Card. Sepe ai sacerdoti: il ministero della fede è nelle nostre mani

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L’istituzione dell’Eucaristia come rito memoriale della ‘nuova ed eterna alleanza’ è l’aspetto più evidente della celebrazione del Giovedì Santo, che, con il suo richiamo all’evento dell’ultima cena, pone al centro della memoria ecclesiale il segno dell’amore gratuito, totale e definitivo. All’interno della comunità, i rapporti reciproci sono valutati in chiave di servizio e non di potere, e trovano la loro più perfetta espressione nel momento dell’azione eucaristica. Il Concilio Vaticano II afferma nella ‘Lumen Gentium: “I Presbiteri… ad immagine di Cristo, sommo ed eterno Sacerdote, sono consacrati per predicare il vangelo, pascere i fedeli e celebrare il culto divino, quali veri sacerdoti dei Nuovo Testamento… Esercitando, secondo la loro parte di autorità, l’ufficio di Cristo Pastore e Capo, raccolgono la famiglia di Dio, quale insieme di fratelli animati da un solo spirito, e per mezzo di Cristo nello Spirito li portano al Padre…”.

 

Nella lettera ai sacerdoti della diocesi di Napoli il card. Crescenzio Sepe sottolinea la bellezza e la grandezza del ‘Mysterium fidei’ che unisce a Cristo sacerdote: “Nel giorno dell’Ordinazione, noi tutti fummo orientati a fare dell’Eucaristia il cuore della nostra esistenza sacerdotale. Il Vescovo, nel consegnarci il pane e il vino, ci esortò: ‘Ricevi le offerte del popolo santo per il Sacrificio eucaristico. Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai, conforma la tua vita al mistero della croce di Cristo Signore’. In quel giorno indimenticabile, ci fu affidato anche il ministero della presidenza liturgica, che trova il suo culmine nella celebrazione eucaristica, segnandoci l’itinerario di santificazione, rendimento di grazie, lode, adorazione e dono della vita con Cristo. Afferrati dalla totalità del mistero eucaristico possiamo gridare con l’Apostolo Paolo: ‘Sono stato crocifisso con Cristo e non vivo più io ma Cristo vive in me’”.

 

Questo ‘Mistero della fede’ deve essere contemplato e adorato per venire celebrato: “Noi sacerdoti, difatti, siamo anzitutto i contemplativi dell’Eucaristia, plasmati dal mistero celebrato su cui è fondata la nostra missione sacerdotale. Per questo l’Eucaristia ci appartiene e in essa troviamo le ragioni del nostro essere sacerdoti per la Chiesa e per il mondo. Nella celebrazione eucaristica, le nostre mani, povere, talvolta non del tutto pure, si riempiono di Dio”.

Tale consapevolezza comporta per il sacerdote l’educazione del “nostro popolo, a celebrare e vivere l’Eucaristia nello spirito della carità e della solidarietà. Il mistero della fede diventa vita, giacché Eucaristia e carità sono inseparabili: ‘Amore per i poveri e liturgia divina vanno insieme, l’amore per i poveri è liturgia’… E’ nella comprensione dell’amore per i poveri come liturgia che San Giovanni Crisostomo ha predicato con parresia contro lo sfarzo delle vesti dei ministri, richiamando la sua comunità a non separare mai l’onore dato a Cristo nella divina liturgia e l’onore da riservare ai poveri, icone vive del Signore”.

Il card. Sepe sottolinea che una fede adulta richiede educatori capaci di introdurre gli uomini e le donne di questo nostro tempo all’incontro con il Signore: “Maestri e padri nella fede, voi siete anche guide sicure per quanti desiderano intraprendere un cammino di fede incontro al Signore. E’ un compito difficile ma gioioso perché siamo accompagnati dallo Spirito del Signore. E’ una scelta radicale che ognuno di noi ha fatto, e che si concretizza in quella la carità pastorale che ci unisce a Cristo e ai fratelli rendendo ancora più saldo il vincolo di comunione con il Vescovo e con tutto il presbiterio.

Essa diventa carità operosa ogniqualvolta si manifesta come attenzione preferenziale per i poveri: attenzione non esclusiva e non escludente, per tutte le povertà vecchie e nuove presenti nelle nostre comunità. La carità pastorale, dunque, ci spinge ad accogliere ogni uomo, solidali con l’umanità sofferente e aperti al grido del Signore ‘Siate misericordiosi’, divenendo voce critica delle coscienze dinanzi a situazioni di ingiustizia conclamate. Questo significa che il sacerdote si manifesta uomo di fede non solo perché crede in Dio, ma anche perché crede nell’uomo fatto a immagine e somiglianza di Dio. La fede che si fa carità, chiede di aprire i nostri orizzonti all’umanità perché sono gli orizzonti sconfinati di Dio che hanno il sapore dell’eternità”.

Quindi solo la testimonianza vera dei sacerdoti potrà far ‘vedere’ Gesù a chi è desideroso crescere nella fede: “La carità più grande che gli uomini di questo nostro tempo attendono da noi è che la nostra vita renda credibile il messaggio che ci è stato affidato, un messaggio capace di dare speranza e di aprire l’’umanità del terzo millennio per accogliere ‘i cieli nuovi e la terra nuova’”.

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