Le donne al tempo delle cattedrali. Teologhe, poetesse, scienziate dimenticate dalla storia. Nel Medioevo le donne leggevano e studiavano più degli uomini

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In fondo della Frederick Ferris Thompson Memorial Library del Vassar College della città di Poughkeepsie nello Stato di New York, c’è una bellissima vetrata che raffigura una cerimonia per in conferimento di un dottorato a Padova nel 1678 ad una giovane donna. la veneziana Elena Lucrezia Corner Piscopia, nata a Venezia il 5 giugno 1646 e morta a Padova il 26 luglio 1684, era un’erudita veneziana ed è ricordata come la prima donna al mondo ad ottenere un dottorato. Si tratta di un supposto primato, perché sono infatti attestati in epoche precedenti casi di donne laureate.

Dettaglio degle grande vetrata della Frederick Ferris Thompson Memorial Library del Vassar College della città di Poughkeepsie nello Stato di New York.

Tra le più note si ricordano Bettisia Gozzadini (Bologna, 1209–Bologna, 2 novembre 1261), dottore in diritto canonico a Bologna nel 1236 (accademica, docente di giurisprudenza all’Università di Bologna, considerata la prima donna al mondo titolare di un insegnamento universitario); Costanza Calenda, dottore in medicina a Napoli nel 1422 (frequentò la Scuola medica salernitana e viene citata nel gruppo delle Mulieres Salernitanae e potrebbe essere la prima donna occidentale ad essersi laureata in medicina); Isabella Losa (Cordova 1491-Vercelli 1564), dottore in teologia a Cordova (dopo la morte del suo marito nel 1539 diventò una badessa clarissa e nel 1553 si trasferì a Vercelli dove fondò l’orfanatrofio Santa Maria di Loreto).

Elena Lucrezia Corner Piscopia era figlia di un nobile della Repubblica di Venezia, che ne favorì in tutti i modi l’educazione. A diciannove anni prese i voti come oblata benedettina, proseguendo gli studi di filosofia, teologia, greco, latino, ebraico e spagnolo. A partire dal 1669 fu accolta in alcune delle principali accademie dell’epoca. Quando il padre chiese che la figlia potesse laurearsi in teologia all’Università di Padova, il Cardinale Gregorio Barbarigo si oppose duramente, in quanto riteneva “uno sproposito” che una donna potesse diventare “dottore”, perché avrebbe significato “renderci ridicoli a tutto il mondo”. Nel 1678, a 32 anni, ottenne finalmente la laurea, conseguita però in filosofia e non in teologia, come avrebbe voluto. Non poté, in quanto donna, esercitare l’insegnamento. Solo nel 1732 in Italia di un’altra donna ricevette una laurea, la fisica bolognese Laura Bassi.

La Frederick Ferris Thompson Memorial Library del Vassar College della città di Poughkeepsie nello Stato di New York, con in fondo la grande vetrata.

I Vassar College è un college privato e coeducativo di arti liberali fondato nel 1861 da Matthew Vassar. È stato il primo istituto di istruzione superiore per le donne negli Stati Uniti. Divenne coeducazionale nel 1969 e ora ha un rapporto di alunni maschili e femminili nella media nazionale. La scuola è una delle storiche “Seven Sisters”, le prime università femminili dell’élite negli Stati Uniti. Ha una relazione storica con la Yale University, che ha suggerito una fusione con il college prima della coeducazione ad entrambe le istituzioni.

Il cammino della donna verso l’emancipazione e la parità non è di fatto ancora concluso all’inizio del terzo millennio, nonostante le conquiste degli ultimi decenni. Si potrebbe quindi pensare che in passato – e a maggior ragione in un’epoca lontana e “arretrata”, come è stata a lungo considerata il Medievo – alle donne fossero riconosciuti ruoli e spazi ancora più ristretti e limitati.

Al contrario, gli studi della storica francese Régine Pernoud hanno dimostrato, che nel periodo medievale le donne hanno affermato la loro autonomia e stabilirono il loro potere in diversi ambiti della vita del tempo, raggiungendo posizioni di assoluto prestigio nella medicina, nella religione, nella cultura e nella politica. Pernoud ha ricostruito in modo vivace e ben documentato i profili delle figure femminili che maggiormente si sono distinte nel libro pubblicato nel 1980. La femme au temps des cathédrales – in italiano La donna al tempo delle cattedrali. Civiltà e cultura femminile nel Medioevo (Lindau 2017, 368 pagine) offre un quadro più completo e corretto della società di questo lungo periodo di storia europea, che non la leggenda nera di secolari pregiudizi di fonte e matrice illuministica, di cui il Medioevo in genere è ancora oggetto. Continuiamo a sentire frasi fatte (”Vuoi ritornare al Medioevo”. “Non siamo nel Medioevo”. “Sono cose da Medioevo”. “Sei medievale”), ripetute a cervello spento e diffuse soprattutto nei social con il copia/incolla, naturalmente solo per rappresentare qualcosa di negativo. Sono frasi lanciate addosso come mattoni verso un interlocutore che si intende squalificare, denigrare e la donna medioevale è la quintessenza degli obiettivi di tali pregiudizi. Invece, l’epoca storica complessivamente di dieci secoli, chiamata il Medioevo, a seguito di tanti studi di studiosi seri, non è più possibile squalificare [*].

Tra questi studiosi seri del Medioevo c’è Régine Pernoud (Château-Chinon, 17 giugno 1909 – 22 aprile 1998). Prima Conservatore al Museo della Storia di Francia e poi degli Archivi Nazionali francesi, ha avuto il grande merito di riscoprire e rivalutare i cosiddetti «secoli bui» del Medioevo che, soprattutto fra 400 e 1400, che hanno dato un contribuito fondamentale alla cultura, all’arte e alla scienza, ben più di quello che si è voluto far credere successivamente. Ha fatto scoprire donne capi di Stato, autorità religiose, letterate, artiste, pedagoghe ma soprattutto con i valori e la dignità di persone, nel senso specificamente giuridico. La Cristianità medioevale – al contrario di quanto vorrebbe far credere la leggenda nera – ha conferito al genere femminile un’anima mai messo in discussione e che, invece, epoche antiche precedenti e epoche moderne posteriori hanno oppresso.

Pernoud ha trascorso tutta la sua vita a studiare, a ricercare nelle biblioteche e negli archivi, dei documenti, delle testimonianze, dei libri appartenenti a quest’epoca storica. Il risultato delle sue ricerche si trova in numerose opere, tra cui: “Luce del Medioevo”, “Medioevo un secolare pregiudizio”, “I Templari”, “I Santi del Medioevo”. Poi, tra le numerose e importanti pubblicazioni che ha curato, vanno ricordato in particolare le biografie di Giovanna d’Arco, Eleonora d’Aquitania, Eloisa e Ildegarda di Bingen, tra altre.

In molti hanno scoperto il fascino di una donna straordinaria come Ildegarda di Bingen, proclamata dottore della Chiesa da Papa Benedetto XVI. Vissuta tra il 1098 e il 1179, monaca e scrittrice, musicista, cosmologa, artista, drammaturga, guaritrice, linguista, naturalista, filosofa, poetessa, consigliera politica e molto altro ancora. Il monastero le permise una pienezza di vita difficilmente immaginabile per gli uomini del suo tempo, ma soprattutto per quelli del nostro tempo. Per leggere di lei ci sono molte biografie e studi. Per molti, soprattutto i cultori di una religione “fai da te” la lettura della vita e della personalità di Ildegarda è soddisfacente crearle intorno un’aurea di “ribelle” contro la Chiesa, ovviamente oscurantista e misogina. Invece il saggio di Pernoud, completo e affasciante, fa nessuna scivolata nella New Age o nella visione romantica della donna ribelle fedele solo a sé stessa e alle proprie intuizioni interiori.

Il grande merito di Pernoud è di mettere anche alcune verità al loro posto, in particolare sul ruolo – positivo – della Chiesa medievale nei rapporti uomo-donna e nel promuovere una certa uguaglianza. Sull’argomento del matrimonio combinato e forzato dei giovani, principalmente quelli delle classi nobili per i motivi di potere, Pernoud osserva che è la Chiesa che ha combattuto contro il consenso obbligatorio dei genitori dall’VIII secolo. Per chi sventola le Crociate e la classica leggenda nera dell’Inquisizione, Pernoud si ribella ai soliti pregiudizi dell’oscurantismo e ad un certo numero di idee sbagliate su questo argomento.

La condizione femminile nei dieci secoli della civiltà medievale è uno degli argomenti più trattati da Pernoud. Nel suo libro La donna al tempo delle cattedrali. Civiltà e cultura femminile nel Medioevo Pernoud presenta numerosi profili di figure femminili che si sono maggiormente distinte: “È straordinario constatare il ruolo attivo che assumono le donne nel campo dell’evangelizzazione in quei tempi in cui l’Occidente esitava tra paganesimo, arianesimo e fede cristiana”. Sembra che ci voleva una regina per introdurre il cattolicesimo in molti Paesi e dappertutto si osserva il legame della donna col Vangelo.

Pernoud ricorda com’era la condizione della donna nel mondo antico, facendo riferimento al Diritto romano: “A Roma, la donna, senza esagerazione né paradosso, non era soggetto di diritto (…) i rapporti della donna con i suoi genitori o con suo marito, sono di competenza della domus di cui il padre, il suocero o il marito sono gli onnipotenti capi (…) la donna è unicamente un oggetto”. In sostanza, nell’antico Roma la donna non svolge alcun ruolo ufficiale nella vita politica, né amministrativa. Tuttavia non è confinata nel gineceo, come nel caso della donna greca, o come sarà più tardi, nelle civiltà islamiche, la donna murata dentro l’harem.

Con la diffusione del Vangelo, il destino della donna cambia. Le parole di Cristo predicate dagli apostoli, comportano la sconvolgente e fondamentale uguaglianza tra l’uomo e la donna. Pernoud nel “Petit Larousse”, per il II e il III secolo trova molti nomi femminili e pochi maschili. Solo quello di San Sebastiano e poi 21 donne, tra cui Zenobia, Regina di Palmira, e Faustina, moglie dell’imperatore Antonino. Le altre sono tutte sante, quasi tutte giovani ragazze, morte per affermare la loro fede: Agata, Agnese, Cecilia, Lucia, Caterina, Margherita, Eulalia.

Peraltro tra il tempo degli Apostoli e quello dei Padri della Chiesa – nei trecento anni di radicamento e di vita cristiana sotterranea – nella Chiesa si parla di donne e si celebrano donne. Régine Pernoud nel suo libro fa notare che nell’Impero romano, “la novità dell’atteggiamento di queste ragazze era radicale. Negare l’autorità del padre di famiglia, il solo cittadino a pieno titolo, proprietario, capo militare e sommo sacerdote, nella sua casa come nella sua città, significava scuotere dalle fondamenta tutta quanta la società». Soltanto alla fine del IV secolo scompare la legge civile, che toglie al padre di famiglia il diritto di vita o di morte sui suoi figli. Con il Vangelo e la Bibbia a poco a poco prende corpo il rispetto della persona, che per i cristiani si estende a ogni vita. Pernoud trattando del tema delle condizioni del bambino o del neonato, sottolinea la differenza tra la mentalità cristiana e quella pagana. Con il cristianesimo sia la donna che lo schiavo sono persone: «Si rimane colpiti dal dinamismo, dalla capacità d’invenzione di queste donne liberate dal Vangelo. Colpisce soprattutto l’esempio di Fabiola“.

Fabiola – donna dell’aristocrazia romana, diventata discepola di San Gerolamo – fonda un nosokomion, una “casa dei malati”, per i numerosi pellegrini che vengono a Roma. Cioè, Fabiola fonda il primo ospedale, un’innovazione stradordinaria per quei tempi. Più tardi a Ostia, il porto di sbarco dei pellegrini, crea il primo centro di raccolta e assistenza, lo xenodochion. Pernoud evidenzia il genio femminile di Fabiola, attenta ai bisogni delle persone del suo tempo. E, poi, quello delle suore ospedaliere all’Hotel-Dieu di Parigi nel 651, dove per 1200 anni religiose e religiosi curarono gratuitamente i malati che si presentavano. Pernoud ribadisce che la diffusione della fede cristiana è stata opera delle donne, delle badesse che non sono soltanto delle educatrici o delle protettrici delle lettere, ma, sono anche creatrici di opere letterarie.

Régine Pernoud sottolinea l’opera delle tante religiose che leggono e scrivono, il tutto attestato dalla corrispondenza e poi dai vari manoscritti. Scrive che “nel Medioevo le donne leggevano più degli uomini” e evidenzia che “non sempre ci si rende conto di che cosa fosse allora questo sfibrante mestiere: non era cosa da nulla allineare uno dopo l’altro i capitoli di trattati che comportavano duecento o trecento in folio (scritti su due facce) su una materia dura come la pergamena”. A copiare non ci sono solo religiose, ma anche laiche. E non solo donne nobili, ma anche donne del popolo. Abbondano gli esempi di monasteri femminili frequentati tanto da ragazzine, quanto da ragazzini.

In un monastero la bibliotecaria (librorum custodia) si chiamava Agnes Morel e in un documento vengono segnalate anche i nomi di molte ragazzine che gli stavano attorno: “La preoccupazione di istruire i bambini, maschi e femmine è attestata da numerose prescrizioni dei vescovi, che vogliono riorganizzare la loro diocesi dopo i disastri del XIV secolo”.

Ci sono altri esempi di istruzione delle donne in istituzioni, fondazioni. Il frate predicatore Vincent de Beauvais consiglia di dare istruzione alle ragazze come ai ragazzi. Nel 1338, le scuole elementari sono frequentate da un bambino su due e nella Cronaca del Villani si precisa che si tratta di maschi e femmine. Sarà poi con il Rinascimento che si preferisce educare le ragazze alle cure casalinghe, a fare il pane, pulire il cappello, fare il burro, cucinare, etc.

Pernoud descrive il clima culturale nell‘età feudale, in particolare descrive gli usi e i costumi di quel tempo, le straordinarie scoperte come il mulino ad acqua, il lavoro agricolo con l’utilizzo del cavallo. Ritiene impossibile parlare di sottosviluppo nell’epoca feudale e sfata un mito ben presente nella mentalità moderna, ossia che la vita nelle campagne è destinata a un sottosviluppo pratico, mentre nelle industrie c’è sempre un fattore di ricchezza e di progresso. Dimostra che la vita della donna nel mondo rurale feudale non ha nulla a che vedere con quello della donna di oggi in un paese sottosviluppato dell’Africa o dell’Asia. La donna nel periodo feudale è la padrona di casa e sta al centro della società, non l’uomo.

Pernoud scrive anche che le donne sono inserite attivamente nella vita economica del tempo. Lo dimostra documenti alla mano, in cui le donne sono parte attive di donazioni, vendite, diverse transazioni, anche per decisioni a livello militare. Nei vari mestieri, del grosso e del piccolo commercio, le donne sono sempre presenti: 65 mestieri sono riservati esclusivamente alle donne contro 81 degli uomini, mentre in 38 mestieri sono presenti sia uomini che donne. In alcune regioni francesi le donne hanno partecipato con diritto di voto alle assemblee, per esempio in occasione degli Stati Generale nel 1308.

Uno degli argomenti di La donna al tempo delle cattedrali. Civiltà e cultura femminile nel Medioevo è quello delle donne e il potere politico (che perderanno subito dopo il Medioevo), con donne che hanno retto e amministrato possedimenti anche estesi. Quasi tutti i principati laici dei Paesi Bassi ad un certo momento della loro storia sono stati governati da donne. Pernoud si sofferma su queste donne che dispongono del potere politico, che hanno molto da insegnarci: “Nel loro comportamento, anche quando agiscono sul terreno politico o militare, restano fondamentalmente donne. Non rinunciano ad essere ammirate e amate”.

Tre casi esemplarI: Adele, che ha visto il marito, il Conte di Blois-Chartres partire per la Prima Crociata; Anna, proveniente da Kiev e viene a governare la Francia; la Contessa Matilde di Canossa, che oltre ad essere una grande combattente, a guidare eserciti contro l’imperatore Enrico IV, è stata anche una grande riformatrice della Chiesa, una donna molto colta, come esprime suo sigillo: “Mathilda Dei gratia si quid est”.

Come detto, sono numerose le figure femminili presentate da Pernoud nel suo libro La donna al tempo delle cattedrali. Civiltà e cultura femminile nel Medioevo. Ne elenchiamo ancora alcune altre.
– Santa Melania la Giovane (Roma, 383 – Gerusalemme, 439) fu una personalità di spicco nella Roma del V secolo, amica di Agostino d’Ippona e di Sofronio Eusebio Girolamo, che abolisce la schiavitù nelle sue proprietà.
– La figura esemplare di Santa Genoveffa (Nanterre, 411/416 – Parigi, 3 gennaio 502), una religiosa franca, reclusa in un romitorio in collina, con una vita fatta di silenzio e di preghiera, che esorta il popolo a non fuggire di fronte all’invasione degli Unni, che poi sono respinti.
– Santa Clotilde (Lione, c. 475– Tours, 3 giugno 545) principessa del regno di Burgundia che fu la moglie del merovingio pagano Re dei Franchi Sali Clodoveo I, che lei converte al cristianesimo e che vuole la “prova” della divinità di questo Dio.
– Nel 513 nella chiesa di Saint-Jean nasce il primo monastero femminile in Gallia, con la regola del vescovo di San Cesario di Arles, con alcune caratteristiche interessanti come il leggere in silenzio con gli occhi, mentre gli antichi leggevano sempre ad alta voce. Tra l’altro Sant’Agostino si meravigliava che il suo amico Sant’Ambrogio, praticava la lettura mentale.
– Santa Radegonda (Erfurt, 518 – Poitiers, 13 agosto 587), moglie del Re merovingia Clotario I e quindi Regina del regno franco di Soissons, si impegnò nella diffusione del cristianesimo tra i sudditi e fu fondatrice di chiese e monasteri e in uno di questi si ritirò.
– La spagnola Teodosia, sorella di ben tre vescovi, figlia del governator e bizantino della provincia Cartaginense, converte tra il 573 e il 586 al cattolicesimo suo marito, il Re dei Visigoti ariano Leovigildo.
Berta di Kent nel 597 ottiene in Inghiterra che il Re Etelberto accetti il battesimo.
– La Regina dei Longobardi Teodolinda, figlia (c. 625) del Duca di Baviera Garibaldo, sposò nel 589 a Verona il Re longobardo Autari. Con il valido appoggio di Papa Gregorio Magno si adoperò per la conversione al cattolicesimo dei Longobardi ariani, ottenendo notevoli successi, soprattutto dopo che, morto Autari, sposò Agilulfo, Duca di Torino e cognato d’Autari, a cui succedette sul trono) e lo convertì al cattolicesimo. Anche il figlio Adaloaldo (nato nel 602) fu battezzato cattolico. Morto Agilulfo nel 616, Teodolinda governò in nome del figlio e il regno godette di un periodo di pace.
– La Regina Edvige di Polonia (Buda, 1373/74 – Cracovia, 17 luglio 1399), il cui titolo ufficiale era “re” anziché “regina”, per indicare che regnava per suo diritto e non in quanto consorte di re di Polonia, di origine ungherese. Nel 1397 fondò a Cracovia la prima facoltà di Teologia della storia polacca.
– Il monastero di Chelles, fondato dalla Regina Batilde, una ex prigioniera, cento anni dopo ha come badessa Gisella, la sorella di Carlo Magno. Nel 630 l’esperienza del monastero duplice, di uomini e donne, secondo la regola dell’irlandese, San Colombano, che affida la direzione a sua cugina Teodechilda.
– In Germania, evangelizzato dal monaco Winfred, noto come Bonifacio, c’è una importante fioritura monastica, sotto influenza femminile. Qui le religiose imparano il latino, il greco, le lettere in generale, un’azione fondamentale è quella di Matilde, poi di sua nipote Hadewich, e altre figure femminili. Un nome fondamentale da ricordare della letteratura tedesca del X secolo è quello della badessa di Gandersheim, Roswita, «scriveva per le suore delle leggende in versi che venivano lette nel refettorio oppure delle commedie che si recitavano in convento e che imitavano quelle di Terenzio, ma in spirito cristiano». Un’altra figura è Gertrude la Grande, autrice di un’opera mistica, L’Araldo dell’Amore divino. Infine lo sguardo si ferma su un’altra grande mistica Ildegarda di Bingen.
– Il Liber manualis di Dhuoda (800 circa – 843 circa), una nobildonna dell’età carolingia, moglie del Marchese Bernardo di Settimania, è il più antico trattato pedagogico, destinata all’educazione del figlio Guglielmo, composto nel IX secolo e sottolinea. Non deve stupire che sia stato scritto proprio da una donna, colei che ha portato in seno e nutrito il bambino. Anche Dhuoda apparteneva ad una famiglia nobile, era probabilmente la figlia del duca Sancho I di Guascogna. Scrive al suo caro figlio Guglielmo, sottolineando l’importanza della lettura e del pregare: «Non dimenticare di procacciarti molti libri […] dei libri da leggere, da sfogliare, da meditare, da approfondire, da comprendere, e potrai anche trovare con molta facilità dei dottori che ti istruiranno».

Le ultime parole di Dhuoda: una donna medievale scrive al figlio lontano
tratto da un articolo di Matteo Rubboli per Vanilla Magazine


Siamo a Uzès, in Francia, nell’anno del signore 841. La geografia politica dell’Europa e le istituzioni locali sono state recentemente ridisegnate da Carlo Magno e il lunghissimo periodo del medioevo è iniziato da circa 4 secoli. Il figlio Guglielmo del Duca Bernardo di Settimania, un uomo di grande potere alla corte dei franchi e della nobildonna Dhuoda (800-843) è da anni ostaggio di Carlo il Calvo, cresciuto come molti altri figli di nobili sapendo che un errore del padre avrebbe significato morte certa. In quel periodo di drammatiche lotte intestine combattute dai nipoti di Carlo Magno e da tanti feudatari locali, Dhuoda prende parte attiva alla difesa del ducato della sua famiglia e si impegna a garantire le difese della Settimania, contraendo importanti debiti per le spese militari.

Le premesse a questa storia farebbero pensare a una donna dura, abituata a una vita di complotti e, con ogni probabilità, analfabeta o soltanto in grado di leggere, avvezza più a maneggiare una spada che una Bibbia. Invece Dhuoda è una donna di straordinaria cultura, con un profondissimo senso religioso e una grande conoscenza non solo delle scritture sacre ma anche dei testi filosofici del passato.

Nell’841 inizia a scrivere il Liber Manualis, un libro-guida per il figlio Guglielmo cresciuto lontano da casa, il quale viene esortato a vivere una vita retta e a educare il piccolo fratello, portato via dal grembo della madre e al seguito del battagliero gruppo del padre. Il trattato è una straordinaria testimonianza del pensiero di una donna medievale nella sfera del mondo franco. Dhuoda nomina il futuro Bernardo III di Tolosa rivolgendosi a Guglielmo come “Tuo fratellino, di cui non conosco ancora il nome“. Il contenuto del libro è sostanzialmente una serie di precetti su come essere un buon cristiano, ma si percepiscono altri spunti di saggezza da parte di Dhuoda. La nobildonna stabilisce l’obiettivo per ogni nobile ragazzo quando scrive: “Ciò che è essenziale, figlio mio Guglielmo, è che ti mostri un uomo su entrambi i livelli in modo da essere efficace in questo mondo e piacere a Dio in ogni modo“. Oltre a insegnargli tutto ciò che sa sulle questioni spirituali e sull’importanza di fare affidamento su Dio nei momenti difficili, Dhuoda educa Guglielmo sui fatti importanti della sua vita familiare, precisando le date del matrimonio dei suoi genitori, della sua nascita e della nascita del fratello minore.

Questo tipo di dati sono la base della conoscenza che si trasmette dai genitori ai figli in ogni famiglia moderna, ma è singolare che Dhuoda lo voglia comunicare all’erede. In epoca Medievale era molto difficile conoscere con certezza la data di nascita di persone, anche di elevato rango sociale, mentre veniva annotata quasi sempre la sola data di morte in occasione del funerale. Dhuoda scrive come se sapesse che dei lontanissimi posteri avrebbero tratto beneficio dalle sue informazioni. L’autrice narra in modo molto specifico: “E come per qualsiasi altro che un giorno potrebbe leggere il manuale che ora stai esaminando, possa anch’egli meditare sulle parole che qui seguono in modo da potermi raccomandare alla salvezza di Dio“.

Dhuoda morì nell’843, l’anno in cui finì di scrivere il suo libro di precetti, “completato con l’aiuto di Dio il quarto giorno prima delle None di febbraio“. Le ultime parole di una madre franca del IX secolo:

Trova, lettore, i versi del mio epitaffio:
Formato da terra, in questa tomba
Giace il corpo terreno di Dhuoda.
Grande re, ricevila.
La terra circostante ha ricevuto nelle sue profondità
La debole sporcizia di cui è stata creata.
Gentile re, concedile il tuo favore.
L’oscurità della tomba, bagnata dal suo dolore,
È tutto ciò che le resta.
Tu, re, assolvila dai suoi fallimenti.
Tu, uomo o donna, vecchio o giovane, che cammina avanti e indietro in questo posto
Ti chiedo, dì questo:
Santissimo, grandissimo, liberala dalle catene.
Costretta nella nera tomba dalla morte amara,
Chiusa, ha finito la sua vita nella sporcizia della terra.
Tu, re, liberala dai suoi peccati
In modo che il serpente oscuro
Non porti via la sua anima, dì in preghiera:
Dio misericordioso, vieni in suo aiuto.
Non lasciare che nessuno se ne vada senza leggere questo.
Io ti supplico per tutto ciò che pregano, dicendo:
Dalle pace, gentile padre,
E, (oh) misericordioso, ordina che almeno si arricchisca
Con i tuoi santi della tua luce perpetua.
Lascia che riceva il tuo amen dopo la sua morte.

Questo epitaffio non fu scritto da una monaca in un eremo, ma da una donna che combatté e si adoperò per la difesa del proprio popolo nel ducato del marito. Oltre alle preghiere al lettore, Dhouda rivolge anche le sue ultime parole al figlio, probabilmente le ultime che questi lesse di sua madre:

“Poiché la recitazione dei Salmi ha tali e tanti poteri, figlio Guglielmo, ti esorto a recitarli costantemente, per te stesso, per tuo padre, per tutti i vivi, per quelle persone che sono state amorevolmente al tuo fianco, per tutti i fedeli che sono morti, e per quelli la cui commemorazione è scritta qui o chi vi viene aggiunto.
E non esitare a recitare i Salmi che hai scelto per il rimedio della mia anima, così che quando il mio ultimo giorno e la fine della mia vita verranno potrei essere trovata degna di essere risuscitata in cielo alla destra del padre con la buona gente le cui azioni sono state degne, e non a sinistra con gli empi. Ritorna frequentemente a questo piccolo libro. Addio, nobile ragazzo, e sii sempre forte in Cristo“.

Per noi lettori, che ci immergiamo nel mondo di Dhouda ben 1.200 anni dopo, le sue parole evidenziano tutte le contraddizioni dell’essere umano, ma anche la straordinaria fede cristiana che animava le persone medievali. Dhuoda e i suoi parenti vissero in un’epoca difficilissima, in cui la guerra era la realtà quotidiana dell’essere umano. Oltre alla battagliera nobildonna, il marito e i figli furono impegnati sui campi praticamente tutta la vita.

Il marito Bernardo di Settimania morì decapitato per tradimento durante la prima metà dell’844, mentre il figlio Guglielmo subì la stessa sorte del padre soltanto 5 anni dopo, nell’849. Il piccolo Bernardo III di Tolosa, che probabilmente non rivide mai la madre dal momento della nascita, fu l’unico a morire per cause naturali, nell’886, dopo aver trascorso la vita sui campi di battaglia.

Della devota fede di Dhuoda, forse, troviamo traccia nel nipote, Guglielmo I di Aquitania (865-918), il quale fu il fondatore dell’Abbazia di Cluny, la più rinomata e importante d’Europa per tutta l’epoca medievale.

[*] Medioevo: perché lo chiamano “buio”?. Contro un “secolare pregiudizio” – di Maria Vittoria Pinna, CulturaCattolica.it

Quante volte per squalificare una situazione o per stigmatizzare qualcosa di negativo abbiamo sentito dire: “Siamo tornati al Medioevo” oppure “Questa è una mentalità medievale!” Purtroppo questo modo di esprimersi, divenuto ormai patrimonio comune dei nostri tempi, bolla acriticamente un periodo storico di ben dieci secoli, che qualcosa di buono deve pur avere avuto.

Vedremo poi in che senso questo splendido periodo viene rattrappito dall’ignoranza o dal pregiudizio degli storici e non; ma prima è opportuno ricordare alcuni aspetti di questi secoli che molti ancora si ostinano definire “bui”.

Nel frattempo cerchiamo di delineare sia pure in modo sintetico questo lungo periodo storico.

Il Medioevo, tradizionalmente, indica il periodo che va dalla caduta dell’impero romano (476 d.C.) d’Occidente alla scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo (1492). Si tratta quindi di un periodo abbastanza lungo e complesso, ma “stranamente” la cultura moderna non ama soffermarsi in modo obiettivo sui singoli accadimenti storici o sui vari fenomeni culturali e religiosi che lo caratterizzarono. E anche nelle nostre scuole sempre più finisce per diventare una breve e imbarazzante parentesi tra l’epoca d’oro della Classicità e il trionfale Rinascimento, dalle scoperte e intuizioni geniali che introducono in quel progresso senza fine cui è destinata la storia dell’uomo, artefice della propria fortuna.

Naturalmente è impossibile sintetizzare in poche righe i complessi processi di trasformazione che caratterizzarono questo periodo, che un’autorevole studiosa Régine Pernoud avrebbe preferito definire “Civiltà cristiana romano-germanica”, pur riconoscendo l’impossibilità di sostituire ad un termine così universalmente diffuso Medioevo un altro difficilmente comprensibile all’attuale mentalità predominante.

Piuttosto che soffermarsi sui molteplici fatti storici fatti è utile e interessante sottolineare almeno alcuni aspetti di questo variegato periodo, che ultimamente, almeno nel mondo accademico più serio, conosce una decisa rivalutazione.

L’aspetto più interessante per noi è certamente sapere che quel che caratterizzò il Medioevo è la concezione unitaria della vita, riconosciuta come totalmente determinata dall’appartenenza alla Chiesa (cioè dalla dipendenza da Dio), tanto che sarebbe più adeguato definire il Medioevo come epoca della Cristianità.

Se dunque ciò che determinò il Medioevo fu una profonda religiosità, vissuta come appartenenza alla Chiesa, anche tutte le manifestazioni culturali, sociali e politiche ne furono informate. Si pensi per esempio agli “archetipi della cultura europea” che sono il santo, il re, il cavaliere e che ci hanno lasciato una preziosa eredità, per chi ha il coraggio di accoglierla nella sua interezza.

Si pensi allo splendore delle cattedrali che hanno punteggiato l’intera Europa di fari luminosi per la loro bellezza. Per Régine Pernoud il Medioevo è l’unica epoca di sottosviluppo che ci abbia lasciato delle cattedrali. Si pensi al preziosissimo lavoro dei Benedettini, che con la loro regola e con la loro operosità non solo hanno ispirato gli altri ordini religiosi, ma addirittura hanno iniziato l’opera semplice ed umile di ricostruzione dopo le devastazioni barbariche, senza trascurare di custodire e trascrivere i manoscritti dell’antichità classica. Si pensi alle prime scuole, nate a ridosso dei monasteri e frequentate da tutti, anche dai più poveri. Si pensi alla nascita dell’Università, che, pur tenuta da ecclesiastici, non temeva di affrontare qualsiasi argomento, in nome della ricerca della verità e in ossequio alla retta ragione capace di giungere alle soglie della fede. Si pensi alle grandi opere filosofiche, nate anche per contrastare l’insorgere delle eresie, ma non solo. Si pensi al prodigioso fiorire di poemi epici il cui contenuto, grazie ai grandi pellegrinaggi della cristianità, circolavano liberamente in tutta Europa; per non parlare del capolavoro delle nostre origini che è La Divina Commedia. Si pensi al rapporto di profonda lealtà e libertà che legava signore e vassallo. Si pensi alle grandi innovazioni tecniche troppo spesso sottaciute dall’ignoranza del nostro tempo, conseguente anche al fatto che vi sono moltissimi manoscritti non ancora esaminati e pubblicati. Si pensi all’importanza che aveva la donna se anche nei monasteri doppi, maschili e femminili, separati ma contigui, i monaci facevano la “professione” nelle mani della badessa e non dell’abate; oppure al fatto che solo nell’autunno del medioevo, nel ‘300 alla donna non sarà più permesso per esempio di frequentare la Sorbona, mentre prima la donna poteva anche esercitare cariche pubbliche, oppure praticare la medicina ed era incoronata regina alla stessa stregua del re (il che dopo non accadde più).

Si tratta solo di alcuni aspetti della civiltà del Medioevo che ci fanno intuire quale ricchezza resti nascosta e sconosciuta ai più su questo periodo. Certo non mancarono errori e nefandezze, come in ogni periodo storico a causa della fragilità umana… ma anche il fatto che in tutto il Medioevo sia attestato un solo suicido la dice lunga sul tipo di mentalità, che ormai noi non conosciamo più.

Tutto ciò per ristabilire un minimo di verità su questo periodo storico così misconosciuto.

Ma come mai si è arrivati a bollarlo come epoca” buia”? E come è nata questa leggenda che facilmente viene propinata da storici e intellettuali che, per ignoranza o per pregiudizio, preferiscono liquidare con una semplice formula quasi mille anni di storia?

Occorre tenere presente una verità molto spesso dimenticata: che “la storia” ufficiale – quella che poi finisce con l’essere un patrimonio comune di un determinato popolo – non è costituita dai fatti storici nella loro integralità e nel loro significato (ché sarebbe un segno di troppo grande amore alla verità), bensì da quello che i vincitori decidono valga la pena di ricordare. Quindi non è necessario fare operazione apertamente menzognere, come quelle che si perpetravano con tanto di teorizzazione ideologica giustificativa nell’Unione Sovietica del secolo scorso, per cui la storia si riscriveva ad ogni generazione in base alle esigenze propagandistiche del capo di turno: basta semplicemente omettere certi periodi storici o certi fatti ed enfatizzarne altri e il gioco è fatto (si pensi al modo come si è parlato dei martiri della Resistenza in Italia e come per tanto tempo si sia colpevolmente taciuto delle ormai famose “foibe”).

E anche se non sono i vincitori in senso politico o militare ad effettuare la manipolazione degli eventi storici, quel che determina la scelta dei fatti degni di essere ricordati è certamente anche l’orientamento ideologico, o per meglio dire la mentalità propria del periodo in cui lo storico scrive.

Un secondo aspetto da non sottovalutare è la sottile opera che si perpetra anche con l’uso di determinati termini: Medio Evo sarebbe infatti semplicemente una “età di mezzo”, una parentesi insignificante (di quasi mille anni!!!), un… incidente di percorso, tra lo splendore dell’età classica e il Rinascimento.

Questo tipo di operazione, per quel che concerne il Medioevo, è iniziata proprio con l’emergere della nuova cultura del Rinascimento, che si pone consapevolmente in antitesi nei confronti dei secoli precedenti e in particolare di quelli in cui l’unitarietà della concezione della vita, determinata dalla civiltà integralmente cristiana, aveva prevalso. La contrapposizione culturale fondata su una concezione della realtà che cominciava a rifiutare Dio in modo sempre più consapevole, viene poi acuita dall’operazione di demonizzazione di tutto ciò che sapeva di oscurantismo cattolico.

Tale operazione viene poi incrementata, al tempo della cosiddetta “Riforma”, dai teologi e dagli storici protestanti, che animati dall’odio anticattolico (ricordiamo che da loro il Papa veniva definito come l’Anticristo), non esitavano a dare un giudizio negativo su tutto quel periodo che era stato caratterizzato dal trionfo della Chiesa e del papato romano.

In seguito l’opera di svalutazione totale del Medioevo è completata dall’Illuminismo, che in nome dell’esaltazione della ragione intesa come capacità astratta e superba di misurare la realtà, bolla definitivamente quelli che definisce secoli bui in odio a qualsiasi tradizione, specie se religiosa, precludendosi così la possibilità di conoscere veramente quei secoli in cui proprio la Chiesa era stata l’unica a difendere la retta ragione.

Uno degli esiti più clamorosi dell’Illuminismo è certamente la rivoluzione francese della quale uno dei primi atti è stato quello dell’Assemblea Nazionale che, nella celebre notte del 4 agosto 1789 decretò praticamente di sopprimere il passato per poter “far rinascere” una nuova Francia.

Alla fine del 700 l’opera di mistificazione nei confronti di mille anni di storia, grazie alla sapiente opera iniziata con il Rinascimento, è praticamente compiuta: ormai il Medioevo, come espressione della cristianità, ha definitivamente un’immagina negativa e immodificabile e diventa automatica qualsiasi sbrigativa condanna di quel periodo storico.
Attualmente la nostra cultura, quasi totalmente scristianizzata, riceve volentieri questa visione ereditata da secoli di mistificazione nei confronti del Medioevo, e acriticamente la fa propria.

Foto di copertina: in questa illustrazione tratta da “La città delle donne”, una storia allegorica scritta da Christine da Pizzano nel 1405, le donne maneggiano la cazzuola, montano i mattoni… Se non sembrano realistiche in vista dell’abbigliamento dei “lavoratori”, queste immagini esistono. Tuttavia, sarebbero stati sovversivi se l’idea di vedere donne che lavoravano in un cantiere non fosse stata integrata dalla società.

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