Naufragi nel Mediterraneo: l’ospitalità è grazia

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“Vi confesso che sono molto addolorato per la tragedia che ancora una volta si è consumata nei giorni scorsi nel Mediterraneo. Centotrenta migranti sono morti in mare. Sono persone, sono vite umane, che per due giorni interi hanno implorato invano aiuto, un aiuto che non è arrivato. Fratelli e sorelle, interroghiamoci tutti su questa ennesima tragedia. E’ il momento della vergogna. Preghiamo per questi fratelli e sorelle, e per tanti che continuano a morire in questi drammatici viaggi. Preghiamo anche per coloro che possono aiutare ma preferiscono guardare da un’altra parte. Preghiamo in silenzio per loro”.

Così al termine del Regina Coeli di domenica scorsa papa Francesco ha pregato per i migranti morti nel mar Mediterraneo nel naufragio avvenuto mercoledì 21 aprile, senza che nessuna autorità fosse intervenuta, come ha affermato la portavoce dell’Oim, l’organizzazione dell’Onu per i migranti, Safa Mshli:

“Gli Stati si sono opposti e si sono rifiutati di agire per salvare la vita di oltre 100 persone. Hanno supplicato e inviato richieste di soccorso per due giorni prima di annegare nel cimitero del Mediterraneo. E’ questa l’eredità dell’Europa?”

Anche le Acli hanno chiesto perché esista questa indifferenza davanti alla morte: “Finché non si assume finalmente il concetto che il fenomeno migratorio è un dato di fatto e non un capriccio che buonisti o cattivisti possono o meno avallare; finché l’Europa continua a inseguire la politica dell’esternalizzazione, rimanendo ostaggio economico e politico di Paesi che non rispettano i più elementari diritti umani; finché si ringraziano i libici per i salvataggi in mare anziché disconoscerli per la violenza (ampiamente documentata) perpetrata da anni sui migranti;

finché si preferisce criminalizzare le ong impegnate in missioni di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo anziché apprezzarle perché sono le uniche a rispettare la legge del mare, i morti aumenteranno. Si è compiuta l’ennesima tragedia in mare nell’omertoso silenzio e nella chiara volontà di inerzia dell’Europa”.

Mentre la Comunità di Sant’Egidio ha promosso una veglia di preghiera, presieduta da mons. Marco Gnavi, parroco della basilica romana di Santa Maria in Trastevere, ricordando che nessuno si salva da solo: “La morte di questi nostri fratelli e di queste nostre sorelle, è un appello doloroso a lasciarci scuotere…

Questa è la ragione più profonda della nostra invocazione. Sentiamo infatti la responsabilità personale e collettiva di non volgere gli occhi altrove e di reagire operosamente e decisamente perché non si può lasciare il deserto in mare di soccorritori: che si torni a soccorrere e salvare; salvando la vita degli altri preserveremo anche la nostra umanità dall’imbarbarimento”.

Mons. Gnavi ha sottolineato che il cinismo non ci salva: “Nell’indifferenza ripetiamo sommessamente: salva te stesso! Al cinismo dei trafficanti non possiamo opporre il cinismo della distanza e il mancato soccorso. Occorre potenziare vie legali di immigrazione, rafforzare i  corridoi umanitari.

Non accettare che porti, ormai universalmente riconosciuti insicuri, e luoghi di detenzione e tortura siano un destino ineluttabile. Possiamo tutti fare di più, istituzioni e noi tutti! Soprattutto non dormire accanto a un mondo in agonia”.

Ripetendo una frase di don Pino Puglisi (‘Se ognuno fa qualcosa, si può fare molto’) ha affermato che la Resurrezione passa solo attraverso la croce: “La speranza divenga impegno quotidiano ,superamento dell’irrilevanza e la Chiesa sia efficace espressione della misericordia di Dio. L’ospitalità doni parole nuove alla cultura, generi energie di bene. Il grido dei migranti non ci trovi timidi o tiepidi, perché dalla croce si possa intravedere la resurrezione”.

Mentre da Torino mons. Cesare Nosiglia ha celebrato una messa in suffragio dei migranti, ricordando il salmo pronunciato da Giona nel ventre del pesce: “Sentiamo su di noi il peso di questa angoscia, di questa sofferenza, di questo dramma, di questa tragedia accaduta vicino a noi, tanto vicino a noi, vicino al nostro Paese, vicino alla nostra Europa, al confine dell’Europa.

Siamo ancora turbati per ciò che è accaduto e vorremmo che tutto il mondo facesse suo questo Salmo, queste parole di Giona e che tutti potessero almeno per un momento identificarsi con l’angoscia di chi è travolto dalle onde di un mare agitato, senza nessun riferimento, senza nessun appoggio, senza nessun salvataggio”.

Ed ha invitato ad essere ospitali, perché è una grazia di Dio: “Facciamo dell’ospitalità ogni giorno in questa città un evento di grazia del Signore, mostriamo che l’ospitalità è possibile; che non solo è possibile ma che è un evento di grazia del Signore e che le porte chiuse e che i muri rappresentano solo una crudeltà. 

L’ospitalità è un evento di grazia del Signore, lo sperimentiamo ogni giorno. Il Signore si onora di visitarci e di farsi accogliere inviando presso di noi una sua immagine, quella del migrante e del rifugiato”.

In fondo tutti siamo custodi di Abele: “Non possiamo solo alzare il dito per accusare altri che pure hanno una grande responsabilità, ma accusiamo anche noi stessi la nostra indifferenza e noncuranza verso questi fratelli e sorelle e chiediamo il loro perdono perché non si ripeta più una simile tragedia”.

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