Gli aspetti giudici della tragedia sul Mottarone. Un dramma che era evitabile

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Condividiamo di seguito il contributo Inquadramento giuridico di una tragedia, a firma del Professore Fabrizio Giulimondi [*], pubblicato dal sito Statiunitiditalia.it [QUI], che conclude: “Ad oggi non vi sono colpevoli accertati (ricordo l’art. 27 Cost.), non è da escludere che saranno individuati correi e nuove qualificazioni giuridiche penali dei fatti, ma non posso non esprimere un sincero ed angustiato augurio, nel ricordo del Cermis, perché si possa giungere, in tempi ragionevoli, all’accertamento della verità e ad una risposta rigorosa, in termini di giustizia, ad una dramma che, come oramai pare, era evitabile”.

Ho intenzione, in maniera sintetica e spero chiara, di illustrare le fattispecie criminose e i risvolti penali implicati nelle ipotesi di reato configurate dalla Procura della Repubblica di Verbania, in merito al terrifico disastro che ha visto precipitare una funivia sul massiccio del Mottarone in Piemonte.

Parliamo di una ipotesi ventilata dai pubblici ministeri e che ha visto il fermo di tre indagati (almeno al momento in cui scrivo), ipotesi, ovviamente, tutta da verificare, seppur già, almeno in parte, confermata dalle prime ammissioni di costoro. Mi attenderò, pertanto, ad una descrizione didattico-didascalica degli aspetti giuridici coinvolti.

In un primo momento il delitto iscritto nel registro senza indicazione di indagati è stato quello di omicidio plurimo colposo (14 viaggiatori deceduti) e lesioni gravissime colpose (il bambino superstite).

Il colpo di scena fra la notte del 25 e 26 maggio ha fatto prefigurare un ulteriore delitto, ossia quello previsto dall’art. 437 c.p.: rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro.

Non bisogna farsi ingannare dalla rubrica della disposizione, ossia dal nome, dal titolo del reato, che sembra applicare la norma soltanto alle ipotesi di violazione di prescrizioni anti-infortunistiche sui luoghi di lavoro. Basta leggere il suo contenuto, che qui riporto, per capire che non è così: “1. Chiunque omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. 2. Se dal fatto deriva un disastro o un infortunio, la pena è della reclusione da tre a dieci anni”.

Come si può notare, l’articolo in esame sanziona l’inottemperanza a misure non solo volte ad ovviare ad infortuni sui luoghi di lavoro, bensì anche a disastri. Il legislatore penale non fornisce una definizione univoca di disastro, ricavabile, invece, dalle disposizioni codicistiche e normative. Possiamo qualificare “disastro” un accadimento lesivo di vaste proporzioni, astrattamente idoneo a porre in pericolo la pubblica incolumità, consistente in un macro-evento di danneggiamento di beni, che pregiudica l’integrità fisica o la vita di un numero indeterminato di persone.

Questa figura delittuosa è un c.d. reato proprio, in quanto commesso da un profilo determinato di autore, avente una sua qualifica specifica (e non da chiunque), ovverosia da un imprenditore o dai suoi collaboratori. Esso consiste in due ipotesi: una omissiva, intesa come un “non fare ciò che si dovrebbe fare” (“Chiunque omette“); l’altra commissiva, ossia il compimento di una azione (“rimuove o li danneggia“). La prevenzione di disastri (o di infortuni sul lavoro) può essere compiuta, pertanto, o rispettando una serie di cautele di ordine tecnico e comportamentale, oppure non ponendo in essere condotte che espongono al pericolo della realizzazione di disastri (o infortuni sul lavoro).

L’azione o l’omissione minacciano la pubblica incolumità, caratterizzata dalla indeterminatezza e non dal numero rilevante di persone che si possono trovare in una situazione di pericolo. Ciò che interessa è il pericolo potenziale che può abbracciare una quantità indeterminata di soggetti offesi, non quanto sia estesa o meno.

La tesi della Procura è molto più grave di quella iniziale. L’omicidio e la lesione colposa – formulate nelle prime ore dell’inchiesta – presuppone l’elemento piscologico della colpa, che sussiste quando l’evento non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. Nel caso l’evento sia preveduto (ma assolutamente escluso il suo compimento) viene a determinarsi una aggravante dell’omicidio colposo o della lesione colposa, chiamata colpa cosciente.

Del tutto diverso quanto previsto e punito dalla “sopravvenuta” configurazione del reato di cui all’art. 437 c.p.

Nel caso della funivia di Stresa, secondo il quadro di indagine disegnato ad oggi dai magistrati, gli indagati hanno dolosamente posto in essere condotte volte a rimuovere i sistemi di sicurezza e di frenaggio della funivia, al fine di aggirare una preesistente anomalia tecnica, ed evitare, così, di chiudere l’impianto proprio nel momento delle riaperture: la mancata attivazione dell’apparato di emergenza ha condotto allo scivolamento e alla caduta della cabina.

Cambia tutto! Si passa dal un reato di tipo colposo ad uno di natura dolosa. Per quanto possano concorrere i due profili delittuosi, il secondo surclassa il primo. Un crimine è doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione. Dolosamente, secondo la Procura, si è rimosso il meccanismo frenante della funivia, comportamento al quale si applica il primo comma dell’art. 437 c.p., cagionando il pericolo del verificarsi di un disastro che non necessita, però, che si verifichi necessariamente; qualora si dovesse verificare, allora “scatta” il secondo comma: “Se dal fatto deriva un disastro o un infortunio, la pena è della reclusione da tre a dieci anni”.

Le 14 vittime e il gravissimo ferimento di un bambino rientrano nella dimensione del disastro, conseguenza della precedente dolosa rimozione di impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenirlo.

Al pari della esistenza della colpa e della colpa cosciente come sua forma aggravata, si registrano diverse intensità di dolo, fra cui il dolo eventuale.

La conoscenza della disattivazione del blocco che avrebbe impedito lo slittamento subitaneo e lo sgancio improvviso della cabina verso il precipizio, può far ipotizzare l’attribuzione a titolo di dolo eventuale del disastro e delle sue nefaste conseguenze (ex art. 437, comma 2, c.p.) agli indagati: i presunti rei non volevano (direttamente) quei terribili esiti, ma, rimuovendo l’ostacolo materiale al loro conseguimento, ne hanno accettato il rischio della verificazione. Mentre nella colpa cosciente si prevede la possibilità che accada un evento pregiudizievole escludendone drasticamente il raggiungimento, il dolo eventuale, che si può paventare in questo caso, fa supporre che i tre fermati, anche se non volevano affatto la caduta della funivia e la morte ed il ferimento delle persone trasportate, non avendo reso operativo il “freno di emergenza”, hanno accettato la possibilità della realizzazione della tragedia.

Ad oggi non vi sono colpevoli accertati (ricordo l’art. 27 Cost.), non è da escludere che saranno individuati correi e nuove qualificazioni giuridiche penali dei fatti, ma non posso non esprimere un sincero ed angustiato augurio, nel ricordo del Cermis, perché si possa giungere, in tempi ragionevoli, all’accertamento della verità e ad una risposta rigorosa, in termini di giustizia, ad una dramma che, come oramai pare, era evitabile.

[*] Fabrizio Giulimondi nasce il 3 novembre 1964 a Roma ove vive attualmente. Nel 1983 consegue la maturità classica presso il liceo Ennio Quirino Visconti di Roma. Si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza della Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e, contestualmente, costituisce il “Gruppo Speranza” presso la Chiesa di Ognissanti. Giulimondi è responsabile del Gruppo dal 1984 al 1989, anno della sua laurea in giurisprudenza con la votazione 108/110. Il Gruppo Speranza si dedica con dedizione e passione all’aiuto delle persone dedite alla assunzione di sostanze stupefacenti, psicotrope ed alcooliche, collegandosi con le grandi Istituzioni terapeutiche quali la “Comunità Incontro”, il “Ce.I.S.”, “Mondo X”, “San Patrignano”, “Alcolisti Anonimi”, “Narcotici Anonimi” ed “Exodus”.
Una volta laureato Fabrizio Giulimondi approfondisce il diritto comunitario e quello amministrativo: nel 1995 ottiene il diploma di specializzazione post lauream in diritto comunitario europeo presso l’Istituto di Studi Europei “Alcide de Gasperi” di Roma, mentre nel 1998 riceve il diploma di perfezionamento in diritto amministrativo presso Il CEIDA di Roma.
Nel 2003 Giulimondi incomincia l’attività di docente con la materia “Teoria dell’Interpretazione” presso la facoltà di giurisprudenza dell’Università di Teramo; si sposta nel 2005 all’Università degli Studi di Chieti-Pescara “Gabriele D’annunzio” in veste di docente in diritto amministrativo, a cui si aggiungerà dal 2007 anche l’insegnamento in diritto pubblico, con una breve esperienza presso la facoltà di scienza manageriali della Università telematica “Leonardo da Vinci” (dipendente dalla Gabriele D’Annunzio) sempre nelle materie giuspubblicistiche.
Fabrizio Giulimondi ha avuto anche numerose e importanti esperienze di docenza presso società e università private note nel campo culturale e della formazione, quali l’Ernst&Young, l’Università Telematica di Roma “Guglielmo Marconi) e la società Memosystem.
Dal 2001 al 2006 il Fabrizio Giulimondi è stato Capo segreteria del Sottosegretario alla Giustizia Giuseppe Valentino e dal 2008 al 2010 Vice Capo di Gabinetto del Comune di Roma. Nel medesimo arco di tempo il prof. Giulimondi si interessa anche della questione estremamente attuale della riforma della giustizia organizzando, fra l’altro, un convegno di notevole successo nel novembre del 2009 nel Campus dell’Ateneo di Chieti della Università “Gabriele D’Annunzio”. Attualmente svolge attività di natura tecnico-legislativa in seno al Consiglio Regionale del Lazio, nell’ambito del quale ha steso delle proposte di legge presentate nel corso del 2011 dal Consigliere Luigi Abate, Presidente della Commissione Consiliare Speciale sulla Sicurezza e Prevenzione degli Infortuni sui luoghi di Lavoro del Consiglio Regionale del Lazio.

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