In ricordo di Carlo Urbani a 10 anni dalla sua scomparsa

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Carlo Urbani era il medico di Castelplanio (An) che scoprì per primo la SARS bloccando una sicura pandemia e rimanendone purtroppo vittima. Il 29 marzo sono trascorsi 10 anni dalla sua scomparsa. In questo Anno della Fede la sua figura è testimonianza viva, ma se la comunità scientifica internazionale lo sta ricordando è perché la sua azione contro la Sars è considerata la ‘prova generale’ per un prossimo futuro. Il riferimento principale di Carlo Urbani era la Provvidenza, alla quale lo scienziato faceva riferimento in ogni istante della sua vita. ‘Scappiamo in Italia’, gli aveva chiesto la moglie Giuliana Chiorrini all’insorgere dell’epidemia, preoccupata come madre di tre bambini. ‘Se di fronte alla malattia il medico scappa, chi resta?’, le rispose Urbani, che in tutti i 47 anni di vita, mosso da una fede certa e serena, si era ‘chinato’ su ogni persona ammalata con l’atteggiamento del samaritano. Per questo aveva accettato di lasciare l’ospedale di Macerata e le Marche per lavorare in Africa, nella Cambogia terrorizzata dai Khmer Rossi, e infine in Vietnam, inviato dall’Oms a coordinare le politiche sanitarie in tutto il Sud-est asiatico contro le malattie parassitarie. Due le sue forze: l’amore per una famiglia che lo seguiva ovunque e la preghiera: “Se c’è un mutilato gli occhi del chirurgo sono sulle ferite, ma quello sguardo poi va alzato”.

 

 

Per commemorarlo è stato ‘stilato’ un ricco programma a cominciare dai primi due appuntamenti a Jesi, nelle Marche: venerdì 5 aprile (ore 21), al Teatro Moriconi verrà messo in scena lo spettacolo ‘Pane e coraggio’, in collaborazione con l’assessorato alla Cultura del comune di Jesi, la Fondazione Pergolesi Spontini e la Federazione italiana teatro amatori, il cui ricavato andrà in beneficenza, mentre sabato 6 aprile (ore 8,30) l’auditorium della Bpa, ospiterà un convegno scientifico patrocinato da Regione Marche e Asur Marche con la partecipazione di esperti di livello internazionale dal titolo ‘Focus sulle malattie neglette’. Domenica 7 aprile, invece, sarà tutta dedicata al ricordo di Carlo Urbani nella sua Castelplanio. Si inizierà con la messa al mattino (ore 10) e si proseguirà con un incontro alle 17,30 nella sala Polivalente del Comune, con gli interventi di rappresentanti dell’Aicu, dei familiari di Carlo e del sindaco Luciano Pittori. Seguiranno le presentazioni con gli autori delle tre nuove pubblicazioni a cura di Lucia Bellaspiga, Vincenzo Varagona, Anna Maria Vissani, Mariano Piccotti e Alessandra Cervellati, per concludere con un intrattenimento musicale con i soprani Valeria Esposito e Cristina Ciarmatori. Le celebrazioni previste dall’Aicu per il decennale proseguiranno ancora con altre iniziative a Jesi, Moie di Maiolati e Ancona fino al 10 maggio.

E fu proprio Carlo Urbani a ritirare per MSF il Premio Nobel per la Pace nel 1999, in qualità di presidente: “Perché un Nobel per la Pace a MSF? Cosa trasforma infermieri, medici e agguerriti logisti in strumenti di pace? Cosa trasforma il curare malattie e bendare ferite in atti dall’alta valenza politica? L’emozione per questo riconoscimento continua a crescere quando davanti ai microfoni possiamo urlare che il premio non è per noi ma per l’idea che salute e dignità sono indistinguibili nell’essere umano, che è l’impegno a restare vicini alle vittime, a tutelarne i loro diritti, lontani da ogni frontiera di discriminazione e divisione, che ha avuto un Nobel per la Pace. Abbiamo fatto un gran parlare di indipendenza… neutralità… testimonianza… parti integranti delle nostre azioni. Ora ricordiamo quei momenti in cui essere indipendenti e neutrali ci costava sacrificio, ci faceva rinunciare a scorte armate o a finanziamenti in situazioni difficili, ma ci poneva in stretto contatto con le vittime, facendoci diventare dei testimoni dell’orrore di fatti ed eventi che fanno della dignità umana un sanguinante misero fardello.

E poi raccontare le privazioni dei diseredati, la lontananza degli esclusi, indicare in abusi e violenze i veri terremoti e uragani contro cui è davvero difficile, se non impossibile, costruire argini o rifugi…  E voi che ci sostenete, i nostri cosiddetti donatori. Quanto vorremmo che ognuno di voi si sentisse un po’ Nobel per la Pace! Per aver reso possibile la nostra indipendenza, per averci autorizzato ad una totale ingerenza negli affari di paesi dove secondo noi la vita umana non viene considerata un valore, e per averci fatto sentire forti di un folto numero di persone, circa 200.000 in Italia, che condividono le nostre ansie e le nostre speranze. Ed ora, approfittando di questa inconsueta popolarità, lasciamo che i riflettori, illuminandoci, illuminino e rendano visibili gli scenari dimenticati… affinché l’azione di domani (il Nobel non è il nostro traguardo finale!) sia ancora più efficace ed incisiva e che i benefici del premio vadano a loro, alle vittime”.

Ed a 10 anni dalla sua morte suor Anna Maria Vissani, appartenente alle Adoratrici del Sangue di Cristo e risiede nell’Eremo di Madonna del Monte a Mulazzo, Massa Carrara, con la quale ha intrattenuto una importante ‘corrispondenza’ epistolare, ha reso pubblica una lettera scritta il giorno dopo la sua morte: “Carlo ha saputo riconoscere i tempi di prova, i momenti di oscurità e di dolore che lo sottoponevano a un certo stallo, e con la prontezza dell’uomo adulto si è messo in ascolto della sua interiorità, decidendo non solo di prendere tra le proprie mani la vita, ma di lasciarsi aiutare a lenire il dolore… Carlo era un uomo radicale nelle scelte, e radicale nel soffrire per la sua profonda e innata sensibilità. Si è lasciato guidare nella vita da quella ‘fortezza’ che scoprì di possedere fin dalla sua adolescenza e nello stesso tempo ha saputo versare lacrime di umiltà e di dolore nei momenti cruciali quando le ferite hanno sanguinato…

Il vento che ha accompagnato i suoi voli e che lo avvolgeva di speranza e di apertura al rischio della vita, era quella particolare interiorità, che si manifestava come ricerca continua di un di più di vita, dialogo interreligioso, amicizia custodita e maturata all’ombra di scelte genuine, apertura schietta con chi lui riteneva ‘sua consigliera spirituale’, e grande amore alla famiglia, cose che non sempre potevano essere comprese da chi lo osservava superficialmente”. Suor Anna Maria Vissani ha scritto anche dell’uomo ‘impregnato’ dalla fede: “La sua fede era un insieme di tasselli di luce, che raccoglieva nel suo intimo nel silenzio dei lunghi viaggi, nello stupore dei tramonti del sole, negli incontri con i più poveri che gli manifestavano la dignità dell’essere persone e la gioia delle piccole cose. Tutto diventava per lui percezione di una segreta Presenza, che illuminava la sua interiorità e si rifletteva sulle scelte che faceva con coraggio a favore dei più deboli… Così Carlo è vissuto.

Non in una cella nascosta, ma nella piazza della vita internazionale e di lì ha cercato di raccogliere ‘piccoli pezzi’ di quella Giustizia umana e sociale che il mondo ha frantumato nelle valli delle povertà e delle guerre senza senso. Ora Dio, che si fa voce di gratitudine attraverso di noi, si ferma per qualche istante sulla sua storia e gli restituisce la luce e il calore che in vita Carlo ha cercato e custodito con appassionata serietà e fedeltà a se stesso… Ora ti vedo nel cuore di Dio e ti sento un appello per noi tutti. La vita ci aspetta sempre al varco: la morte è un appuntamento che non possiamo stabilire a nostra misura e secondo la nostra agenda, ma occorre entrarvi giorno per giorno, proprio attraverso quelle morti piccole o grandi che ci fanno abbandonare una parte di noi stessi. E la malattia, se arriva, è sempre dolore, misto a un graduale penetrare nel senso dell’esistere, che ci conduce ad abbandonare la presa. Questa è la Pasqua tua e nostra”.

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