Il Ddl Zan liberticida, inutile, dannoso e pericoloso: un cavallo di Troia con una storia di 25 anni alle spalle

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Condividiamo tre articoli sul cavallo di Troia in versione arcobaleno Zan, da Corrispondenza Romana di ieri 19 maggio 2021:

  • La proposta di legge Zan, un flagello alle porte in Italia di Roberto de Mattei: “La nuova legislazione vuole intronizzare come modello sociale assoluto ciò che un tempo era considerato devianza, isolando invece come devianza e anormalità la difesa dei principi naturali e cristiani”.
  • L’autogol del cardinale Bassetti di Tommaso Scandroglio: “Nel momento preciso in cui Bassetti ha affermato che il Ddl Zan non dovrebbe essere affossato, ha però affossato la dottrina cattolica”.
  • L’ideologia gender vacilla in tutto il mondo di Mauro Faverzani: “Fra i principali promotori a livello internazionale dell’ideologia gender figurano i massimi paladini su scala mondiale della cosiddetta «cultura di morte», vale a dire, ancora una volta, la multinazionale dell’aborto, Planned Parenthood”.

Ormai quasi tutti hanno capito i veri scopi del Ddl Zan: è un cavallo di Troia. Il sociologo Luca Ricolfi a Quarta Repubblica: “Sono in imbarazzo: io, culturalmente di sinistra, riconosco che la libertà di pensiero è migrata a destra”. La verità alla fine viene sempre a galla… “Truth is the daughter, not of authority but time” [La verità è figlia, non dell’autorità ma del tempo] (Francis Bacon).

La proposta di legge Zan, un flagello alle porte in Italia
di Roberto de Mattei
Corrispondenza Romana, 19 maggio 2021


In Italia la minaccia del coronavirus fa dimenticare talvolta l’esistenza di altri flagelli, come il devastante disegno di legge in discussione in Parlamento, dal titolo Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità. Questa proposta legislativa è conosciuta come “legge Zan”, perché prende il nome dal deputato del Partito Democratico Alessandro Zan che l’ha presentata, ma ha alle sue spalle venticinque anni di storia.

Il primo disegno di legge contro l’omofobia fu proposto infatti nel 1996 dal deputato di Rifondazione comunista Nichi Vendola. Nel 1999, il governo comunista di Massimo D’Alema approvò un decreto dal titolo Misure contro le discriminazioni e per la promozione di pari opportunità. La legge non passò perché il governo D’Alema cadde il 24 aprile 2000. Tra il 2013 e il 2014, il governo delle “larghe intese” di Enrico Letta tentò invano di far approvare un nuovo disegno di legge contro l’omofobia presentato dal deputato del Pd Ivan Scalfarotto. Lo stesso Enrico Letta, oggi segretario del Pd, chiede con insistenza che sia approvato il testo unico Zan, che il 4 novembre 2020 è stato approvato alla Camera e alla fine di aprile 2021 è stato calendarizzato al Senato. La strada non è facile, per l’opposizione del centro-destra, ma il pericolo è imminente e reale.

Quale sia l’intento di questo progetto di legge è stato rivelato da un suo tentativo di anticiparlo nelle scuole. Il 17 maggio 2021, nella “Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia, la transfobia” (prevista dal decreto Zan all’art. 7), è stata diramata dall’ufficio scolastico della Regione Lazio, una circolare dal titolo Linee guida per la scuola: strategie di intervento e promozione del benessere dei bambini e degli adolescenti con varianza di genere.

In questo documento si afferma che «negli ultimi anni stiano assistendo a una Gender Revolution», per cui bisogna «superare il concetto di binarismo sessuale che prevede l’esistenza di solo due generi (maschile e femminile)», sostituendo ad esso quello di «spettro di genere», dal momento che «il genere ormai si presenta in un’infinità varietà di forme, dimensioni e tonalità». Gli istituti scolastici, in conseguenza, dovrebbero adottare «un linguaggio di genere inclusivo», prevedere «l’assegnazione di un’identità provvisoria, transitoria e non consolidabile» allo studente che manifesti la volontà di cambiare «genere» e l’allestimento di bagni e spogliatoi «non connotati per genere» dedicati agli studenti trans.

Tutto questo non è che l’applicazione del primo articolo del testo Zan, che si propone di tutelare giuridicamente l’identità di genere, definita come «identificazione percepita e manifestata di se in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente da non aver concluso un percorso di transizione».

L’“identità di genere” di una persona è dunque un’“auto-percezione”, determinata dagli impulsi, desideri, sentimenti ed emozioni del singolo individuo. La norma non tutela solo l’omosessualità o la transessualità, bensì tutte le forme di “orientamento sessuale” dirette a separare l’identità sessuale della persona dalla sua identità biologica allo scopo di favorire la creazione di una nuova identità psicologica, fluida e indeterminata. «In questo modo, – ha giustamente osservato Mauro Ronco, professore emerito di Diritto Penale nell’Università di Padova – si intende porre sotto lo scudo della protezione penale tanto i vari orientamenti sessuali, ancora oggi valutati come disturbi della personalità, come la tendenza voyeuristica, la tendenza sessuale masochistica, la tendenza sessuale sadistica, la tendenza sessuale feticistica, quanto le ancora oggi assai controverse teorie del gender, alla cui stregua l’identità della persona non è determinata dalla biologia, bensì dalla libera scelta dell’individuo».

Lo stesso Professor Ronco, nella sua audizione alla Camera dei Deputati del 21 maggio 2020, ha bene illustrato qual è la deforme concezione su cui si fonda il concetto anti-giuridico del reato di “discriminazione” e di “odio”, che il testo Zan vorrebbe punire con la reclusione o con una multa finanziaria.

«L’eventuale estensione del reato d’odio alla manifestazione di idee per motivi di orientamento sessuale o di identità di genere segnerebbe il passaggio abnorme del diritto penale verso un modello che punisce la manifestazione di idee per correggere gli individui in ordine alla loro disposizione interiore. Non v’è alcuna base empirica per distinguere tra giudizi espressi sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere per ragioni d’odio, da un lato, ovvero, da un altro lato, per ragioni religiose, metafisiche, etiche e sociali». Infatti, «chi esprime opinioni critiche sulla tendenza omosessuale per ragioni metafisiche o sugli atti omosessuali per ragioni etiche, psicologiche, mediche o sociali, non per ciò è indotto a tali critiche per ragioni d’odio. Anzi, il più delle volte, il motivo per cui esprime tali opinioni risiede in ragioni del tutto contrarie allo stato interiore dell’odio. L’assurdità ancor maggiore sta nel conferire a un giudice il compito di decidere se una determinata opinione sia stata espressa per convinzione scientifica, per convinzione religiosa, per scelta culturale, per tradizione familiare, ovvero, tutto al contrario, per odio. Ma per odio verso chi? Verso una tendenza, un orientamento, una dottrina, una opinione o verso delle persone in carne e ossa? Anche qui la distinzione tra l’oggetto del presunto stato d’animo d’odio non può essere precisato se non attraverso una critica delle intenzioni, del tutto inaccettabile nel diritto penale poiché non è il giudice che può discriminare tra le intenzioni buone e quelle cattive».

Un approfondimento di questo e di altri temi ci è offerto dal volume curato da Alfredo Mantovano Legge omofobia perché non va (Cantagalli, Siena 2021), in cui la proposta di legge Zan viene attentamente esaminata e confutata articolo per articolo, svelandone le vere intenzioni [QUI].

La nuova legislazione vuole intronizzare come modello sociale assoluto ciò che un tempo era considerato devianza, isolando invece come devianza e anormalità la difesa dei principi naturali e cristiani. Ma ogni progetto di sovvertimento dell’ordine naturale, dall’abolizione della proprietà privata alla soppressione dell’identità sessuale, ha bisogno per realizzarsi della violenza, perché la natura, come il bene e il vero, è in sé stessa diffusiva. Quando le leggi negano l’ordine naturale si afferma inesorabilmente la dittatura del relativismo più volte denunciata da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI.

Se la legge sull’omofobia andasse in porto, il diritto della libertà di espressione sarebbe negato solo ai difensori dell’ordine tradizionale. Sarebbe tuttavia un grave errore limitarsi a criticare la soppressione della libertà introdotta dal testo unico di legge Zan, senza risalire alla causa di questo totalitarismo che sta nella definizione di identità di genere presente nell’articolo 1 del testo.

Il liberalismo impregna oggi la mentalità di molti cattolici, che vedono il nemico solo nel “proibizionismo”, dimenticando che il male non sta nelle istituzioni, ma nella violazione di un oggettivo ordine morale di valori. Non è in nome della “libertà”, ma della natura e della ragione, che bisogna combattere il nefasto. C’è un’aspra battaglia di idee in corso. Senza la chiarezza dei princìpi filosofici e morali tutto è perduto. Sulla base di questi princìpi professati e vissuti, e con l’aiuto di Dio, si può vincere invece la battaglia culturale del nostro tempo.

L’autogol del cardinale Bassetti
di Tommaso Scandroglio
Corrispondenza Romana, 19 maggio 2021


C’è chi gioca nella nostra squadra, ma vuole vincere a suon di autogol. Il cardinal Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, in occasione della santa Messa per gli operatori dell’informazione, ha dichiarato: «Noi siamo per la difesa e la dignità di tutti, di qualunque uomo o donna, bisogna difendere sempre i diritti della persona. Mai omologare». Poi si è riferito al Ddl Zan, proposta di legge che «andrebbe più corretta che affossata. Io penso che la legge potrebbe essere fatta meglio perché la legge dovrebbe essere chiara in tutti i suoi aspetti senza sottintesi. Chiedo solo chiarezza».

Non vogliamo qui analizzare i motivi per cui questo disegno di legge non difetta di chiarezza, né vogliamo mettere sotto la lente di ingrandimento le ragioni erronee secondo le quali il Ddl Zan dovrebbe essere solo migliorato e non cancellato in radice. Invece desideriamo appuntare qualche riflessione sulle possibili motivazioni che hanno portato il Presidente della Cei ad accettare una legge che non vuole tutelare le persone omosessuale e transessuali, bensì l’omosessualità e la transessualità, proprio quando il laicato cattolico solo sabato scorso è sceso in piazza Duomo per dire un netto «No» al Ddl Zan.

Una prima motivazione è politica. L’ossequio al governo, non nuovo da parte delle gerarchie cattoliche italiane, è forse motivato dal timore che possa essere cancellato l’8 per mille o che possa venirne modificata la disciplina in senso peggiorativo. Un atteggiamento omertoso prodotto da velate minacce. Ciò potrebbe spiegare il motivo per cui sulle leggi eticamente sensibili che il Parlamento negli ultimi tempi ha varato – Unioni civili e legge sul consenso informato – le reazioni della Cei sono state timide. Inoltre l’appoggio mostrato da Bassetti per il Ddl Zan potrebbe essere spiegato come supino ringraziamento verso il governo per non aver chiuso le chiese in tempo di Covid.

In secondo luogo Bassetti ha benedetto il Ddl Zan perché l’approccio sui temi eticamente sensibili spesso non avviene più in casa cattolica utilizzando le categorie proprie della morale naturale, ma quelle della giustizia sociale. Le prime sono di ordine metafisico e fanno riferimento alla natura umana. Sia l’omosessualità che la transessualità appaiono condizioni disordinate rispetto alla natura umana, ossia sono condizioni in contrasto con l’ordine ontologico impresso nella nostra natura.

Le categorie della giustizia sociale invece non guardano alla metafisica, bensì alla fenomenologia, alla storia, alla sociologia, alla psicologia, etc. Sotto questi profili le persone omosessuali e transessuali sono categorie sociali che come le altre devono venire tutelate nei loro interessi peculiari: «sposarsi», avere dei figli, venire riconosciute a scuola e nei media come condizioni naturali al pari di altre, etc. In tale prospettiva il principio cardine che verrebbe in luce potrebbe essere quello dell’egualitarismo. Il principio di uguaglianza esige di trattare i casi uguali in modo uguale e i casi diversi in modo diverso. Il principio di egualitarismo esige di trattare tutti i casi in modo uguale anche se differenti tra loro. Ciò comporta che le differenze tra i casi devono essere eliminate – la famigerata lotta alle diseguaglianze – tutto deve essere livellato verso il basso.

Nell’approccio proprio della morale naturale l’omosessualità e la transessualità non hanno una loro dignità, dunque non sono meritevole di tutela giuridica, dovendo comunque sempre tutelare la dignità personale di tutti, persone omosessuali comprese. Non avendo l’omosessualità e la transessualità dignità proprie, non possono venir messe sullo stesso piano dell’eterosessualità e della condizione che non vede fratture tra sesso biologico e percezione sessuale psicologica. Nell’approccio proprio della giustizia sociale invece tutte queste condizioni pari sono e quindi tutte devono essere tutelate in egual modo. Il Ddl Zan serve appunto per presidiare con una risposta penale questa asserita dignità dell’omosessualità e transessualità. Da questa premessa erronea discende logicamente il divieto di negare che omosessualità e transessualità abbiano meno valore di altre condizioni di vita.

Ecco che probabilmente il cardinal Bassetti ha fatto sue queste strutture argomentative e vede le persone omosessuali e transessuali come i lavoratori, i disoccupati, i migranti, i disabili, gli anziani, i malati, ossia come categorie sociali bisognose di protezione giuridica. L’omosessualità e la transessualità non sono più problematiche prima di tutto di carattere morale, ma solo sociale.

In tal senso, nel momento preciso in cui Bassetti ha affermato che il Ddl Zan non dovrebbe essere affossato, ha però affossato la dottrina cattolica.

L’ideologia gender vacilla in tutto il mondo
di Mauro Faverzani
Corrispondenza Romana, 19 maggio 2021


La cronaca dei giorni scorsi ci ha regalato uno spaccato di vita reale ben diverso da quello propagandato dalla grancassa ideologica dei media di tutto il mondo e proprio per questo degno d’esser conosciuto, per capire come nel cuore dei popoli vi sia ancora spazio, grazie a Dio e nonostante tutto, per la legge naturale.

Partiamo dalla Lituania. Una «Marcia in difesa della famiglia» è stata organizzata spontaneamente dalla gente comune lo scorso 15 maggio a Vilnius contro una proposta di legge mirata ad autorizzare le unioni civili per coppie dello stesso sesso, nonché a conceder loro diritti in termini di eredità e di comproprietà dei beni, garanzie procedurali, la possibilità di cambiare cognome, pur senza dare la possibilità di adottare bambini.

Secondo un recente sondaggio, condotto da Eurobarometro per conto della Commissione europea, contrario a tale provvedimento e quindi al riconoscimento legale delle coppie Lgbt sarebbe il 70% della popolazione lituana. Tant’è vero che in piazza per dire “no”, secondo le forze dell’ordine, c’erano circa 10 mila persone, tutte d’accordo sul fatto di considerare le unioni omosessuali una minaccia ed un attacco ai valori familiari tradizionali.

I disegni di legge portano tutti – non a caso – la firma del deputato Tomas Vytautas Raskevičius, Lgbt militante, coordinatore di eventi anche presso il Brooklyn Lgbt Community Center, negli Stati Uniti. Il Parlamento lituano sarà chiamato ad esaminare tra un mese le sue proposte. Il presidente lituano, Gitanas Nausėda, ha già dichiarato che qualsiasi riconoscimento legale delle coppie omosessuali dovrà in ogni caso esser conforme alla Costituzione nazionale, che definisce chiaramente il matrimonio come l’unione tra un uomo ed una donna.

Dalla Lituania all’Italia, anche qui una volta tanto buone notizie: il tribunale di Reggio Emilia ha respinto, infatti, nei giorni scorsi le richieste di riconoscimento genitoriale avanzate da due coppie Lgbt unite civilmente, accogliendo così il ricorso presentato in merito dalla Procura: l’art. 8 della legge 40/2004, infatti, è applicabile esclusivamente alle coppie eterosessuali, coniugate o conviventi, e non a quelle composte da partner dello stesso sesso. Da qui il rifiuto loro opposto.

Anche dagli Stati Uniti giungono buone notizie: sembrano destinati a fallire o ad avere storia breve gli ordini esecutivi Lgbt emanati dal presidente Biden sin dall’inizio del suo mandato. In particolare, nel mirino è finito uno di questi, quello che garantisce ai cosiddetti transgender l’accesso alle gare atletiche col sesso con cui si percepiscono. Subito Idaho, Arkansas ed Alabama hanno approvato leggi, per bloccare la partecipazione agli sport femminili di uomini, che dichiarino di sentirsi donne. Ma anche in altri 30 Stati della Federazione sono stati presentati disegni di legge analoghi su pressione di molte organizzazioni civiche, unitesi tra di loro per dire “basta” a queste assurde regole, come precisa l’Afa-Associazione americana per la Famiglia: «È un’ovvietà, ma il fatto stesso che gli Stati debbano approvare tali provvedimenti ci fa sapere come si stia trattando con degli integralisti di genere, cui non importano le conquiste fatte dalle ragazze e dalle donne negli ultimi cinquant’anni».

Ma chi sono allora i principali promotori a livello internazionale dell’ideologia gender? Tra costoro figurano sicuramente i massimi paladini su scala mondiale della cosiddetta «cultura di morte», vale a dire, ancora una volta, la multinazionale dell’aborto, Planned Parenthood, che risulta essere il secondo più grande fornitore di «cure ormonali transgender» degli Stati Uniti a pazienti spesso adolescenti, anche privi del consenso dei genitori e privi della richiesta di un medico. In cinque anni le cliniche associate, che offrono testosterone ed estrogeni ovvero «cure ormonali per l’affermazione del genere», sono passate da 26 a 210. Ed i trattamenti, purtroppo irreversibili, vengono oltre tutto pagati con i soldi dei contribuenti in almeno 38 Stati Usa. Il che spiega molte cose…

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