Finanze vaticane, il punto
La grande riforma della finanza vaticana avviata da Papa Francesco nel 2014 sembra aver perso forza propulsiva. Tra processi, annunci, e un giudizio europeo da temere.
Cose positive e negative della finanza vaticana, e in particolare del modo in cui il sistema giudiziario vaticano applica le leggi, saranno delineate con precisione il prossimo 26 aprile da un progress report (rapporto sui progressi) di MONEYVAL, il comitato del Consiglio d’Europa che valuta l’aderenza alle norme internazionali di trasparenza finanziaria dei Paesi che partecipano al processo. Questo rapporto, in particolare, è molto atteso. Perché farà capire se il nuovo corso dato da Papa Francesco alle finanze vaticane è efficace e riconosciuto a livello internazionale, oppure no.
Travolto dallo scandalo riguardante l’investimento della Segreteria di Stato vaticana in un palazzo nel centro di Londra, Papa Francesco ha, passo dopo passo, smantellato e ricostruito le finanze vaticane. I riferimenti sono tutti nuovi. La Segreteria di Stato ha anche perso la possibilità di gestire fondi propri, in favore dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica. Un provvedimento che sembra più una punizione che parte di una strategia.
Senza entrare nei dettagli delle operazioni finanziarie in questione, vale la pena ricostruire alcuni passaggi della vicenda che ha portato alla situazione attuale. La Segreteria di Stato, nel 2018, aveva deciso di investire in un palazzo di lusso a Londra. Due broker si sono succeduti nella gestione dell’investimento, finché la Santa Sede, per evitare ulteriori perdite e riprendere in mano il controllo delle operazioni, ha deciso di rilevare il palazzo. Nell’uscire dalle operazioni in corso, la Santa Sede ha dovuto pagare, da contratto, gli intermediari. Ha chiesto quindi all’Istituto per le Opere di Religione (IOR) un prestito per poter concludere l’investimento. Questo ha denunciato, ed è partito un procedimento sommario sommario ordinato dal Papa che ha portato a perquisizioni in Segreteria di Stato e Autorità di Informazione Finanziaria, e alla sospensione di cinque officiali vaticani, cui se ne è aggiunto un altro successivamente.
A questo punto, Papa Francesco ha provveduto a cambiare profondamente i vertici delle finanze vaticane: Tommaso Di Ruzza, direttore dell’Autorità di Informazione Finanziaria, non è stato rinnovato nel suo incarico, sostituito da Giuseppe Schlitzer; prima di lui, René Bruelhart, presidente della stessa autorità anti-riciclaggio, non era stato rinnovato, sostituito da Carmelo Barbagallo. Quindi, è stato deciso che la Segreteria di Stato non gestisse più fondi, di fatto svuotando di competenze l’ufficio amministrativo della Terza Loggia.
Chi è, dunque, a gestire le finanze del Vaticano? Prima di tutto, la Segreteria per l’Economia. L’organismo fondato nel 2014 dal Cardinale George Pell ha ora in padre Juan Antonio Guerrero Alves un prefetto molto attivo. Ha presentato il bilancio della Santa Sede dello scorso anno, e anche il budget previsto per l’anno prossimo. È stato presente sui media vaticani per spiegare il senso di quello che ha chiamato “bilancio di missione”. Ha sottolineato come il bilancio in rosso già previsto per il prossimo anno (è crisi per tutti, anche per il Vaticano) sarà parzialmente coperto da 30 milioni provenienti dall’Obolo di San Pietro, su 47 milioni di raccolta previsti.
La Segreteria per l’Economia ha preso, dunque, quel ruolo di controllo e di indirizzo che dovrebbe permettere alle finanze vaticane di migliorare la loro gestione, riducendo al minimo i rischi di errori. Come quello, appunto, di affidarsi ad intermediari sbagliati.
Quindi, c’è l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA), che è chiamata sempre più a diventare una sorta di “banca centrale” e ad avere la centralità del controllo degli investimenti. Per portare avanti questo processo, è stato chiamato per la prima volta come segretario generale un laico, Fabio Gasperini, con un lungo curriculum internazionale e una giovanile esperienza nel governatorato. Ad oggi, però, l’unico ente da cui ha ricevuto la gestione dei fondi, per decisione papale, è proprio la Segreteria di Stato coinvolta nello scandalo. A quando il trasferimento di fondi e investimenti del Governatorato Vaticano e della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli?
L’Autorità di Informazione Finanziaria, l’organismo di intelligence finanziaria vaticano, al momento, sta raccogliendo i frutti del lavoro precedente. Vertici nuovi, persino nuovo nome, ora definito in Autorità di Supervisione e Informazione Finanziaria, fino ad ora la nuova autorità ha soprattutto affrontato problemi e riforme. Problemi come quelli della gestione dei partner internazionali, preoccupati dalla deriva giustizialista che aveva portato alle perquisizioni negli uffici di una autorità indipendente. Riforme, come quella del cambiamento di nome, del rafforzamento del ruolo del presidente, e dell’inclusione dell’ASIF nelle norme del Regolamento Generale della Curia Romana.
Quest’ultimo dato, sottovalutato, crea un piccolo cortocircuito. Perché l’Autorità di intelligence finanziaria ha la supervisione solo dello IOR, ma questo mantiene la sua autonomia, anche sul fronte del Regolamento di Curia. C’è, dunque, un ente di controllo che ha meno autonomia dell’ente controllato. Anche meno autonomia sul piano dell’elargizione degli stipendi.
Il problema economico, per la Santa Sede, resta grande, e la pandemia ha messo a dura prova le casse vaticane. Mentre enti come lo IOR mantengono una loro autonomia, una politica di contenimento degli stipendi ha previsto un decurtamento per gli officiali ecclesiastici e per i cardinali, e il blocco degli scatti di anzianità per i dipendenti. L’ASIF è in questi tagli. Lo IOR non lo è.
Ma anche questo provvedimento è tutto da verificare all’atto pratico. Per i dirigenti verrà applicato solo sullo stipendio base, mentre non vengono intaccati i compensi aggiuntivi da contratto a margine. Le costose consulenze resteranno e potranno essere ancora fatte.
Sono questi dettagli che dimostrano come il sistema finanziario vaticano non abbia, in questo momento, una chiara direzione. C’era una cornice legale, portata avanti dai tempi di Benedetto XVI, che aveva garantito una certa considerazione internazionale. Quella cornice viene ora intaccata da una serie di decisioni che appaiono scollegate tra loro, e necessitano poi di aggiustamenti.
E questo si nota, in fondo, nella vicenda giudiziaria che ha coinvolto la Santa Sede in quest’ultimo anno e mezzo. Si è detto che è bene che i guai siano stati scoperchiati dall’interno. Ma, a vedere i fatti, sono più le domande che le risposte.
La Segreteria di Stato ha chiesto allo IOR una anticipazione, da restituire con interessi, per concludere l’operazione di Londra. Sebbene lo IOR abbia messo in chiaro nel suo ultimo rapporto annuale che non può dare prestiti, si deve ricordare che l’Istituto è lì per sostenere la Chiesa nella sua missione. Può dare anticipazioni, e lo ha fatto, intervenendo anche in aiuto di diocesi disastrate come fu quella di Maribor. E infatti, lo IOR aveva inizialmente accettato la richiesta della Segreteria di Stato. Salvo cambiare idea pochi giorni prima che tutto fosse definito, riferire tutto al Papa, e far così partire l’indagine dei Promotori di Giustizia. Perché, dunque, lo IOR ha cambiato idea?
Le indagini stesse dimostrano una certa confusione, tanto che due provvedimenti emessi in Italia su richiesta dei pm vaticani (l’incarcerazione di Cecilia Marogna, controversa collaboratrice in materie di intelligence della Segreteria di Stato; il congelamento di alcuni beni di uno degli officiali vaticani sospesi, Fabrizio Tirabassi) sono stati poi revocati.
Lo stesso è successo con un provvedimento effettuato in Inghilterra su Gianluigi Torzi, uno degli intermediari dell’affare di Londra, cui erano stati congelati i conti. Non solo il giudice inglese Baumgartner ha revocato il provvedimento, ma ha anche contestato l’operato dei pm vaticani, sottolineando come la ricostruzione dei fatti era oggetto di mischaracterzation o misinterpretion (errata caratterizzazione o incomprensione). Questo accadeva due settimane fa.
La settimana scorsa, un giudice istruttore italiano ha spiccato dei mandati di cattura per lo stesso intermediario e altri soci per auto-riciclaggio e fatturazione fraudolenta. Il provvedimento era interessante per due motivi: non metteva in discussione la decisione di Londra, e riprendeva piuttosto la ricostruzione dei pm vaticani. I quali contestavano che la Segreteria di Stato potesse effettivamente fare investimenti.
Ma era così? Non proprio. Come detto, fino a dicembre 2019, la Segreteria di Stato aveva i suoi fondi, e mettere in discussione questo dato rappresenterebbe una applicazione retroattiva della legge.
I giudici vaticani lamentavano anche di un uso improprio dell’Obolo di San Pietro, che dovrebbe essere destinato alla carità del Papa. Anche in questo caso, c’era una inesattezza di fondo: mai l’Obolo di San Pietro era destinato solo a scopi benefici, e lo dimostra proprio il fatto che si prevede di usare parte della raccolta dell’Obolo per ripianare l’inevitabile rosso del bilancio.
Sono dettagli, e molto tecnici, che dimostrano come però il sistema finanziario della Santa Sede stia perdendo l’equilibrio generale precedentemente raggiunto. Si inseguono gli scandali, si cerca di rimediare agli errori, ma nel farlo si intacca necessariemente un equilibrio raggiunto, perché tutti gli ingranaggi del sistema finanziario sono legati tra loro.
Per questo, il giudizio di MONEYVAL è atteso. Questa volta si concentrerà sull’efficacia del sistema giudiziario, ovvero quanti processi nascono dalle segnalazioni sospette. A rappresentare la Santa Sede ci sarà anche Roberto Zannotti, promotore di giustizia vaticano, a capo della sezione speciale del Tribunale contro i crimini economici e finanziari dal 2016, e dal 2019 consulente delle strutture previste dall’Ordinamento Giudiziario nello Stato della Città del Vaticano in materia economica, tributaria e fiscale. Tra le valutazioni decisive, sarà quella della quantità dei processi svolti in seguito alle segnalazioni. Al rapporto sui progressi del 2017, MONEYVAL descrisse come “modesti” i risultati del tribunale. Fino al 2016 non c’erano segnalazioni, poi alle segnalazioni non è stato spesso dato seguito. Come sarà valutato l’operato della Santa Sede in proposito?
Diventa dunque evidente che il problema della Santa Sede non è solo economico. Si sta lavorando sulle proiezioni, calcolando i prossimi deficit, ma la questione delle finanze è un problema istituzionale, una crisi che potrebbe proprio colpire la Santa Sede nella valutazione di MONEYVAL.
Il cambio di nome dell’AIF in ASIF sarà ben accolto, o ne saranno rilevate le criticità? Il regime delle segnalazioni sospette sarà giudicato affidabile? E, se sì come sarà considerato l’operato del Tribunale? La valutazione sarà su quello che è successo negli anni precedenti, dunque non si riferirà agli ultimi cambiamenti. Ma, di certo, questi cambiamenti potrebbero avere un impatto sul giudizio generale.
Il problema, in fondo, non sono gli scandali finanziari. È piuttosto la necessità di creare un sistema giuridico valido e adeguato alla particolarità della Santa Sede. Altrimenti, non ci sarebbe nemmeno in Vaticano un revisore generale stabilito come ufficio anticorruzione; non ci sarebbe stata una Convenzione Monetaria con l’Unione Europea che ha spinto a fare le riforme; non ci sarebbe la legge sugli appalti; non ci sarebbe la necessità di adeguarsi a molte normative internazionali.
La finanza vaticana si trova così ad un bivio: riprendere il cammino del riconoscimento internazionale, o ritornare al passato, con un sistema chiuso che rende difficile anche qualunque tipo di aggiustamento, perché tutto si potrebbe rivelare essere una coperta troppo corta.
Articolo pubblicato su ACI Stampa, 19 aprile 2021: QUI.
Foto di copertina di Bohumil Petrik/CNA.