“Rispettate il coprifuoco”: Mons. Battista Ricca richiama gli ecclesiastici ospiti della Domus Internationalis “Paulus VI su rientri dopo la mezzanotte e all’alba

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Un flash ieri di Dagospia (“Lockdown in Vaticano-Il richiamo del Direttore della Casa di Santa Marta” [QUI]) ad un lettore distratto farebbe pensare che si trattasse di un richiamo di Mons. Battista Ricca agli ospiti della Domus Sanctae Marthae. Scrive Dagospia nel flash di ieri, 19 aprile 2021: «Lockdown allegro in Vaticano! – Monsignor Ricca, Direttore della Casa di Santa Marta, residenza del Papa, oggi pomeriggio ha richiamato all’ordine le anime pie al rispetto del coprifuoco – (…) – Pura commedia all’italiana!».

Commenta Ignazio Riccio oggi, 20 aprile 2021 su Ilgiornale.it [QUI], riportando il testo dell’Avviso pubblicato da Dagospia il giorno prima: «”Rispettate il coprifuoco”. Cosa accade a casa del Papa. (…) Lo scrive monsignor Battista Ricca, il direttore di Casa Santa Marta in Vaticano, in cui risiede anche Papa Francesco, in un avviso affisso fuori dalla residenza, pubblicato dal sito Dagospia”.

Anche se Mons. Ricca è pure il Direttore della residenza di Papa Francesco, l’albergo a cinque stelle Domus Sanctae Marthae nella Città del Vaticano, accanto all’Aula Paolo VI, l’Avviso è redatto su carta intestata (intestazione in gran parte coperta nella foto pubblicata da Dagospia) e con timbro della Domus Internationalis “Paulus VI” [*], che invece si trova vicino a piazza Navona.

Mentre carta intestata e timbro non lasciano spazio al dubbio di quale residenza si tratta, nel caso della Domus Sanctae Marthae sarebbe stato il Sostituto della Segreteria di Stato a emettere eventualmente un’Avviso, visto che è lui che trova ogni mattino sulla sua scrivania il rapporto di polizia redatto dal Corpo della Guardia Svizzera Pontificia, con l’annotazione dei residenti rientrati dopo le ore 22.00. Sì, perché il “coprifuoco” esiste già da moltissimo tempo, prima della versione italiana per motivi dell’emergenza da Covid-19).

Domus Internationalis “Paulus VI”.

Sandro Magister oggi, 20 aprile 2021 sul suo blog Settimo Cielo (“Strani avvisi agli ospiti degli alberghi vaticani. Negato il soccorso ai nottambuli”) [QUI] commenta:
«In questi giorni è comparso all’ingresso della residenza vaticana di Via della Scrofa, quella dove alloggiava Jorge Mario Bergoglio prima dell’elezione, gemella della casa di Santa Marta nella quale ora abita da papa, il seguente testuale ”Avviso”: [segue foto e testo dell’Avviso].
In un italiano parecchio zoppicante, veniamo dunque a sapere che tra gli ospiti degli alberghi vaticani non tutti osservano il divieto di circolare tra le 22 e le 5 che vale per Roma e per l’Italia.
Papa Francesco, pur esortando tutti a una rigorosa osservanza delle norme anti-Covid imposte dalle autorità italiane, se ne è spesso discostato nei fatti, da ultimo indulgendo anche ai “baciamano”. Ma certo non è mai andato “in giro in piena notte o verso l’alba” a fare chissà che, al pari di qualche suo compagno d’albergo.
Ma l’elemento più curioso è in chi firma l’avviso. Monsignor Battista Ricca, oltre che direttore delle residenze vaticane di Santa Marta e di Via della Scrofa, ha un passato da diplomatico, poi troncato a motivo di certe sue intemperanze omosessuali.
Quelle che più gli compromisero la carriera sono documentate negli archivi della nunziatura di Montevideo, in Uruguay, dove Ricca prestò servizio tra il 1999 e il 2001.
Forte di questa documentazione, “L’Espresso” ne riferì in un servizio del 18 luglio 2013, nel quale tra l’altro si leggeva [segue il testo integrale]:
“Nei primi mesi del 2001 Ricca incappò in più di un incidente per la sua condotta sconsiderata. Un giorno, recatosi come già altre volte – nonostante gli avvertimenti ricevuti – in Bulevar Artigas, in un locale di incontri tra omosessuali, fu picchiato e dovette chiamare in aiuto dei sacerdoti per essere riportato in nunziatura, con il volto tumefatto.
“Nell’agosto dello stesso 2001, altro incidente. In piena notte l’ascensore della nunziatura si bloccò e di prima mattina dovettero accorrere i pompieri. I quali trovarono imprigionato nella cabina, assieme a monsignor Ricca, un giovane che le autorità di polizia identificarono”.
Il 28 luglio 2013, sul volo di ritorno da Rio de Janeiro, nella prima delle sue conferenze stampa in aereo, Francesco fu interrogato da una giornalista brasiliana proprio sul caso di Monsignor Ricca. E fu allora, nel rispondere, che il papa pronunciò la famosa frase: “Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla?”.
Stando all’avviso affisso in questi giorni, non pare che Monsignor Ricca sia altrettanto indulgente verso gli odierni nottambuli, accasati nei suoi alberghi».

Avviso
Pur essendo spiacevole, sono costretto a richiamare ai Reverendi Ospiti la necessità di rispettare coscienziosamente il coprifuoco imposto dalle Autorità Statali.
Mi sembra oltremodo fuori luogo e pericoloso che vi siano rientri in casa alle 0.30, 2.00 e 2.15 di notte.
Il sottoscritto, pur essendo molto disponibile, non è tenuto ad alzarsi in piena notte per soccorrere qualche confratello incappato nei rigori delle Forze dell’Ordine.
Pertanto, a chi capita, spetterà l’onere di dimostrare chi sono, che cosa facevano in giro in piena notte o verso l’alba.
Grato per l’attenzione, saluto con cordialità.
Mons. Battista Ricca
Direttore


Santo Padre, possiamo anche chiedere di Mons. Ricca? E ottenere delle risposte?

Quell’Avviso per i nottambuli negli alberghi ecclesiastici di Mons. Rica – reso di pubblico dominio da Dagospia ieri – ha fatto ricordare a Magister come a noi, l’esistenza del Direttore della Domus Sanctae Marthae e della Domus Internationalis “Paulus VI”, nonché l’uomo di Papa Francesco al Torrione di Niccolò V, quello che riferisce direttamente al Santo Padre di quanto accade nell’Istituto per le Opere di Religione (IOR) e da lui difeso a gamba tesa e lancia in resta, nella sua funzione di Prelato “ad interim” della “Banco di San Pietro” e – per ultimo ma non il meno importante – chiacchierato personaggio e informatore principale di Martel per “Sodoma”.

Rimangono due domande

La prima è: perché Mons. Ricca è ancora Prelato (visto che è presentato ancora come “interim”) dello IOR, dal 19 giugno 2013.

La seconda è: perché Mons. Ricca e ancora Direttore dell’albergo vaticano a 5 stella di Santa Marta, nonché residenza del Papa regnante?

Nella Chiesa della trasparenza, della parresia, delle porte aperte e della collegialità sarebbe bello avere qualche risposta a queste domande già poste più volte, da più comunicatori e da molto tempo.

Si potrebbe osservare che Mons. Ricca con il suo “Avviso” ha perso un’altra volta l’occasione per farsi dimenticare (anche se neanche facendo niente non riuscirebbe nell’impresa).

Mons. Battista Ricca.

Ior: in 2018 quasi dimezzato risultato
Mons. Ricca, “bene così, ci ricorda che istituto è secondario”
(ANSA) – CITTÀ DEL VATICANO, 11 GIUGNO 2019 –
L’Istituto per le Opere di Religione nel 2018 ha servito 14.953 clienti rappresentativi di 5 miliardi di euro di risorse finanziarie (5,3 miliardi nel 2017), di cui 3,2 miliardi relativi a risparmio gestito e in custodia; ha ottenuto un risultato netto pari a 17,5 milioni di euro (31,9 milioni nel 2017), “nonostante la forte turbolenza dei mercati nel corso dell’anno e la persistenza di tassi d’interesse ancora molto bassi”. Lo riferisce una nota che sintetizza il bilancio 2018 della ‘banca’ vaticana. “Forse si rimarrà un po’ sorpresi dal confronto tra gli utili degli anni precedenti e l’utile di quest’anno. Io penso però che ci sia anche un aspetto positivo” che “serva a ricordarci la secondarietà dell’istituto e a tenerlo al suo posto”. È il commento di Mons. Battista Ricca, Prelato dello IOR, al calo degli utili. “Troppi soldi rischiano di farci perdere il bene dell’intelletto e credere di essere quasi onnipotenti. Quest’anno – sottolinea – non corriamo questo rischio”.

“Quelli dimezzano gli utili e fanno mancare cospicui fondi alla Santa Sede. Comunque hanno cifre ridicole e danno la colpa alla gestione precedente ma lo storico degli utili li uccide” (Cit.).

Con la logica di Mons. Ricca si può dire che sono “secondari” anche altre forme di sostentamento alla Chiesa Cattolica Romana in Italia (p.es. l’8 per mille, quindi il ricavo può anche essere dimezzato) e alla Santa Sede (tutte le attività dello Stato della Città del Vaticano che producono reddito ad uso e consumo della Santa Sede, l’Obolo di San Pietro, ecc.)…

“Noi siamo umani, esseri imperfetti, a cui il peccato può essere perdonato dal Signore, al contrario degli angeli, esseri perfetti, a cui il Signore non perdona il peccato. Se commetti un peccato puoi confessarlo e ricominciare col perdono del Signore. Se giustifichi o neghi un peccato, non puoi salvarti” [QUI].

Francesco recidivo. Non ha coperto solo McCarrick
di Sandro Magister
Settimo Cielo, 31 agosto 2018


“L’ho letto e non dirò una parola. Leggetelo voi [giornalisti] e fate voi il vostro giudizio. Quando sarà passato un po’ di tempo e voi avrete tratto le conclusioni, forse io parlerò”.

È così che papa Francesco – la sera del 26 agosto sull’aereo di ritorno da Dublino – ha risposto a chi l’interpellava sull’atto d’accusa che la mattina stessa gli aveva rivolto l’ex nunzio negli Stati Uniti Carlo Maria Viganò.

Una risposta molto elusiva. Al pari di altre sue precedenti reazioni, ogni volta che si è visto attaccato. Come nel caso dei “dubia” sulla sua correttezza dottrinale sollevati nel 2016 da quattro autorevoli cardinali, che egli non ha mai voluto né ricevere né degnare di un chiarimento.

Questa volta però, oggetto dell’accusa non è una controversia dottrinale “ad intra”, di scarso impatto sull’opinione pubblica laica, ma una questione di sesso, anzi, di omosessualità praticata per decenni, con decine di partner, da un ecclesiastico americano di prima grandezza, arrivato ad essere arcivescovo di Washington e cardinale, Theodore McCarrick.

In sostanza Viganò accusa papa Francesco di essere stato informato da lui delle malefatte di McCarrick fin dal 23 giugno del 2013, ma di non aver poi agito di conseguenza, anzi, di aver tenuto il reprobo vicino a sé come suo primo consigliere nelle nomine che stanno ridisegnando la gerarchia cattolica negli Stati Uniti, promuovendo i suoi protetti. Solo quest’anno, a seguito della denuncia di un suo abuso anche su un minorenne, il papa avrebbe deciso di sanzionare McCarrick e di spogliarlo del cardinalato.

L’accusa è di una pesantezza inaudita ed è difficilmente contestabile nella sua sostanza, anche per i ruoli chiave ricoperti in passato da Viganò in curia e in diplomazia. Ma, appunto, papa Francesco ha scelto anche in questo caso di non reagire. Ha lasciato ai professionisti dei media il compito di giudicare. Sicuro che molti si pronuncino in sua difesa, come è già avvenuto con i “dubia”, dove in effetti la successiva battaglia si è risolta di fatto a suo favore.

Che però la vittoria gli arrida anche questa volta, è tutto da vedere.
Il caso McCarrick non è l’unico, nel suo genere, a mettere in difficoltà Jorge Mario Bergoglio.

Ce n’è un altro che gli somiglia come un gemello. Riguarda monsignor Battista Ricca, direttore della Casa di Santa Marta scelta da Francesco come sua residenza e da lui promosso il 15 giugno 2013, all’esordio del pontificato, prelato dello IOR, cioè referente del papa nella “banca” vaticana, con facoltà di presenza a tutte le riunioni del board e di accesso a tutta la documentazione.

Nella seconda metà di quel mese di giugno del 2013 erano convenuti a Roma da tutto il mondo gli ambasciatori della Santa Sede. Ed è in quell’occasione che Viganò, all’epoca nunzio a Washington, incontrò Francesco e gli disse delle malefatte di McCarrick.

Ma anche la nomina di Ricca a prelato dello IOR, avvenuta pochi giorni prima, aveva creato forte sconcerto in un buon numero di nunzi, che l’avevano conosciuto come consigliere diplomatico in Algeria, in Colombia, in Svizzera e poi in Uruguay, ovunque con una condotta tutt’altro che illibata, specie nell’ultima destinazione.

A Montevideo, tra il 1999 e il 2001, Ricca conviveva con il proprio amante, l’ex capitano dell’esercito svizzero Patrick Haari, che l’aveva seguito fin lì da Berna. E in più frequentava luoghi d’appuntamento con giovani dello stesso sesso, una volta subendo un pestaggio e un’altra volta finendo bloccato in ascensore, dentro la nunziatura, con un diciottenne già noto alla polizia uruguayana.

Finì che Ricca fu ritirato dal servizio diplomatico sul campo e richiamato a Roma, dove, però, miracolosamente, la sua carriera ricominciò con successo, portandolo a divenire consigliere diplomatico di prima classe nell’organico della segreteria di Stato e soprattutto direttore delle tre residenze vaticane per i cardinali e i vescovi in visita a Roma, tra cui quella di Santa Marta, con l’opportunità di tessere eccellenti rapporti, anche di amicizia, con ecclesiastici di mezzo mondo tra i quali Bergoglio, che appena eletto papa lo ammise nella sua cerchia più intima, di cui continua a far parte ancor oggi.

Ebbene, tra i nunzi convenuti a Roma in quel mese di giugno del 2013 c’erano anche quelli che sapevano degli scandalosi precedenti di Ricca e ritenevano che papa Francesco non ne fosse al corrente, vista la sua promozione del personaggio, pochi giorni prima, addirittura a prelato dello IOR.

Ci fu quindi chi, in quei giorni, volle mettere in guardia Francesco informandolo sui trascorsi di Ricca.

Non solo. Tra i numerosi testimoni della scandalosa condotta di Ricca a Montevideo c’erano anche dei vescovi uruguayani, uno dei quali, dopo la nomina dello stesso Ricca a prelato dello IOR, ritenne doveroso scrivergli una lettera accorata in cui lo pregava, “per amore del papa e della Chiesa”, di dimettersi.

E in effetti Francesco volle veder chiaro nella documentazione sui trascorsi di Ricca che si trovava nella nunziatura di Montevideo. Se la fece recapitare a Roma attraverso suoi canali personali, senza passare dalla segreteria di Stato.

Nel frattempo, sull’Espresso, era uscito un servizio molto dettagliato su Ricca. Il quale pubblicamente non reagì in alcun modo, mentre però in privato liquidava come “chiacchiere” tutti quei fatti riportati contro di lui, e teneva a far sapere che anche il papa, da lui incontrato, li riteneva “chiacchiere” prive di fondamento.

Interpellato nel luglio del 2013 dalla stampa uruguayana e argentina sulla sorte del prelato, l’allora nunzio a Montevideo, Guido Anselmo Pecorari, si limitò a questa dichiarazione laconica: “Ritengo che la questione sia nelle mani della Santa Sede. E sicuramente il Santo Padre, nella sua saggezza, saprà come fare”.

Sta di fatto che alla fine del mese di luglio, nella conferenza stampa sul volo di ritorno a Roma da Rio de Janeiro, dove si era recato per la giornata mondiale della gioventù, papa Francesco fu effettivamente interrogato da una giornalista brasiliana sul caso Ricca e sulla cosiddetta “lobby gay”. E questa fu la sua risposta testuale, trascritta così nel bollettino ufficiale della Santa Sede:

“Quanto a mons. Ricca ho fatto quello che il diritto canonico manda a fare, che è la ‘investigatio previa’. E da questa ‘investigatio’ non c’è niente di quello di cui l’accusano, non abbiamo trovato niente di quello. Questa è la risposta. Ma io vorrei aggiungere un’altra cosa su questo: io vedo che tante volte nella Chiesa, al di fuori di questo caso ed anche in questo caso, si vanno a cercare i ‘peccati di gioventù’, per esempio, e questo si pubblica. Non i delitti, eh? i delitti sono un’altra cosa: l’abuso sui minori è un delitto. No, i peccati. Ma se una persona, laica o prete o suora, ha fatto un peccato e poi si è convertito, il Signore perdona, e quando il Signore perdona, il Signore dimentica e questo per la nostra vita è importante. Quando noi andiamo a confessarci e diciamo davvero: ‘Ho peccato in questo’, il Signore dimentica e noi non abbiamo il diritto di non dimenticare, perché corriamo il rischio che il Signore non si dimentichi dei nostri [peccati].  È un pericolo quello. Questo è importante: una teologia del peccato. Tante volte penso a San Pietro: ha fatto uno dei peggiori peccati, che è rinnegare Cristo, e con questo peccato lo hanno fatto papa. Dobbiamo pensare tanto. Ma, tornando alla sua domanda più concreta: in questo caso, ho fatto l’’investigatio previa’ e non abbiamo trovato. Questa è la prima domanda. Poi, lei parlava della lobby gay. Mah! Si scrive tanto della lobby gay. Io ancora non ho trovato chi mi dia la carta d’identità in Vaticano con ‘gay’. Dicono che ce ne sono. Credo che quando uno si trova con una persona così, deve distinguere il fatto di essere una persona gay, dal fatto di fare una lobby, perché le lobby, tutte non sono buone. Quello è cattivo. Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla? Il Catechismo della Chiesa Cattolica spiega in modo tanto bello questo, ma dice – aspetta un po’, come si dice… – e dice: ‘Non si devono emarginare queste persone per questo, devono essere integrate in società’. Il problema non è avere questa tendenza, no, dobbiamo essere fratelli, perché questo è uno, ma se c’è un altro, un altro. Il problema è fare lobby di questa tendenza: lobby di avari, lobby di politici, lobby dei massoni, tante lobby. Questo è il problema più grave per me. E la ringrazio tanto per aver fatto questa domanda”.

Tre annotazioni e proposito di quanto detto qui da papa Francesco.

1. Sostenendo di non aver “trovato niente” di riprovevole nella “investigatio previa” alla nomina di Ricca a prelato dello IOR, Francesco ha confermato che il dossier personale su di lui conservato in segreteria di Stato era stato accuratamente ripulito dai suoi trascorsi scandalosi. Francesco però aveva avuto a disposizione nelle settimane precedenti anche la documentazione accusatoria conservata nella nunziatura di Montevideo, documentazione inoppugnabile, visto che sulla base di essa la segreteria di Stato aveva ritirato Ricca dal servizio diplomatico sul campo. Eppure l’ha ignorata.

2. Francesco ha applicato a Ricca la tipologia di chi ha commesso dei “peccati di gioventù” e poi si è pentito. Ma non è questa l’immagine che Ricca ha mai dato di sé, ma piuttosto quella di chi ha sempre respinto come “chiacchiere” senza fondamento le accuse contro la sua condotta.

3. Ed è riferendosi proprio a Ricca che Francesco ha pronunciato la famosa frase che è diventata il marchio del suo pontificato: “Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla?”. Con questa frase Bergoglio ha rovesciato a suo totale favore presso l’opinione pubblica mondiale una vicenda che altrimenti avrebbe potuto seriamente minare la sua credibilità.

È questa l’impresa che papa Francesco sta ritentando oggi, dopo che la vicenda di McCarrick è stata messa a nudo dalla testimonianza dell’ex nunzio Viganò.

Anche questa volta Bergoglio si è astenuto dal giudicare. Ha rilanciato il gioco nel campo dei media. Dove la pedofilia non è ammessa, ma i rapporti omosessuali sì. Non importa se commessi da uomini di Chiesa che praticandoli violano in pieno l’impegno di castità che hanno assunto pubblicamente con il sacramento dell’ordine.

Il prelato della lobby gay
MONSIGNOR BATTISTA MARIO SALVATORE RICCA
di Sandro Magister
Espresso.it, 18 luglio 2013

Non è facile. Qui ci sono molti “padroni” del papa e con molta anzianità di servizio», ha confidato qualche giorno fa Francesco all’amico argentino ed ex alunno Jorge Milia. Effettivamente, alcuni di questi «padroni» hanno ordito ai danni di Jorge Mario Bergoglio il più crudele e subdolo inganno da quando è stato eletto papa. L’hanno tenuto all’oscuro delle rilevanti informazioni che, se da lui conosciute per tempo, l’avrebbero trattenuto dal nominare monsignor Battista Ricca “prelato” dell’Istituto per le Opere di Religione.

Con questa nomina, resa pubblica il 15 giugno, Francesco intendeva collocare all’interno dello Ior una persona di sua fiducia in un ruolo chiave. Col potere di accedere a tutti gli atti e documenti e di assistere a tutte le riunioni sia della commissione cardinalizia di vigilanza, sia del consiglio di sovrintendenza, cioè del board della disastrata “banca” vaticana. Insomma, col compito di farvi pulizia.

Ricca, 57 anni, originario della diocesi di Brescia, proviene dalla carriera diplomatica. Ha prestato servizio per 15 anni in nunziature di vari Paesi, prima di essere richiamato in Vaticano, alla segreteria di Stato. Ma ha conquistato la fiducia di Bergoglio in un’altra veste, inizialmente come direttore della residenza di via della Scrofa nella quale l’arcivescovo di Buenos Aires alloggiava durante le sue visite a Roma, e ora anche come direttore della Domus Sanctæ Marthæ nella quale Francesco ha scelto di abitare da papa.

Prima della nomina, a Francesco era stato fatto vedere, come è consuetudine, il fascicolo personale riguardante Ricca, dove non aveva trovato nulla di disdicevole. Aveva anche ascoltato varie personalità della curia e nessuna aveva sollevato obiezioni. Appena una settimana dopo aver nominato il “prelato”, però, negli stessi giorni in cui incontrava i nunzi apostolici convenuti a Roma da tutto il mondo, il papa è venuto a conoscenza, da più fonti, di trascorsi di Ricca a lui fin lì ignoti e tali da recare seri danni allo stesso papa e alla sua volontà di riforma.

Dolore per essere stato tenuto all’oscuro di fatti tanto gravi e volontà di rimediare alla nomina da lui compiuta, sia pure non definitiva ma “ad interim”: sono stati questi i sentimenti espressi da papa Francesco una volta conosciuti quei fatti.

Il buco nero, nella storia personale di Ricca, è il periodo da lui trascorso in Uruguay, a Montevideo, sulla sponda nord del Rio de la Plata, di fronte a Buenos Aires.

Ricca arrivò in questa nunziatura nel 1999, quando il mandato del nunzio Francesco De Nittis volgeva al termine. In precedenza aveva prestato servizio nelle missioni diplomatiche del Congo, dell’Algeria, della Colombia e infine della Svizzera. Qui, a Berna, aveva conosciuto e stretto amicizia con un capitano dell’esercito svizzero, Patrick Haari. I due arrivarono in Uruguay assieme. E Ricca chiese che anche al suo amico fossero dati un ruolo e un alloggio nella nunziatura.

Il nunzio respinse la richiesta. Ma pochi mesi dopo andò in pensione e Ricca, rimasto come incaricato d’affari “ad interim” in attesa del nuovo nunzio, assegnò l’alloggio in nunziatura a Haari, con regolare assunzione e stipendio. In Vaticano lasciarono fare. All’epoca, in segreteria di Stato era sostituto per gli affari generali Giovanni Battista Re, futuro cardinale, anche lui originario della diocesi di Brescia.

L’intimità di rapporti tra Ricca e Haari era così scoperta da scandalizzare numerosi vescovi, preti e laici di quel piccolo paese sudamericano, non ultime le suore che accudivano alla nunziatura. Anche il nuovo nunzio, il polacco Janusz Bolonek, arrivato a Montevideo all’inizio del 2000, trovò subito intollerabile quel “ménage” e ne informò le autorità vaticane, insistendo più volte con Haari perché se ne andasse. Ma inutilmente, dati i legami di questi con Ricca.

Nei primi mesi del 2001 Ricca incappò in più di un incidente per la sua condotta sconsiderata. Un giorno, recatosi come già altre volte – nonostante gli avvertimenti ricevuti – in Bulevar Artigas, in un locale di incontri tra omosessuali, fu picchiato e dovette chiamare in aiuto dei sacerdoti per essere riportato in nunziatura, con il volto tumefatto.

Ricca e Chaouqui, due nemici in casa
Lui prelato dello IOR, lei commissaria per il riordino delle amministrazioni vaticane. Due nomine volute e decise da papa Francesco. Che però sono la negazione vivente del suo programma di pulizia e di riforma
di Sandro Magister
Chiesa.Espressonline.it, 26 agosto 2013


Sono passati più di due mesi dall’infelice nomina di monsignor Battista Ricca a “prelato” dell’Istituto per le Opere di Religione e più di un mese da quella, non meno infelice, di Francesca Immacolata Chaouqui (vedi foto) a membro della commissione per il riordino degli uffici economico-amministrativi vaticani.

Entrambe queste nomine sono state fatte da papa Francesco, la prima per sua decisione personalissima.

E per entrambe, subito dopo, sono venute alla luce gravi controindicazioni, di cui il papa era inizialmente all’oscuro.

Eppure, ad agosto inoltrato, nessuna correzione di rotta appare in vista.

Per quanto riguarda il “prelato” della banca vaticana, dopo la nomina papa Francesco era stato prontamente informato da più persone fidate sui trascorsi scandalosi del personaggio e sulle coperture di cui lo stesso aveva goduto e gode tuttora in Vaticano. E a queste persone egli aveva espresso gratitudine.

Ma sull’aereo di ritorno dal viaggio in Brasile, rispondendo a una giornalista, papa Jorge Mario Bergoglio evitò di prendere una posizione netta sul caso di monsignor Ricca.

Le parole del papa che i media di tutto il mondo rilanciarono con più enfasi – in un tripudio di commenti favorevoli alla sua presunta “apertura” agli omosessuali – furono interpretate come una sospensione di giudizio: “Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla?”.

Pochi giorni dopo il suo rientro a Roma papa Francesco è stato più chiaro. Ha fatto sapere alla segreteria di Stato che monsignor Ricca “resterà al suo posto”.

E così con lui resterà intatta la clamorosa contraddizione tra l’opera di pulizia e di riordino della curia romana che papa Francesco ha detto più volte di volere e il “prelato” di sua nomina in cui egli continua a riporre fiducia, emblema perfetto proprio di quelle condotte scandalose e di quelle “lobby” di potere che dovrebbero essere spazzate via.

Rispetto a quello di monsignor Ricca, il caso di Francesca Immacolata Chaouqui è diverso. Su di lei la segreteria di Stato vaticana aveva informazioni precise già vari mesi prima della sua nomina, lo scorso 18 luglio, a membro della commissione per il riordino degli uffici economico-amministrativi della Santa Sede, con facoltà di accesso a tutte le carte più riservate.

Ma nel creare questa commissione e nel nominare i suoi otto membri papa Francesco ha agito in forma autonoma. La segreteria di Stato non ne è stata coinvolta e ne ha avuto notizia solo a cose fatte.

A mettere in preallarme la segreteria di Stato, già nella primavera del 2012, erano stati alcuni articoli apparsi sul più diffuso quotidiano progressista italiano, “la Repubblica”.

In essi si sosteneva che Paolo Gabriele, il maggiordomo di Benedetto XVI arrestato e condannato per aver rubato al papa un numero ingente di documenti riservati poi passati alla stampa, non era l’unico nella curia ad aver agito in quel modo, ma come lui e dopo di lui ce n’erano ancora in azione altri, tra i quali una donna.

Le “rivelazioni” relative a questa vicenda non facevano i nomi dei protagonisti. Compresa l’ultima e più rumorosa intervista anonima, apparsa su “la Repubblica” il 7 marzo 2013, pochi giorni prima del conclave che ha eletto papa Bergoglio.

L’intervistata, però, era una persona talmente ciarliera da vantare a destra e a manca di essere lei l’informatrice dei servizi di “la Repubblica”: Francesca Immacolata Chaouqui, 32 anni, padre egiziano e madre calabrese, residente a Roma, sposata, addetta alle relazioni esterne dal 2007 al 2009 nello studio legale internazionale Pavia & Ansaldo, poi dal 2010 nello studio Orrick Herrington & Sutcliffe e infine dal 2013 nello studio Ernst & Young, con una vasta rete di relazioni vere o millantate con giornalisti, politici, uomini d’affari, prelati, cardinali.

Quando, in quei giorni di conclave, l’identità dell’anonima informatrice di “la Repubblica” giunse anche all’orecchio del sostituto segretario di Stato, l’arcivescovo Giovanni Angelo Becciu, questi protestò con il giornale. Su cui in effetti cessarono di uscire altri articoli visibilmente riconducibili alla “fonte” Chaouqui.

Il 18 luglio, quindi, la notizia della nomina da parte del papa di questa giovane “PR” nella commissione per il riordino delle amministrazioni vaticane lasciò di sasso chi ne conosceva i precedenti.

Ma anche a chi ne fosse stato all’oscuro sarebbe stato facilissimo farsi un’idea del personaggio. Bastava aprire la sua pagina Twitter, guardarvi la sua autopresentazione, scorrerne i messaggi.

Se ne ricavava, tra l’altro, che Francesca Chaouqui ha un filo diretto con Gianluigi Nuzzi, il giornalista che riceveva e pubblicava i documenti rubati a Benedetto XVI dal maggiordomo infedele, ed è informatrice assidua del sito dagospia.com, il ricettacolo più letto in Italia di maldicenze e veleni vaticani.

Per precauzione, il 23 luglio Francesca Chaouqui ha tolto la sua foto (quella riprodotta sopra) e il 10 agosto ha disattivato la sua pagina Twitter. Ma troppo tardi e in forma incompleta.

Posto dunque che Francesco non conoscesse personalmente Francesca Chaouqui, chi ha convinto il papa a nominarla in un ruolo di così alta responsabilità?

L’ipotesi più attendibile conduce a monsignor Lucio Ángel Vallejo Balda, segretario della prefettura degli affari economici della Santa Sede e dal 18 luglio anche segretario e factotum della neonata commissione di cui Francesca Chaouqui è membro.

Monsignor Vallejo Balda, 52 anni, spagnolo e membro del ramo sacerdotale dell’Opus Dei, la Fraternità della Santa Croce, dopo aver dato prova di capacità amministrative nella diocesi di Astorga si è distinto nell’organizzare con profitto la Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid, nel 2011, al fianco del cardinale Antonio María Rouco Varela. E questi gli ha propiziato, nello stesso anno, la promozione a Roma alla carica di numero due della prefettura degli affari economici della Santa Sede.

Qui Vallejo Balda ha di fatto sopravanzato il suo diretto superiore, il cardinale Giuseppe Versaldi, al quale – tra l’altro – reca svantaggio il far parte della declinante squadra del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone.

Non sorprende quindi che, eletto papa, Bergoglio abbia presto individuato nel dinamico monsignore spagnolo uno degli uomini sui quali fare affidamento, per il riordino amministrativo della curia.

E la prova è nel ruolo dominante che il chirografo papale di istituzione della commissione assegna a monsignor Vallejo Balda: non solo quello di segretario della stessa, ma anche di “coordinatore che ha poteri di delegato ed agisce in nome e per conto della commissione nella raccolta di documenti, dati ed informazioni necessari allo svolgimento delle funzioni istituzionali”.

Si può anzi arguire che il papa abbia affidato a Vallejo Balda anche il compito di scegliere e reclutare i componenti della commissione. Lo si deduce dalla lettera con cui egli ha annunciato a ciascuno di loro la nomina: dal modo con cui ne ha redatto i curriculum, riferendo (in un italiano alquanto disordinato) di suoi incontri personali con l’uno o con l’altro.

Vi si legge ad esempio a proposito dell’ex ministro degli esteri di Singapore, George Yeo:
“È un uomo cortese e sollecito, ma ha un forte stile intellettuale, con molto ampia lettura e una profonda conoscenza delle mutevoli placche tettoniche della storia. Egli è, o è stato quando un paio di volte ho parlato con lui di questo a lungo, un cattolico serio e coscienzioso, con molte intuizioni affascinanti su cattolicesimo con caratteristiche cinesi. Egli incarna la scuola di Singapore strategica duro di testa e anche la consapevolezza della costruzione di capitale sociale e di solidarietà, evitando la dinamica corruttori dello stato sociale”.

E di Francesca Chaouqui:
“Esperienza pluriennale nel settore della consulenza con gestione della comunicazione aziendale e governo delle relazioni esterne e istituzionali, leadership autorevole, basata su forti doti relazionali e comunicative, ed alta capacità nel finalizzare a livello business i contatti, guidata da principi e valori etici e morali molto forti”.

Questi curriculum – con gli indirizzi elettronici e i telefoni privati – erano in uno dei tre allegati alla e-mail riservata con cui il 18 luglio monsignor Vallejo Balda ha preannunciato agli altri sette membri della commissione la pubblicazione, il giorno successivo, del chirografo del papa con la loro nomina.

Gli altri due allegati erano il testo del chirografo papale e l’annesso al chirografo stesso, anch’esso firmato da papa Francesco, con le disposizioni operative per la commissione. E con la dicitura:

“Non per pubblicazione e non per distribuzione fuori della commissione”.

Il primo di questi due documenti è stato effettivamente reso pubblico il giorno dopo. Il secondo no. Ma può essere letto in questa pagina di www.chiesa, grazie a un’indiscrezione della stessa Chaouqui:
“Disposizioni operative per la Pontificia Commissione Referente di studio e di indirizzo sull’organizzazione della struttura economico-amministrativa della Santa Sede. Allegato deI Chirografo del 18 luglio 2013 ad uso interno della Pontificia Commissione Referente” [QUI].

Infatti, nella e-mail del 18 luglio, spedita alle 9.41 di mattina, monsignor Vallejo Balda chiedeva ai destinatari di tenere il segreto.

Ma subito dopo, quella stessa mattina, aveva già provveduto Francesca Chaouqui a violare la consegna, inoltrando l’e-mail di Vallejo Balda con i tre allegati a un suo giro di contatti.

Si è detto che Francesca Chaouqui appartenga all’Opus Dei, al pari di monsignor Vallejo Balda. Ma non è vero.

È certo invece che ella frequenta residenze romane dell’Opus, tra cui quella in cui abita il numerario Joaquín Navarro-Valls, l’indimenticato portavoce di Giovanni Paolo II.

[*] La Domus Internationalis “Paulus VI”, è stata eretta da San Giovanni Paolo II il 6 gennaio 1999, come Fondazione destinata ad offrire ospitalità agli ecclesiastici che appartengono al personale diplomatico della Santa Sede o che prestano servizio presso la Curia Romana nonché ai Cardinali, ai Vescovi ed ai Presbiteri che giungono a Roma per rendere visita al Papa o per partecipare ad atti predisposti dalla Santa Sede.
La struttura originaria di questo grande complesso edilizio al numero 70 di via della Scrofa a Roma risale ad un fabbricato del Quattrocento, ove fu insediato nel 1573 il Collegio Germanico fondato da Sant’Ignazio di Loyola e approvato da Papa Giulio III nel 1552. Nel 1580 Gregorio XIII lo unì all’altro collegio da lui istituito, l’Ungarico e così sorse il Collegio Germanico Ungarico, che venne affidato ai Gesuiti. Nel 1634 il fabbricato fu demolito e venne costruito un nuovo edificio su progetto di Paolo Marucelli: prospettava su via S. Agostino ed era collegato con un arco al palazzo dell’Apollinare. Successivi lavori per l’edificazione della vicina chiesa di S. Luigi comportarono la demolizione di una parte del palazzo, con il proseguimento dell’edificio in un nuovo più ampio fabbricato che prospettò su via della Scrofa, mantenendo in piedi l’arco sulla via di S. Agostino. Questa costruzione fu eseguita nel 1776, estendendosi sulle vie S. Agostino, della Scrofa, di S. Giovanna d’Arco e la piazza delle Cinque Lune. All’epoca era stata soppressa la Compagnia di Gesù e il collegio fu affidato a sacerdoti secolari fino al 1789, quando fu chiuso e poi trasferito a Ferrara. Il palazzo divenne sede del Vicariato e sotto il pontificato di Papa Leone XII vi risiedette il Cardinal Vicario di Roma. Durante il pontificato di Papa Pio IX si ebbe la sopraelevazione di tutto l’isolato per ospitare il Seminario Pio e così il complesso assunse un assetto quasi definitivo. Nel 1933 la facciata su piazza delle Cinque Lune fu demolita e ricostruita, secondo l’attuale allineamento, per l’apertura del corso del Rinascimento.
Nel palazzo a parte della Domus Internationalis “Paulus VI” ha sede anche il Pontificio Istituto di Musica Sacra.

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