Patriarca Moraglia chiede l’intercessione di san Marco

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Venezia ha festeggiato san Marco, il suo patrono, domenica scorsa, le cui ceneri arrivano nell’892, che secondo una leggenda erano state trafugate dalla città di Alessandria d’Egitto ad opera di due marinai, Rustico di Torcello e Bon di Malamacco. Però un’altra , leggenda narra che san Pietro aveva consigliato a  Marco di recarsi prima ad Aquileia, poi ad Alessandria d’Egitto con lo scopo di convertire gli infedeli di quel paese. In una tempesta, la nave dove era imbarcato Marco, si riparò  in una delle poche capanne di pescatori che sorgevano sull’isola di Rialto.

Ed in questa solennità il patriarca Francesco Moraglia ha ricordato che è anche la festa della Liberazione: “Oltre ad essere la giornata in cui la Chiesa cattolica celebra la festa dell’evangelista Marco, è anche la giornata in cui come cittadini ricordiamo la conclusione della seconda guerra mondiale e l’inizio di una ripartenza che non fu facile, ma che finalmente tornava a guardare l’uomo e non le ideologie. Era stato proprio l’accordo tra le due ideologie del XX secolo che, sei anni prima, aveva posto le premesse immediate alla conflagrazione del conflitto”.

Dopo aver sottolineato che è una festa in ‘presenza’ il patriarca ha sottolineato che il Vangelo è l’annuncio di Gesù: “E’ questa la ‘consegna’ che Marco affida ai cristiani di tutti i tempi, insieme alla certezza della presenza viva ed operosa, in mezzo a noi, del Risorto, che mai verrà meno.

Portare a tutti la buona notizia e la vita nuova che nasce dal battesimo è perciò l’augurio che rivolgo a tutti e, in particolare, ai rappresentanti delle confessioni cristiane che ci onorano oggi con la loro gradita presenza”.

Venezia ha l’onore di festeggiare l’evangelista, ma è anche una responsabilità: “Marco fu, infatti, discepolo ed evangelista (fu lui a inaugurare questo genere letterario) e infine concluse la sua vita col martirio; antiche fonti riferiscono, in circostanze brutali, ad Alessandria d’Egitto; dopo essere stato legato, fu trascinato per la città in un percorso scosceso; alcuni ‘resti’ sono incastonati, come reliquie, sotto l’altare di questa basilica a lui intitolata”.

Il patriarca, nel narrare le vicende dell’evangelista, ha evidenziato anche le difficoltà dell’annuncio: “La vicenda di Marco manifesta le incomprensioni che possono generarsi nel rapporto ecclesiale fra evangelizzatori proprio nell’annuncio del Vangelo.

E questa situazione, che si manifesta già nel primo secolo, non è detto non si riproponga anche oggi a 2000 anni di distanza, ed è un monito per i discepoli del Signore”.

Ma anche la possibilità della riconciliazione: “Nello stesso tempo la vicenda ci indica la possibilità di trovare la riconciliazione e la comunione, caratteristiche di una vera comunità ecclesiale nata a partire dalla fede in Gesù risorto e che pone Lui, Gesù, non i particolarismi o protagonismi di qualcuno, al centro di tutto”.

Ed il suo Vangelo ha al centro Gesù: “Tutto, nel Vangelo di Marco, ci riconduce sempre a Gesù Cristo da confessare, annunciare e comprendere, così come può essere compreso dagli uomini: è Lui la buona novella, è Lui l’unico Salvatore, non ce ne sono altri. Ma, nello stesso tempo, in questo cammino di fede c’è anche una progressione, uno sviluppo…

C’è una crescita che il discepolo deve compiere, percorrendo la stessa strada di Gesù, per conoscerlo e incontrarlo davvero e poterlo annunciare e professare con verità e consapevolezza, senza che vi sia alcun fraintendimento o la pretesa di ‘impossessarsi’ di Gesù e del Vangelo, che è la sua stessa Persona”.

Quindi è possibile l’annuncio anche oggi: “L’evangelista, nostro patrono, dice a noi che Gesù non è un personaggio del passato né una figura mitica, ma è il Vivente, l’unico Signore.

Marco ci ricorda che le promesse di Dio non vengono meno, anche se non rispettano i tempi degli uomini, anche se non seguono le logiche degli uomini, ma le promesse di Dio si realizzano proprio nel Risorto; ci richiama, infine, al fatto che il Vangelo non è prima di tutto un libro che si legge ma è lo stesso Gesù Cristo vivo che va testimoniato sempre e in ogni ambito, senza timori, senza incertezze, con umiltà e con gioia”.

Il Vangelo comporta la testimonianza: “San Marco ha vissuto per primo tutto ciò, fino alla testimonianza somma di un martirio prolungato e crudele come avviene, oggi, per molti cristiani nel nostro tempo: si stima, infatti, che in tutto il mondo siano intorno a 200.000.000 i cristiani di ogni confessione, non solo cattolici, perseguitati e in molte (troppe) parti, dall’Africa all’Asia, le condizioni di sicurezza e libertà religiosa tendono tragicamente a peggiorare tanto che, ancora oggi, come nei primi tempi, vi sono luoghi in cui i discepoli del Signore sanno di andare la domenica a Messa rischiando di non tornare a casa. Eppure danno questa testimonianza”.

Ed ha concluso l’omelia chiedendo la protezione dell’evangelista: “San Marco, patrono di Venezia e protettore delle genti venete, interceda per noi e ci doni coraggio, prontezza e generosità per metterci alla scuola del Vangelo di Gesù (il Risorto, il Vivente) affinché ‘impariamo anche noi a seguire fedelmente il Cristo Signore’”.

(Foto: Patriarcato di Venezia)  

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