Il card. Petrocchi ricorda che gli aquilani sono popolo

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Ancora una volta L’Aquila, con i 56 comuni, si è ritrovata, a 12 anni dall’evento, a ricordare nel silenzio della notte i morti sotto le macerie, mentre ancora la completa ricostruzione è ancora lontana. Ed anche quest’anno nessuna fiaccolata per le misure anti-Covid in atto, ma 309 rintocchi di campane e l’accensione di un braciere nei pressi della chiesa, acceso da un vigile del fuoco, Francesca Di Nino.

Ed alle ore 21di lunedì 5 aprile da piazza Duomo è partito un fascio di luce azzurra verso il cielo: un gesto simbolico, con il dispositivo acceso fino alle ore 3.32. Mentre nella chiesa di Santa Maria del Suffragio, si è svolta una celebrazione liturgica officiata dall’arcivescovo della città de L’Aquila, card. Giuseppe Petrocchi, durante la quale è stata data lettura dei nomi delle vittime del sisma.

Nell’omelia il cardinale ha sottolineato che attraverso l’annuncio del kerigma della Resurrezione la morte è trasformata in vita e la relazione non si interrompe: “La comunicazione avviene sul canale della fede. Bisogna, infatti, imparare bene il linguaggio  del Regno dei Cieli, il cui Il vocabolario è costituito da parole evangeliche.

La grammatica è quella della Pasqua. La intenzione dialogica, che muove tutto, è il desiderio di unità con Dio e con gli altri. E’ in questo idioma, infatti, che si esprimono quelli che dimorano ‘lassù’. Si intensifica lo scambio di doni, generati dalla reciproca carità: dunque, la circolarità di grazie ottenute da loro per noi, come anche di preghiere e opere buone offerte da noi per loro”.

Con queste parole l’arcivescovo della città non ha inteso eliminare il dolore, ma eliminare il pessimismo: “Il dolore, infatti, ha diritto di ‘esserci’, perché scaturisce da un amore ‘sacro’, segnato dal ‘per sempre’. Come il cosmo è tenuto insieme dalla forza di gravità, così l’universo-umano viene aggregato da una energia unitiva basilare: prima di tutto l’amore dei genitori verso i figli, poi l’amore dei figli verso i genitori e l’amore fraterno. I legami che tesse l’ amore ‘parentale’, quando è autentico, non possono essere recisi.

Questo amore non si arrende di fronte allo scorrere della storia, non arretra di fronte alle contrarietà: è un vincolo che resta intatto, qualunque cosa accada! Sfida la morte: e in questo scontro è la morte che ha la peggio, perché è un amore che continua a vivere: in tutto, nonostante tutto, in eterno”.

Il tempo non elimina le ferite, ma permette di fare ‘memoria’: “Oggi siamo esortati non solo a ‘ricordare’ (=rivisitare con la mente episodi lontani nel tempo, ma scollegati dal nostro ‘oggi’) quei drammatici momenti del 6 aprile 2009: ma a ‘farne memoria’ (= dare il primo posto, nell’anima, a eventi che sono rimasti sempre presenti nella mente e nel cuore, e che ‘ora’ ridiventano ‘attuali’ e ‘condivisi’, in una dimensione cristiana ), vivendoli come Comunità ecclesiale e civile”.

Ed ecco la differenza che intercorre tra popolo e popolazione: “Vorrei, in tale prospettiva, proporvi la distinzione, tra ‘popolazione’ e ‘Popolo’: la prima parola esprime una molteplicità di individui che abitano nella stessa zona, senza che tra i componenti di questo ‘insieme’ si stabiliscano relazioni di reciproca appartenenza e interazioni per una condivisa progettualità.

Per diventare ‘Popolo’, invece, occorre riconoscersi ed operare come comunità caratterizzata dalla stessa ‘identità’ – storica,culturale e sociale – sentendosi corresponsabili e protagonisti nell’affrontare sfide collettive, come anche nel costruire prospettive future che riguardano tutti e ciascuno”.

Ed ha elencato alcune caratteristiche del popolo: “Il Popolo ha una cultura specifica, tradizioni proprie e stili di comportamento ‘tipici’. La storia è un influente fattore di coesione: determina saldature inscalfibili e disegni indelebili.

Un ‘Popolo’ è reso tale non solo dalle sue conquiste e dai successi che si è guadagnato, ma anche dagli eventi drammatici che lo hanno segnato: queste sofferenze condivise rappresentano un potente fattore unificante”.

Per questo la gente aquilana è ‘popolo’: “Il dramma del terremoto ha reso ancora più ‘Popolo’ la gente aquilana: la comune tragedia, affrontata ‘insieme’, ha stretto, con nodi inscindibili, il mutuo senso di appartenenza.

Quando un trauma, che deriva da una calamità generale, colpisce una ‘popolazione’ viene vissuto in modo frammentato: ciascuno lo porta per conto suo o per aggregati sparsi. Invece, dove c’è Popolo, il dramma è condiviso: vissuto da tutti e da ciascuno in modo diverso, ma universale.

Si stabilisce così una ‘interdipendenza’, in cui il ‘mio’ diventa ‘nostro’, e viceversa. Un altro fattore che crea legami costitutivi è la determinazione collettiva nel reagire alle emergenze e la volontà perseverante di ricostruire.

L’Aquila, nella sua storia fondativa, non si è avviata in ‘tono minore’, per innalzarsi successivamente a registri ‘maggiori’: è subito arrivata ad eseguire uno ‘spartito alto’. Gli annali della Città lo documentano con chiarezza”.

Per questo il popolo aquilano ha un cromosoma particolare: “Sono persuaso che se venisse fatta un’analisi del DNA del Popolo aquilano si ritroverebbe – tra i cromosomi identitari – la ‘resilienza al sisma’: questi fattori ‘strutturali’ suscitano ‘anticorpi caratteriali’ che neutralizzano i virus della disgregazione sociale e sconfiggono la sindrome della disfatta.

Altro ‘gene’ identitario è la ‘tenacia del ripartire’, che si rende visibile nella spinta perseverante alla ricostruzione. Dal “gene” della ripartenza, sempre e a qualunque costo, si sviluppa il ‘genio’ del reinventarsi, pure davanti alle macerie, una esistenza non solo ‘riadattata’, ma ‘ri-progettata’ e di ‘nuovo conio’.

Per tali motivazioni, la commemorazione, che stiamo celebrando, non riguarda solo i famigliari delle Vittime e la rete degli amici: è un evento di Popolo! Le Vittime del terremoto sono state e continuano ad essere – a pieno titolo – membri del Popolo che noi formiamo”.

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