9 maggio 1978-9 maggio 2021. A 43 anni dall’assassinio di Peppino Impastato “quella montagna di merda” non è ancora spalata

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Pino Maniaci, il giornalista siciliano di Telejato, impegnato nella lotta alla mafia, al malaffare e ai poteri forti, oggi ricorda con un post Facebook l’assassinio del giornalista Peppino Impastato (Cinisi, 5 gennaio 1948 – Cinisi, 9 maggio 1978), 43 anni fa.

«Sono passati 43 anni dall’omicidio di Peppino Impastato. Un ragazzo che voleva bene alla sua terra e per questo voleva liberarla dal cancro mafioso. Glielo impedirono per sempre, quel 9 maggio 1978, e non si limitarono ad assassinarlo: adagiarono il suo cadavere sui binari della ferrovia e una carica di tritolo fece il resto. I mafiosi volevano farlo passare per un pazzo che stava preparando un attentato per far saltare in aria il treno che portava i pendolari a Palermo, così da distruggere anche l’immagine di quel giovane di trent’anni che alla causa dei lavoratori e degli studenti aveva dedicato la sua vita. Ci vollero decenni prima che la verità venisse fuori anche in Tribunale. E ciò fu possibile grazie soprattutto alle innumerevoli battaglie sul campo portate avanti dai suoi compagni e da Felicia. Oggi, che è anche la festa della mamma, non possiamo non dedicare questa giornata anche a lei. Lo vogliamo fare con questo aneddoto dell’11 aprile 2002, tratto dal libro “Cento passi ancora” di Salvo Vitale, uno dei suoi lavori più belli che consigliamo a tutti di leggere.
Tano Badalamenti veniva condannato all’ergastolo come mandante dell’omicidio di Peppino. A comunicare la notizia a Felicia fu proprio Salvo Vitale, che racconta quel momento così:
Felicia: “Mi sento invece come il mare, quando, dopo u malutempu, torna il sereno. Ora posso morire tranquilla”.
Salvo: “Ma che morire! Che vai dicendo? Quest’anno organizzeremo cose grandi. Si stanno preparando a venire qua un sacco di picciotti da ogni parte d’Italia. Metteremo sottosopra questo paese”.
Felicia riprende tutta la sua forza di splendida combattente: “Allora voglio esserci anch’io. Morirò un’altra volta”. L’abbraccio e mi abbraccia.

Grazie per il tuo lavoro, Felicia. E grazie a te, Peppino, per il tuo coraggio. Scusateci se non siamo ancora riusciti a spalare quella montagna di merda che è la mafia» (Pino Maniaci).

9 maggio 1978
di Salvo Vitale
a Radio Aut la notte dell’omicidio di Peppino Impastato


«Stamattina Peppino avrebbe dovuto tenere il comizio conclusivo della sua campagna elettorale. Non ci sarà nessun comizio e non ci saranno più altre trasmissioni. Peppino non c’è più, è morto, si è suicidato. No, non sorprendetevi perché le cose sono andate veramente così. Lo dicono i carabinieri, il magistrato lo dice. Dice che hanno trovato un biglietto: “Voglio abbandonare la politica e la vita”. Ecco questa sarebbe la prova del suicidio, la dimostrazione. E lui per abbandonare la politica e la vita che cosa fa: se ne va alla ferrovia, comincia a sbattersi la testa contro un sasso, comincia a sporcare di sangue tutto intorno, poi si fascia il corpo con il tritolo e salta in aria sui binari. Suicidio. Come l’anarchico Pinelli che vola dalle finestre della questura di Milano oppure come l’editore Feltrinelli che salta in aria sui tralicci dell’Enel. Tutti suicidi. Questo leggerete domani sui giornali, questo vedrete alla televisione. Anzi non leggerete proprio niente, perché domani stampa e televisione si occuperanno di un caso molto importante. Il ritrovamento a Roma dell’onorevole Aldo Moro, ammazzato come un cane dalle brigate rosse. E questa è una notizia che naturalmente fa impallidire tutto il resto. Per cui chi se ne frega del piccolo siciliano di provincia, ma chi se ne fotte di questo Peppino Impastato.
Adesso fate una cosa: spegnetela questa radio, voltatevi pure dall’altra parte, tanto si sa come vanno a finire queste cose, si sa che niente può cambiare. Voi avete dalla vostra la forza del buonsenso, quella che non aveva Peppino. Domani ci saranno i funerali. Voi non andateci, lasciamolo solo. E diciamolo una volta per tutte che noi siciliani la mafia la vogliamo. Ma non perché ci fa paura, perché ci dà sicurezza, perché ci identifica, perché ci piace. Noi siamo la mafia. E tu Peppino non sei stato altro che un povero illuso, tu sei stato un ingenuo, sei stato un nuddu miscato cu niente».

43 anni fa veniva assassinato Peppino Impastato
di Salvo Vitale
Telejato.it, 8 maggio 2021


Sono passati 43 anni e sembra ieri. Che cosa rende Peppino sempre attuale e degno di interesse? Indubbiamente la sua giovane età: è morto a 30 anni e quindi non ha avuto il tempo di invecchiare o di lasciare invecchiare le sue idee e tutto ciò in cui credeva. Altro elemento che lo rende vivo e presente è la radicalità delle sue scelte, il rifiuto del compromesso, la scelta senza discussioni delle proprie idee come base per costruire una società nuova e quindi la contestazione delle strutture autoritarie della società borghese, dalla chiesa, alla famiglia, alla scuola, alle istituzioni in genere. E poi la sua attualità è nella scelta degli strumenti di comunicazione, ultimo dei quali la Radio. Peppino progettava un’informazione veramente libera, non soggetta a censure, formativa e informativa dove la notizia era la narrazione del vissuto che ci circonda, dei drammi quotidiani dell’esistenza e non le vicende dei personaggi importanti, l’ufficialità dell’avvenimento, l’informazione istituzionalizzata.
Peppino era un giornalista purosangue, anche se non ha mai avuto il tesserino, anzi gli è stato dato ad honorem nel 1996, così come, sempre, nello stesso anno, la laurea. In questo contesto assume particolare importanza la satira e il dileggio di atteggiamenti, di idee, di manovre, di speculazioni, che “le persone che contano” ritengono intoccabili e sacrosante e di cui giornalmente si nutrono. In prima fila, tra queste persone, mafiosi e politici, ma anche preti, medici, avvocati, affaristi, in pratica quella che una volta si definiva “classe dominante”. Una delle canzoni da lui preferite era “Vecchia piccola borghesia”, di Claudio Lolli, “Vecchia piccola borghesia, per piccina che tu sia, non so dirti se fai più rabbia, pena, schifo o malinconia”. Dall’altro lato della barricata c’erano le persone più deboli e indifese, i lavoratori, gli edili, i contadini di Punta Raisi, gli stagionali di Città del mare, i disoccupati, i pescatori di Terrasini, coloro a cui Peppino aveva dedicato la vita e per i quali sognava di costruire una società diversa, dove tutti fossero uguali e senza privilegi. È chiaro che una persona del genere che voleva cambiare il contesto sociale in cui era nato e che tutti invece accettavano, non poteva che essere considerata scomoda e, alla fine, la sua morte ha rappresentato una sorta di liberazione. Ma naturalmente resta il fascino delle sue idee, ed è per questo che ogni anno ci si ricorda del suo barbaro omicidio, del tentativo di depistaggio che voleva farlo passare per un attentato terroristico, dell’impegno della famiglia e dei compagni per ottenere giustizia e verità e della lunga strada durata 22 anni, prima di riuscirci. Nel vuoto culturale che ci circonda Peppino è sempre un punto di riferimento.

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