I ragazzi del Papa, quelli di Casal del Marmo

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Le celle sono da 2 a 4 posti, ma ce n’è qualcuna singola, per i più grandi o per quelli che sono qui da più tempo. Le storie sono molto simili, e raccontano di disagio socio-economico, spesso legato a storie di immigrazione. Dei 50 ragazzi attualmente detenuti 42 sono stranieri, molti nati in Italia, alcuni arrivati da soli, soprattutto dall’Est europeo e dai paesi del Maghreb. Sono storie di strumentalizzazione da parte di connazionali adulti, che insistono su un contesto di povertà economica e sociale, e così i giovanissimi diventano piccoli spacciatori o ladri: i reati più comuni sono quelli contro il patrimonio (furto, rapina, spaccio). Per alcuni è la prima volta dietro le sbarre, altri invece tornano periodicamente. Don Nicolò Ceccolini, della Fraternità sacerdotale San Carlo Borromeo, da due anni presta servizio in questo carcere. Giovedì sarà vicino a Papa Francesco come diacono. “Sono tutti molto giovani, ma i loro occhi e i loro volti rivelano una vita vissuta già carica di anni.

Ci rechiamo lì una volta a settimana innanzitutto per stare con loro – racconta -.Entriamo nelle palazzine dove trascorrono la loro ora d’aria quotidiana tra il calciobalilla e qualche sigaretta oppure al campetto per correre dietro a un pallone. A volte capita che non facciano caso alla nostra presenza, presi dai loro pensieri, dalla fatica e dalla rabbia che sembrano avere il sopravvento. Altre volte invece iniziano a raccontare come sono arrivati lì, per piccoli furti, per spaccio, per delitti anche più gravi. Ti mettono davanti agli occhi le loro ferite, il loro dramma che quasi sempre è prima di tutto familiare. Un ragazzino ci raccontava che l’unica persona rimastagli era la nonna, la madre era morta e il padre si trovava rinchiuso nel carcere di Rebibbia”.

Con loro “la cosa più importante è la fedeltà. La settimana che non riusciamo ad andare se lo ricordano molto bene. Ora ci aspettano e ci attendono. Con alcuni siamo diventati amici, pur nella provvisorietà e precarietà del rapporto”. Come quel giorno che “nella palazzina dei più piccoli rincontriamo un ragazzo che ci aveva chiesto, settimane prima, di portargli una corona del rosario. Gliela diamo in mano e lui ci dice che sarebbe uscito di lì a poche ore per andare in una comunità. ‘Con questa corona ti ricorderai e ci terremo legati’. Il rosario diventa così il filo della speranza”. Padre Gaetano è il cappellano del carcere da oltre trent’anni. I ragazzi si sentono voluti bene da lui e quando lo vedono arrivare, lo chiamano: “padre”. Molti esprimono il desiderio, una volta terminato il periodo di detenzione, di andare a vivere nella casa d’accoglienza “Borgo Amigo” che padre Gaetano ha fondato e in cui attualmente vive con undici ragazzi destinati alle “pene alternative”. Alla Messa saranno presenti tutti coloro che vivono e prestano la loro opera nel carcere: ragazzi in primis, operatori e volontari.

Unici ospiti esterni il ministro della Giustizia Paola Severino e il capo dipartimento delle Giustizia minorile, Caterina Chinnici. Un ragazzo leggerà la prima lettura, un agente di Polizia penitenziaria il salmo, e un volontario la seconda lettura. Le preghiere dei fedeli sono state preparate dai giovani detenuti. Dice ancora don Nicolò: “Questo penso sia l’essenza del nostro andare in carcere e anche della visita del Papa: non c’è sbaglio che possa cancellare l’unicità e il valore di ogni persona. Proprio perché hanno sbagliato e sono caduti, sono ancora di più al centro del cuore di Cristo, del Papa, della Chiesa”.

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