una Chiesa diocesana ministeriale: “E’ tempo di pensare, di studiare anche un pò’, di formarci tutti su come questa intuizione dello Spirito può dare indicazioni di percorsi nuovi alla Chiesa.

Inviterei tutti a rileggere e meditare la ‘Ministeria quaedam’ di san Paolo VI ed anche la ‘Mulieris dignitatem’ di san Giovanni Paolo II. Alla luce di queste nuove prospettive aperte dalla Provvidenza e dalla guida del papa, quelle parole magisteriali riprendono nuova vita e nuova rilevanza. E’ l’arte dello scriba saggio citato dal vangelo, quella che oggi soprattutto dobbiamo mettere in pratica, traendo dal nostro tesoro cose nuove e cose antiche”.

(Tratto da Aci Stampa)

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