Bernardo di Chiaravalle e i suoi consigli al Papa

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“E’  lampante: agli apostoli è interdetto il dominio” e così pure al successore di Pietro.  E costui deve comandare “come il servo che Dio ha posto a capo della Sua famiglia”, ha il potere “per sorvegliare, per curare e venire in aiuto, per prenderti cura, per servire”.  Perché  “si  tratta di Pietro, di cui nessuno  racconta che camminasse ornato di gemme preziose o in veste di seta, o ricoperto d’oro, su un cavallo bianco, scortato da soldati o circondato da un rumoroso seguito  di servi”. Quando sono state scritte queste righe? Qualche settimana fa, dopo l’elezione di papa Francesco? O qualche anno fa? No, sono state scritte nel 1145 e non da uno qualunque, bensì da Bernardo di Chiaravalle, dottore della Chiesa e secondo fondatore dell’Ordine Cistercense, canonizzato nel 1174.

Maestro e guida di intere generazioni  di santi e di fedeli,  è certo uno dei padri dell’Europa moderna.  Nel 1145 sale al soglio pontificio il suo discepolo Pietro Bernardo dei Paganelli, con il nome di Eugenio III. Bernardo ne diventa il consigliere principale e scrive degli “ammonimenti” sulla sua missione, una strada irta di difficoltà. Ora questi ammonimenti vengono pubblicati dalla casa editrice Castelvecchi, con il titolo appunto di Consigli a un papa.  Le pagine scelte dal De consideratione  libri quinque ad Eugenium III, consigli e considerazioni  su quanto il suo ex discepolo doveva affrontare. Il punto di partenza è il bene della Chiesa, a cui il Papa sempre deve tenere fisso lo sguardo. E la Chiesa deve essere povera,  cioè libera dalle preoccupazioni e dagli obiettivi dei poteri terreni, ma tesa alla vera sua ragione d’essere: dare corpo e voce all’evangelizzazione,  al rendere presente e visibile Cristo in terra.  Un tema che non ha limiti temporali e che sembra riecheggiare anche  negli ultimi interventi Benedetto XVI e in quelli di  papa Francesco.

Basta leggere questo brano, che si riferisce alla necessità che il Papa si assicuri che “orpelli variopinti non corrompano le gerarchie” ecclesiastiche, e per orpelli si intendono molte cose, la ricchezza, l’ambizione, la smodata apparenza: “Che significa che gli uomini  di Chiesa  vogliono essere una cosa  e sembrarne un’altra?  Certamente in questo  modo di fare c’è poca castità e poca sincerità. Infatti, nell’aspetto essi sembrano soldati, nel guadagno che ottengono chierici, nelle azioni, poi, non sono ne’ soldati né chierici: perché né combattono come soldati, né evangelizzano come i chierici. A quale categoria appartengono quindi? Desiderando appartenere sia all’una che all’altra, si allontanano dall’una e dall’altra, e confondono l’una con l’altra. “Ciascuno risorgerà nel suo ordine”, dice l’Apostolo. Costoro, in quale ordine risorgeranno?”.

E il brano termina con una sorta di invettiva: “O povera sposa affidata a paraninfi del genere, che non esitano ad appropriarsi, per il proprio lucro, di ciò che era stato loro affidato per il suo decoro! Essi non sono amici dello sposo, sono suoi nemici”, dove per sposa si deve intendere ovviamente la Chiesa e per sposo Cristo.  I doveri del Papa, dunque, si impongono su un orizzonte tempestoso, quello della Chiesa che combatte con i mali che sempre la minacciano, le tentazioni del potere, del  denaro, dell’ambizione, dei contrasti interni, delle inimicizie e delle amicizie troppo pericolose.  Per questo il Pontefice deve essere sempre vigile, pronto ad eseguire la volontà di Dio, essere specchio di ogni virtù, “a gloria dei poveri”, il “terrore dei  malvagi”, “luce del mondo”, insomma ad assomigliare agli angeli.

Roba da far tremare anche i più temerari, una missione che non ha eguali nella storia degli uomini, passata, presente e futura.

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