L’alba di quel mattino sul lago

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Quel mattino, sulle sabbie del lago di Tiberiade irrorate da luce aurorale, Gesù risorto, per la terza volta, incontra il gruppo dei discepoli-pescatori, ritornati, dopo la sua morte, nel loro ambiente di lavoro. Proprio in quel luogo, dove il Maestro li aveva istruiti sui contenuti e sulle forme della missione e dove a Pietro aveva preannunziato che sarebbe diventato “pescatore di uomini”, il Signore glorificato si rivela. I discepoli sono in “sette”, cifra simbolica dell’universalità. «Disse loro Simon Pietro: “Io vado a pescare”. Gli dissero: “Veniamo anche noi con te”. Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla» (Gv 21,1-3). Quando l’alba del nuovo giorno stava già spuntando, i discepoli tornarono a terra. Gesù li attendeva sulla riva e vide che erano stanchi e affaticati, non solo per il lavoro notturno della pesca ma, soprattutto, perché delusi e smarriti per non aver pescato niente. Senza la fede nel Risorto, è impensabile riuscire nella missione affidata alla Chiesa, è impossibile portare frutti. Gesù, in tono amichevole e ironico, senza farsi riconoscere, chiese: «“Figlioli, non avete nulla da mangiare?” Gli risposero: “No”. Allora disse loro: “Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete” La gettarono, e non riuscivano più a tirarla su per la gran quantità di pesci» (Gv 21,5-6).

L’abbondanza della pesca richiama il vino di Cana (2,6) e i pani del deserto (6,11). Il faticoso e sterile lavoro della pesca notturna è istruttivo e indicativo per la Chiesa. La pesca è fruttuosa soltanto quando essa obbedisce alla Parola del Signore. L’“io vado a pescare” potrebbe essere inteso come gesto di egoistico attivismo o di esaltato protagonismo. Gesù aveva detto con chiarezza: «Senza di me, voi non potete far nulla» (Gv 15,5). Chi ha la responsabilità del ministero di governo prende le decisioni in base a: “Io vado a pescare” oppure si lascia illuminare e guidare da: “Sulla tua Parola getterò la rete”? Il prodigio della giovinezza e della fecondità della Chiesa sta nell’essere innestati al mistero di Cristo, nel flusso vivo dello Spirito. Solo se la Chiesa è sostenuta dal mandato e dalle risorse del suo Signore, incide in modo efficace per la salvezza dei popoli. La sua navigazione lungo il mare della storia, intesa come missione evangelizzatrice, anche se è guidata da Pietro, aiutato dai suoi collaboratori, rimane inutile e infeconda se non è soggetta alla Parola del Signore. L’incontro sul lago di Tiberiade, dalla tradizione è stato costantemente interpretato alla luce di quest’evento. Il rapporto tra carisma e istituzione, tra dono e struttura, è stabilito dal fatto che Gesù si fa riconoscere solo dopo che la sua Parola è stata ascoltata, accolta e vissuta. I contrasti tra carisma e istituzione nascono perché i capi della Chiesa, invece di lasciarsi illuminare dalla Parola di Dio, si confrontano solo per rivendicare i propri rispettivi diritti e portare avanti i propri progetti. La concordia dei cristiani, tra loro e con gli altri, scaturisce sempre dalla “visione” della Parola, ascoltata e vissuta, che solleva il velo che nasconde la gloria di Cristo allo sguardo dell’uomo che ricerca la gioia e la pace nella libertà della verità.

Dopo la pesca abbondante, il “discepolo che Gesù amava” intuisce per primo che lo sconosciuto è proprio Lui, Gesù, e grida a Pietro: “È il Signore!”, chiamandolo col titolo che confessa il Cristo risorto. Pietro, sempre impulsivo e lento nel riconoscere il Signore, impaziente, si tuffa nelle acque per andargli incontro, mentre gli altri discepoli sulla barca si accostano alla riva e trascinano la rete piena di pesci. Scesi a terra, trovano il fuoco di brace con pesce e pane ma Gesù chiede il pesce fresco appena pescato. Pietro estrae dalla rete 153 grossi pesci. A questo numero i Padri della Chiesa hanno dato tante interpretazioni. Per sant’Agostino, quel numero indica “un grande mistero”. Girolamo, partendo dall’idea degli zoologi greci che avevano identificato il numero con 153 differenti tipi di pesci, lo interpreta come simbolo della totalità e afferma che la missione degli apostoli avrebbe coinvolto tutti i popoli. È interessante anche notare il valore simbolico dato dalla scienza matematica dell’antichità. Il numero 153 è cifra triangolare, a essa erano interessati sia i matematici greci sia gli autori biblici. Il 17, base fondamentale di cui 153 è un multiplo, è formato da due numeri, 7 e 10, e simboleggia il compimento, la totalità, e perciò la pienezza della Chiesa nella sua espansione universale.

Nonostante il gran numero di pesci che Pietro porta, la rete rimane intatta, non si rompe. Gesù allora rivolge loro l’invito: “Venite a mangiare”. Il punto focale della pesca non è solo l’incontro fraterno per mangiare insieme ma, soprattutto, è occasione e mezzo per rivelarsi ai suoi e farsi riconoscere come il Signore risorto. Il capitolo 21 di Giovanni, infatti, così inizia: «Dopo questi fatti, Gesù si rivelò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberiade». Abbiamo visto che, all’inizio, la pesca è infruttuosa perché, senza Gesù, gli apostoli non possono fare niente. Poi è abbondante, perché diventa occasione di rivelazione, di riconoscimento. L’abbondanza è simbolo della missione apostolica che condurrà nel cuore della Chiesa la moltitudine degli uomini di ogni razza e di ogni luogo. Le reti che non si rompono simboleggiano la comunità ecclesiale non frantumata da scismi e discordie. La fecondità dell’unità nella molteplicità dell’unico Corpo di Cristo si realizzerà non perché Pietro decide: “Io vado a pescare”, ma per l’invito di Cristo che dice agli apostoli: “Gettate le reti per la pesca”. San Paolo considerava i credenti come elementi dell’unità organica. Il corpo umano dà l’immagine della diversità radicata nell’unità. La Chiesa, Corpo mistico di Cristo, crocifisso secondo la carne e vivificato dallo Spirito, è presenza fisica del Signore risorto nel mondo.

Solo Cristo è principio d’unità della Chiesa, suo Corpo. (cf 1Cor 10,16-17). Gesù risorto, mentre si rivelava agli uomini per mezzo di ciò che faceva e diceva, rivelava altresì Dio agli uomini: «Ho rivelato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo» (17,6). La Risurrezione, dopo l’Incarnazione, è la rivelazione finale, perché mette gli uomini in grado d’incontrare Gesù come il Signore risorto. Giovanni lo afferma: «In questo si è rivelato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui» (1Gv 4,9). Il Signore risorto dona lo Spirito che è sorgente di vita. È suggestivo, ancora, vedere nella pesca e nel pasto il simbolismo prefigurativo battesimale ed eucaristico! Nel racconto riecheggia quasi la descrizione della moltiplicazione dei pani e dei pesci che leggiamo in Giovanni: «Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano» (Gv 6,11). Tra i due racconti si notano tanti elementi comuni che evocano l’eucaristia. La pesca nelle acque e il pasto di pane e di pesce che Gesù offrì ai discepoli portò loro a riconoscerlo Risorto, accennando al suo aspetto trasformato. Un’altra somiglianza la notiamo nel racconto di Luca quando descrive l’apparizione del Risorto ai discepoli di Emmaus: essi riconoscono Gesù allo spezzare del pane (cf Lc 24,30-35). Certamente, questi scritti erano splendide catechesi che spiegavano alle comunità dei credenti che Gesù risorto si rivela in ogni celebrazione della fractio panis, rito che attualizza la promessa: «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6,51). Solo quando ci raduniamo e ci sediamo a mensa attorno a Lui possiamo riconoscerlo Risorto e incontrarlo.

Seduto a mensa con noi, Egli continua a prolungare lo scandalo della croce: l’Emmanuele è troppo umano per essere “Dio”. Lo scandalo è solo per chi non vuol partecipare alla mensa col Verbo Carne e Cibo di Vita. Il banchetto improvvisato dal Signore va collocato anche nell’alveo dei segni messianici che prefigurano la Cena pasquale. Nel regno di Dio, il Signore, Fratello tra fratelli, siederà sempre con noi al Banchetto delle Nozze eterne. Adesso rimane l’Emmanuele nascosto nella Gloria del Padre e, nel contempo, immerso nel cuore del mondo, là dove è nascosta l’attesa della fraternità universale. Intanto, in nome dell’intera umanità, spetta a noi come sua Chiesa “dare corpo” al Risorto, alla sua presenza nel mondo e alla sua preghiera al Padre. Solo così possiamo cantare, “con il cuore, con la voce e con la vita”, il Mistero dell’epifania di Dio inaugurata nell’Incarnazione del Verbo, suo diletto Figlio e nostro amato fratello.

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