Papa Francesco invita i seminaristi a stare nel mondo

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Nell’anno dedicato a San Giuseppe, papa Francesco ha ricevuto in udienza la comunità del Seminario Regionale Marchigiano ‘Pio XI’, condividendo alcuni spunti per maturare la vocazione sacerdotale, alla luce delle figure che hanno accompagnato la crescita umana e spirituale di Gesù, ricordando che la vita del seminario non riguarda estraniarsi della realtà:

“Mi piace immaginare il Seminario come la famiglia di Nazaret, nella quale Gesù è stato accolto, custodito e formato in vista della missione affidatagli dal Padre. Il Figlio di Dio ha accettato di lasciarsi amare e guidare da genitori umani, Maria e Giuseppe, insegnando a ciascuno di noi che senza docilità nessuno può crescere e maturare”.

Ed ha sottolineato la parola della docilità: “Vorrei sottolineare questo, perché non si parla tanto della docilità. Essere docili è un dono che dobbiamo chiedere; la docilità è una virtù non solo da acquistare, ma da ricevere…

No: docile è un atteggiamento costruttivo della propria vocazione e anche della propria personalità. Senza docilità, nessuno può crescere e maturare… La figura di San Giuseppe è il modello più bello al quale i vostri formatori sono chiamati a ispirarsi nel custodire e prendersi cura della vostra vocazione. A loro, quindi, intendo anzitutto rivolgermi”.

Rivolgendosi ai vescovi ed ai formatori dei sacerdoti il papa li ha invitati ad essere come Giuseppe: “Essi possano apprendere più dalla vostra vita che dalle vostre parole, come avvenne nella casa di Nazaret, dove Gesù si formò alla scuola del ‘coraggio creativo’ di Giuseppe.

Imparino la docilità dalla vostra obbedienza; la laboriosità dalla vostra dedizione; la generosità verso i poveri dalla testimonianza della vostra sobrietà e disponibilità; la paternità grazie al vostro affetto vivo e casto”.

Ed ai seminaristi ha chiesto di essere come Gesù alla scuola di Giuseppe: “Egli, fin da ragazzo, ha dovuto sperimentare la fatica che comporta ogni cammino di crescita, porsi le grandi domande della vita, iniziare ad assumersi le sue responsabilità e a prendere le proprie decisioni.

Ma Lui era Dio, non aveva bisogno, no: Lui ha imparato, ma sul serio ha imparato, non ha fatto finta di imparare: no, ha imparato. Era Dio, sì, ma era vero uomo: ha fatto tutte le tappe di crescita di un uomo.

Forse non abbiamo riflettuto abbastanza sul giovane Gesù, impegnato a discernere la propria vocazione, ad ascoltare e a confidarsi con Maria e Giuseppe, a dialogare con il Padre per capire la sua missione”.

Solo nella casa di Nazareth si comunica la vita: “Attingete l’umanità di Gesù dal Vangelo e dal Tabernacolo, ricercatela nelle vite dei santi e di tanti eroi della carità, pensate all’esempio genuino di chi vi ha trasmesso la fede, ai vostri nonni, ai vostri genitori…

Un sacerdote può essere molto disciplinato, può essere capace di spiegare bene la teologia, anche la filosofia e tante cose. Ma se non è umano, non serve. Che vada fuori, a fare il professore. Ma se non è umano non può essere sacerdote: gli manca qualcosa. Gli manca la lingua? No, può parlare. Gli manca il cuore; esperti in umanità!”

Il seminario non allontana dalla vita, invitandoli a non essere ‘clericali’: “Diffidate delle esperienze che portano a sterili intimismi, degli “spiritualismi appaganti”, che sembrano dare consolazione e invece portano a chiusure e rigidità. E qui mi fermo un po’.

La rigidità, è un po’ di moda, oggi; e la rigidità è una delle manifestazioni del clericalismo. Il clericalismo è una perversione del sacerdozio: è una perversione. E la rigidità è una delle manifestazioni… Dietro ogni rigidità c’è un problema grave, perché la rigidità manca di umanità”.

Ed ha delineato quattro dimensioni della formazione, di cui la prima è quella umana: “Anzitutto, non prendete le distanze dalla vostra umanità, non lasciate fuori dalla porta del Seminario la complessità del vostro mondo interiore, dei vostri sentimenti e dell’affettività: non lasciarli fuori; non chiudetevi in voi stessi quando vivete un momento di crisi o di debolezza: è proprio dell’umanità parlarne.

Apritevi in tutta sincerità ai vostri formatori, lottando contro ogni forma di falsità interiore… Coltivate relazioni pulite, gioiose, liberanti umane, piene, capaci di amicizia, capaci di sentimenti, capaci di fecondità”.

Poi ha invitato a coltivare la dimensione spirituale: “La preghiera non sia ritualismo, i rigidi finiscono nel ritualismo, sempre; la preghiera sia occasione di incontro personale con Dio. E se tu ti arrabbi con Dio, fallo: perché arrabbiarsi con il papà è un modo di comunicare amore.

Non avere paura: Lui capisce quel linguaggio, è padre, incontro personale con Dio, di dialogo e confidenza con Lui. Vigilate perché non accada che la liturgia e la preghiera comunitaria diventino celebrazione di noi stessi… Arricchite la preghiera di volti, sentitevi già da ora intercessori per il mondo”.

La terza dimensione riguarda lo studio: “Lo studio vi aiuti a entrare con consapevolezza e competenza nella complessità della cultura e del pensiero contemporaneo, a non averne paura, a non esserne ostili. Non avere paura…

E’ lì che va incarnata la sapienza del Vangelo. E la sfida della missione che vi attende richiede, oggi più che mai, competenza e preparazione. Oggi più che mai: ci vuole studio, competenza, la preparazione per parlare con questo mondo”.

La quarta dimensione riguarda la formazione pastorale: “E la formazione pastorale, la quarta dimensione, vi spinga ad andare con entusiasmo incontro alla gente. Si è preti per servire il Popolo di Dio, per prendersi cura delle ferite di tutti, specialmente dei poveri. Disponibilità agli altri: è questa la prova certa del sì a Dio”.

Per il papa il sacerdote rimane con il popolo di Dio: “Il vero pastore non si stacca dal popolo di Dio: è nel popolo di Dio, o davanti (per indicare la strada) o in mezzo, per capirlo meglio, o dietro, per aiutare coloro che restano un po’ troppo indietro, e anche per lasciare un po’ che il popolo, che il gregge, con il fiuto ci indichi dove ci sono i nuovi pascoli.

Il vero pastore deve muoversi continuamente in questi tre posti: davanti, in mezzo e dietro… Tu sei prete del santo popolo fedele di Dio, tu sei sacerdote perché hai il sacerdozio battesimale e questo non potete negarlo”.

Infine ha invitato i seminaristi a cercare i ‘vecchi’ sacerdoti: “Ma cercate, nelle vostre diocesi, i vecchi preti, quelli che hanno la saggezza del buon vino, quelli che con la testimonianza vi insegneranno come risolvere dei problemi pastorali, quelli che, da parroci, conoscevano i nomi di tutti, di ognuno dei loro fedeli, anche il nome dei cani: questo me l’ha detto uno di loro…

Preti vecchi che hanno portato sulle spalle tanti problemi della gente e hanno aiutato a vivere più o meno bene, e hanno aiutato a morire bene tutti. Parlate con questi preti, che sono il tesoro della Chiesa. Tanti di loro a volte sono dimenticati o in una casa di riposo: andate a trovarli. Sono un tesoro”.

(Foto:  Santa Sede)

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