La nota diplomatica della Santa Sede: difesa del pluralismo, non attacco alla laicità

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Con la diffusione della nota diplomatica inviata dalla Segreteria di Stato della Santa Sede il 17 giugno 2021 all’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede [QUI] si è animato un dibattito tra chi ha ravvisato in tale iniziativa un attacco alla laicità dello Stato italiano e chi, al contrario, ha sottolineato la legittimità di un intervento della Santa Sede a tutela delle garanzie concordatarie e del pluralismo dei valori. La discussione si è anche incentrata sull’attualità dello strumento concordatario, ritenuto da più di una voce un istituto ormai superato dai tempi, benché tuttavia proprio negli ultimi decenni l’istituto abbia conosciuto una rinnovata vitalità.
L’importanza delle implicazioni giuridiche poste dalla nota diplomatica della Santa Sede in merito al Ddl Zan in discussione in Parlamento meritano di essere affrontate dettagliatamente.

L’utilizzo dello strumento tecnico della nota diplomatica pare difficilmente configurabile, nel caso di specie, come un “attacco alla laicità” dello Stato italiano da parte della Santa Sede, come pure in questi giorni è stato affermato. Difatti, come noto, è con lo scambio di note che nella prassi diplomatica si esprime la legittima posizione di disaccordo nei confronti delle posizioni assunte da un altro ordinamento sovrano su questioni di reciproco interesse o si evidenziano possibili criticità future per il rispetto degli accordi internazionali. Del resto è possibile rinvenire precedenti specifici nei rapporti tra Santa Sede e Italia già ad esempio nelle note diplomatiche n. 5902 del 22 agosto 1966; n. 1180 del 16 febbraio 1967 e la 735 del 30 gennaio 1970 in relazione al disegno di legge sul divorzio.

Peraltro, la nota diplomatica della Santa Sede in relazione al Ddl Zan si limita a richiedere una “diversa modulazione” del testo del disegno di legge in considerazione delle possibili problematiche che potrebbero nascere sul piano applicativo, soprattutto rispetto alla libertà garantita dalle norme concordatarie e in relazione specificamente allo svolgimento delle attività educative delle scuole paritarie cattoliche. La sollecitazione della Santa Sede appare dunque finalizzata a favorire una più attenta valutazione dei rischi che sul piano penalistico potrebbero derivare dall’applicazione della futura legge Zan rispetto all’affermazione del principio di tutela del pluralismo dei valori.

Può quindi dirsi minacciata la laicità dello Stato italiano dalla nota della Santa Sede? La sentenza n. 203/1989 della Corte Costituzionale ha declinato il principio di laicità come tutela del pluralismo valoriale, e, a ben vedere, proprio in questa direzione sembra muoversi anche la nota diplomatica della Santa Sede. Ne discende che l’intervento della Santa Sede può essere letto non come ingerenza nel procedimento legislativo dell’ordinamento italiano, garantito a livello costituzionale dal primo comma dell’art. 7 della Costituzione, ma al contrario come immediata esplicazione del principio di dialogo fra Stati sovrani. Criticità e non sufficiente determinazione delle norme del Ddl Zan, del resto, sono state evidenziate da più parti anche a prescindere dalla libertà delle organizzazioni della Chiesa cattolica.

In tal senso, l’intervento della Santa Sede può essere colto come un invito a valutare, nello specifico, la non sufficiente determinazione delle disposizioni normative così come attualmente formulate nel Ddl in discussione e i suoi possibili risvolti problematici sia in tema di tutela dell’autonomia e dell’eguale libertà delle confessioni sia soprattutto in ordine all’affermazione della libertà di espressione e di pensiero e del reale pluralismo dei valori, che costituisce un pilastro di ogni ordinamento democratico.

Maria d’Arienzo
Ordinaria di diritto ecclesiastico
alla Facoltà di Giurisprudenza
dell’Università Federico II di Napoli

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