Convegno Caritas: educare nella fede per essere testimoni di umanità

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Si è concluso a Montesilvano (PE) il 36° Convegno nazionale delle Caritas diocesane che ha visto il confronto tra quasi 600 rappresentanti provenienti da 161 delle 220 Caritas diocesane. Nelle conclusioni il direttore di Caritas Italiana, don Francesco Soddu, richiamando la responsabilità affidata al servizio e all’azione delle Caritas, ha sottolineato che “occorre riconoscere e ridirci il valore di quella che a volte definiamo come la rete Caritas in Italia. Responsabilità certamente nell’accoglienza ai poveri, ma anche educativa, animativa, culturale, ecclesiale nel discernere il tempo presente… Questo Convegno non finisce oggi: ricomincia domani nel lavoro che ci attende, è un viaggio che continua in una chiesa della carità, in un paese solidale e accogliente”.

Dal presidente nazionale, mons. Giuseppe Merisi, è giunto un ringraziamento a tutti i presenti e a quanti si sono impegnati per la buona riuscita del Convegno. Il vescovo ha evidenziato infine la necessità di investire sempre più sulla formazione e sul potenziamento delle Caritas diocesane sviluppando percorsi educativi per le comunità locali affinché siano capaci di testimoniare nel quotidiano che la carità è l’intima natura della Chiesa ed è esigenza concreta della fede cristiana. Il Convegno ha avuto come riferimenti di fondo l’Anno della fede, il decennio sull’educare, gli orientamenti dati da papa Benedetto XVI nel quarantesimo di Caritas Italiana e le prime indicazioni di Papa Francesco.

 

E nella prolusione mons. Merisi, ricordando mons. Nervo, ha sottolineato il valore educativo della fede, partendo dall’analisi dell’attuale crisi economica, perché secondo san Paolo ‘la fede si rende operosa per mezzo della carità: “La carità dunque anima, forma la coscienza, plasma i vissuti, gli stili e le scelte di vita. E’ l’incontro del Vangelo di Gesù con la cultura dei contesti di vita in cui ciascuno verifica la propria fedeltà al Vangelo. Si traduce in atteggiamenti, attenzioni, azioni che, come un ponte, facilitano l’incontro tra l’uomo, la comunità, il territorio, la Chiesa e Dio. Si concretizza in opere che nascono nella comunità, dalle relazioni, dalla condivisione dei vissuti, dall’esperienza concreta di servizio e soprattutto tornano alla comunità restituendo e moltiplicando conoscenza, condivisione, accompagnamento”.

Quindi ha fatto un breve tracciato della carità nella chiesa tra il magistero di papa Benedetto XVI e i segni di papa Francesco: “Il richiamo alla carità concreta verso i bisognosi come esigenza della fede cristiana e al fatto che questo rappresenti uno dei compiti ‘strutturali’ della Chiesa, è stato un argomento ricorrente nel Magistero di Benedetto XVI, dalla Sua prima Lettera Enciclica, ‘Deus caritas est’ alla ‘Caritas in Veritate’, come abbiamo detto al Messaggio per la Quaresima 2013 e, sul piano pastorale e canonico, del Motu proprio ‘Intima ecclesiae natura’. Un Magistero che ci ha riportato alla radice teologica della carità, ancorandola saldamente all’azione pastorale della Chiesa… E in questa prospettiva, con il Motu Proprio il Papa intende offrire un quadro normativo organico che aiuti ad ordinare le diverse forme organizzate del servizio della carità, che è strettamente collegato alla natura diaconale della Chiesa e del ministero episcopale. Tenendo presente che la attività caritativa non deve limitarsi alla raccolta e alla distribuzione dei fondi e dei beni, ma deve sempre avere una speciale attenzione per la persona che è nel bisogno, favorendo l’educazione alla condivisione, al rispetto e all’amore, secondo la logica del Vangelo di Cristo”.

Anche l’arcivescovo di Chieti-Vasto, mons. Bruno Forte, ha richiamato l’attenzione educativa, partendo dalla lettura dei Vangeli: “A motivare la nascita e la formazione dei Vangeli è, insomma, un’intenzione pedagogica, un atto d’amore: chi narra la vicenda di Gesù lo fa per rendere partecipi i destinatari dell’esperienza, che gli ha trasformato la vita. Quest’aspetto pedagogico è particolarmente evidente nel vangelo di Marco, il più breve dei quattro, il più antico, costituito da un racconto scarno e coinvolgente, ‘un itinerario catecumenale’… Dall’altra, si tratta dei ‘segni dei tempi’ con cui il Signore raggiunge i cercatori del Suo volto per indicare loro la strada nella complessità delle opere e dei giorni. Come afferma il Concilio Vaticano II, ‘è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo’. La stella guida il cammino dei cercatori di Dio, affacciandosi nei segnali di attesa che spesso gli uomini manifestano per dare un senso alla vita e nella ricerca di una giustizia più grande per tutti, oltre che nelle testimonianze di amore che tante volte illuminano perfino le situazioni più tristi e difficili”.

Il prof. Leonardo Becchetti, docente di economia all’università Tor Vergata di Roma, ha ribadito che: “Abbiamo bisogno di operatori competenti e testimoni credibili: oggi soffriamo la distanza tra operatori che dimenticano l’anima quando diventano esperti addetti ai lavori e testimoni sensibili che però non hanno strumenti e sono bollati come anime belle”. Ha insistito anche sull’urgenza di identificare nelle esperienze delle amministrazioni locali le migliori pratiche e le soluzioni di politico amministrative innovative sperimentate per la soluzione della crisi in tema di fisco e famiglia, sussidiarietà e welfare, responsabilità sociale d’impresa, difesa della vita. Il professore ha poi focalizzato lo sguardo sugli effetti della crisi in Europa, evidenziando la necessità di riconfrontarci sulla nostra visione di Europa e sull’urgenza di nuove regole a livello internazionale per il bene comune.

Infine mons. Pierre-Andrè Dumas, presidente di Caritas Haiti, ha illustrato alcuni punti della ‘pastorale di prossimità’, partendo dal documento di Aparecida: “Mettiamo meno l’accento sulle strutture e la burocrazia e più sull’accompagnamento personalizzato, l’ascolto, l’empatia, la vicinanza alla gente. Tutto ciò ci permette di ridurre le distanze tra la Chiesa-istituzione e la gente. Andiamo dove vive la gente, visitando le persone lontane, con un’attenzione particolare per i poveri, i carcerati, i malati, le donne sole, gli anziani, i bambini abbandonati. Significa far cadere le barriere, lasciare le sacrestie per incontrare la gente nella loro vera umanità, crescendo anche noi nell’incontro”.

 

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