L’Italia ha celebrato la Liberazione

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“Questa giornata, per gli italiani, rappresenta la festa civile della riconquista della libertà. La vittoria dell’umanità sulla barbarie. Il giorno di un nuovo inizio, pieno di entusiasmo, portato a compimento con la Costituzione Repubblicana del 1948”.

Così il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al Quirinale ha ricordato il 76^ anniversario della Liberazione, annunciata dalla voce di Sandro Pertini dai microfoni di ‘Radio Milano Liberata’, a nome del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia e del Corpo Volontari della Libertà:

“Le conquiste politiche, sociali, culturali, i diritti, la libertà di opinione, di voto, di associazione, di cui oggi godiamo, trovano il loro saldo radicamento nel 25 aprile. E, grazie alla Repubblica e alla sua Costituzione nate dalla Resistenza, furono estesi a tutti, senza eccezioni. A chi partecipò al movimento di Liberazione, a chi lo sostenne, a chi se ne sentì estraneo, anche a chi lo combatté”.

Eppoi ha ringraziato gli italiani di quel tempo per aver lottato per la libertà: “Furono i valori di pietà e di civiltà della nostra gente, la ribellione contro la prepotenza e la furia cieca e devastatrice, a provocare le tante rivolte in molti paesi e città dell’intero territorio nazionale.

Furono sentimenti semplici di solidarietà, di repulsione contro la crudeltà, a muovere gran parte della popolazione a resistere, a sostenere materialmente i partigiani o l’esercito alleato, a boicottare i nazifascisti, a nascondere in casa un ebreo, un renitente o un soldato alleato, pur sapendo che questa scelta di umana solidarietà poteva mettere a rischio la propria vita e quella dei propri cari.

Fu il senso dell’onore e dell’amor patrio a far preferire a 600.000 militari italiani la terribile, e spesso mortale, deportazione nei lager in Germania, piuttosto che combattere a fianco degli oppressori e degli aguzzini”.

Concludendo l’intervento il presidente della Repubblica si è rivolto ai giovani, chiedendo di non dimenticare questa data: “Resistere fu anzitutto un’assunzione di responsabilità personale, talvolta pagata con la vita. Una disponibilità al sacrificio, una scelta rischiosa fatta come atto di amore per la Patria, per la propria comunità. Un regalo alle generazioni che sarebbero venute dopo.

Questo è il lascito più vivo della Resistenza, il cui valore morale si è proiettato anche oltre il significato storico e politico di quella esperienza. Ed è per questo che quel patrimonio di ideali e di valori ha continuato a parlarci così a lungo e ci sostiene, oggi, nelle difficoltà del presente.

Vorrei dire soprattutto ai giovani di oggi: il ricordo, la consapevolezza del dolore, dei sacrifici, dei tempi bui che, nel corso del tempo, abbiamo più volte attraversato, ieri come oggi, ci tengono uniti. Ci fanno riconoscere nel nostro comune destino. Quel ricordo è il cemento che tiene insieme la nostra comunità”.

Anche mons. Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara-Comacchio, per la Festa della Liberazione, ha inviato un messaggio pubblicato sul settimanale diocesano ‘La Voce’: “Il 25 aprile ricordiamo la Liberazione del nostro Paese dai nazisti e dai loro alleati. La Liberazione è nata dal basso, da una reazione popolare alla violenza, alle ingiustizie, coinvolgendo in modo diverso le realtà politiche, sociali e anche ecclesiali”.

Ed ha ricordato Teresio Olivelli ed i cattolici che hanno contribuito alla Resistenza: “Ricordiamo l’impegno di tanti, anche cristiani (penso a Teresio Olivelli, oggi Servo di Dio, tra i fondatori delle Fiamme Verdi, i partigiani cristiani), il sacrificio di tanti, anche sacerdoti (come il parroco di Iolanda don Pietro Rizzo o gli 11 sacerdoti del reggiano, uccisi per resistere alla violenza irrazionale fascista prima e comunista atea poi).

Ricordiamo le ingiustizie e, per liberare le nostre città (iniziando così una stagione democratica e civile fondata sulla Costituzione), non possiamo oggi non riportare alla memoria che questo impegno per la tutela della dignità umana, per la giustizia e la pace continua ad essere al centro dell’impegno della Chiesa e dei cristiani, impegno rinnovato dal decreto conciliare Dignitatis humanae e dai numerosi appelli del Magistero Sociale della Chiesa, da S. Giovanni Paolo II a papa Francesco”.

Oggi resistenza vuol dire tutela della vita: “Resistere oggi non può dimenticare la tutela della vita e della dignità della persona sempre e ovunque, liberando il nostro Paese da ogni forma di offesa, disprezzo e violenza alla vita di chi nasce, di chi è debole, di chi è migrante, di chi sta morendo. E’ un impegno di tutti, libero da ogni ideologia”.

Mentre mercoledì 21 aprile Bologna ha ricordato i 300 soldati polacchi, sepolti nel cimitero, fondato nel 1946 nei sobborghi della città, a San Lazzaro di Savenna, su iniziativa del generale Anders, costruito dai soldati polacchi con l’aiuto degli artigiani italiani:

“Quando non si sceglie con convinzione la via della pace e della giustizia siamo tutti più deboli e il mondo è in pericolo. La desolazione di questo campo ci impone di non dimenticare il loro testamento di pace e di scegliere la vita di ogni persona e di scegliere l’arte della tenacia e dell’incontro. Siamo figli di un Dio che chiede a tutti di amore i nemici e di combattere il male con l’amore. La guerra è la pandemia perché scatena tutti i virus del male. Siamo qui ad ascoltare il testamento che ci lasciano”.

Inoltre in questa festa della Liberazione la Chiesa ha beatificato don Giovanni Fornasini, martire in odio alla fede, a Monte Sole nel 1944, a pochi chilometri da Marzabotto, medaglia d’oro alla memoria con la seguente motivazione:  

“Voce della fede e della patria, osava rinfacciare fieramente al tedesco la inumana strage di tanti deboli ed innocenti richiamando anche su di sé le barbarie dell’invasore e venendo a sua volta abbattuto, lui pastore, sopra il gregge che, con estremo coraggio, sempre aveva protetto e guidato con la pietà e con l’esempio”.

Don Fornasini fu ucciso a 29 anni, sulla linea Gotica, quando era parroco a Sperticano di Monte Sole, sulle colline bolognesi. Nel periodo bellico, con la sua bicicletta, lavorava tanto a fianco della sua gente e varie volte si offrì anche come vittima al posto di altri e per molti ottenne anche la grazia.

Fu trucidato dai nazisti il 13 ottobre 1944, quando si recò con un comandante tedesco a san Martino di Caprara, per seppellire e benedire le vittime della strage  compiuta; non fece più ritorno. Per la Chiesa è stato appurato che da parte delle SS c’è stato odium fidei condito da rancori per questo prete che era una coscienza viva e critica.

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