Pami: liberare Maria dalle mafie

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E’ stato presentato nei giorni scorsi, a Roma, il primo Rapporto del Dipartimento per la legalità della Pontificia Academia Mariana Internationalis (Pami) alla presenza del presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, Giuseppe Pignatone.

Come ha scritto papa Francesco nella Lettera del 15 agosto scorso al presidente dell’Academia, p. Stefano Cecchin, “la devozione mariana è un patrimonio religioso-culturale da salvaguardare nella sua originaria purezza, liberandolo da sovrastrutture, poteri o condizionamenti che non rispondono ai criteri evangelici di giustizia, libertà, onestà e solidarietà”.

I promotori dell’iniziativa hanno spiegato l’attività svolta: “Concretamente ciò ha significato l’attivazione di molteplici percorsi strutturati di incontro e di formazione, totalmente gratuiti ed aperti a tutti, dove la collaborazione tra magistrati, prefetti, studiosi ed ecclesiastici, contribuisce nel tempo alla costruzione di una cultura e pedagogia della cittadinanza, della legalità e dello sviluppo, a partire dalle sfide che ad esse pongono le mafie, la tratta degli esseri umani, il caporalato, il terrorismo nazionale ed internazionale, le distorsioni della società digitale, il disagio giovanile”.

Inoltre per accompagnare questo percorso culturale dei corsi è stata creata una collana in e-book (4 libri finora editi) e una biblioteca digitale con oltre 250.000 pagine di atti parlamentari, studi, atti processuali ed altro (che sarà progressivamente integrata con nuova aggiunta di materiale ogni 45 giorni):

“Si sta approntando una enciclopedia digitale su queste tematiche aperta a tutti e fruibile sempre nella totale gratuità. Dal mese di settembre 2020 il Dipartimento ha realizzato 14 convegni on line a cui hanno partecipato oltre 80 relatori  e 350 iscritti. L’attivazione dei corsi e dei convegni è stata introdotta da una collaborazione con il programma ‘Indagine ai confini del sacro’ di Tv2000”.

E dopo la beatificazione del giudice Rosario Livatino il presidente dell’associazione ‘Libera’, don Luigi Ciotti, ha ricordato la sua coerenza evangelica: “Rosario Livatino non era un uomo dalle grandi certezze, ma piuttosto dalle grandi e coraggiose domande.

Il dubbio, la domanda profonda e feconda, erano il motore del suo pensiero e la premessa del suo agire. Sia nella fede che nella professione. Non gli interessavano una fede esibita o una carriera brillante.

Aderiva con sincerità di cuore al Vangelo e lo incarnava nelle sue scelte di vita. Con altrettanta sincerità aderiva alla legge per farla rispettare, sapendo però che la legge è sempre solo un mezzo, mentre il fine è la giustizia”.

Ed ha avvisato a non trasformarlo in un ‘santino’: “Il miglior modo per ricordarlo è invece imitarlo nel suo luminoso esempio di virtù civili e cristiane. Oggi più che mai, Rosario Livatino vive. Come vive Peppino Impastato, ucciso in questo stesso 9 maggio, dalla stessa violenza mafiosa, 43 anni fa.

Come vive il ricordo di quello straordinario grido contro ogni forma di complicità con le mafie, lanciato da Giovanni Paolo II il 9 maggio del 1993, presso la Valle dei Templi di Agrigento. Poco prima, il papa aveva incontrato i genitori di Rosario, aveva forse ‘annusato’ la santità del loro figlio”.

Infine don Ciotti ha ricordato il modo per conservare la ‘memoria’: “Rosario Livatino vive nella memoria di chi l’ha conosciuto. Vive nel lavoro della cooperativa di giovani che porta il suo nome, e coltiva le terre confiscate ai boss.

Vive nell’ammirazione di tanti magistrati, giuristi e studenti che a lui si ispirano nel coltivare l’amore per il diritto e soprattutto per i diritti di ogni persona. Vive nell’impegno di chiunque si spenda contro ogni forma di prepotenza, violenza e sopraffazione dell’uomo sull’uomo”.

E sempre don Ciotti ha ricordato Peppino Impastato: “43 anni, ma più passa il tempo più il vuoto di Peppino si fa sentire. Un vuoto umano e sociale, che abbiamo cercato di colmare con l’impegno nel nome suo e di mamma Felicia. Ma un vuoto anche culturale. Sì, perché Peppino è stato uno dei primi a capire la necessità di uno sguardo ‘meticcio’, capace di collegare la sfera etica, estetica e politica per ricavarne sintesi innovative”.

Ed ha chiesto di non perdere lo ‘sguardo’ di Peppino Impastato: “Sguardo capace dunque di provocare coscienze addormentate o addomesticate (dunque indirettamente complici) per richiamarle a un impegno che non può essere considerato un ‘optional’ essendo la spina dorsale della cittadinanza democratica. Non si può essere democratici a intermittenza o solo quando torna comodo: la democrazia è una responsabilità a tempo pieno, una responsabilità che solo così diventa esercizio di libertà”.

Da qui l’invito a non  adattarsi: “Sono certo che oggi Peppino non si stancherebbe di evidenziare la sostanziale differenza tra cambiamento e adattamento. L’adattamento è una risorsa di fronte ad avversità indipendenti dalla nostra volontà.

Ma le ingiustizie, la corruzione e le mafie non sono fenomeni naturali, sono mali sociali frutto di nostre azioni e omissioni. Mali che richiedono quel cambiamento profondo, interiore e sociale al tempo stesso, di cui tutta la vita di Peppino è stata testimone”.

(Foto: Difesa del popolo)

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