Da Gerusalemme un invito a vedere Gesù risorto

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Da Gerusalemme, cuore della Pasqua cristiana, anche quest’anno, seppur in pandemia è risuonato il suono della resurrezione trasmesso dall’Angelo alle donne recatesi al sepolcro, come ha sottolineato il patriarca di Gerusalemme, mons. Pierbattista Pizzaballa, riprendendo il canto dell’antifona ‘Sono risorto e sono ancora con voi, alleluia’, tratto dal salmo 139:

“E’ il grido di gioia della Chiesa dopo i giorni di dolore e sofferenza della passione, morte e sepoltura del Signore. Queste parole sono poste sulle labbra di Gesù, uscito glorioso da questa tomba dopo che il Padre lo ha risuscitato dalla morte.

Ma sono anche parole che possono essere ripetute da ognuno di noi riuniti in questo che è il più Santo dei Luoghi, perché in Cristo Risorto siamo rinati dal peccato e dalla morte alla grazia e alla vita, e perché sappiamo che Cristo è risorto dai morti e non morirà mai più. La morte non ha più potere su di Lui”.

Il patriarca ha incentrato l’omelia sul verbo ‘vedere’: “… credere è un modo di vedere in profondità, di riconoscere che l’assenza del corpo di Gesù non parla di un furto, ma di una vita nuova che è accaduta; Giovanni vede un vuoto, e crede che questo vuoto è in realtà una pienezza.

Ed è ciò che, oggi, ciascuno di noi è chiamato a fare: entrare nei luoghi della morte, e stare lì, sul limite del sepolcro, per vedere e per credere che nonostante la morte continui a fare paura, in realtà non ha più potere”.

Quindi ha invitato ad abitare  “sulla soglia del sepolcro, come a tenere aperta una frontiera, un passaggio, a vivere in continuazione questo movimento dalla morte alla vita: vedere che i segni della morte sono ancora presenti, in noi e fuori di noi, ma credere a questa novità grande e assoluta, di un ‘più Forte’ venuto nel mondo per sconfiggere quel nemico che l’uomo, da solo, non avrebbe mai nemmeno potuto affrontare”.

Pasqua è uno ‘sguardo’, cioè un modo nuovo di vedere: “Pasqua è uno sguardo più che un ritrovamento, è un modo di vedere nuovo, più che un ritrovare le cose di prima, le cose di sempre. In questo anno trascorso, in larga parte del mondo, abbiamo soprattutto contato contagi, malati, morti e, probabilmente, siamo un po’ tutti come Maria di Magdala:

tentati di correre all’indietro, per ritrovare i corpi che abbiamo perso, le occasioni mancate, le feste rinviate, la vita che è sembrata sfuggirci. Sogniamo tutti un ritorno alla normalità che potrebbe però somigliare tanto a voler ritrovare un cadavere, un mondo e una vita malata, segnata dalla morte”.

Nella Pasqua risuona l’invito di Gesù a scommettere su Dio: “Pasqua è scommettere sull’impossibile di Dio piuttosto che sul possibile degli uomini. Pasqua è vedere il vuoto, guardare i segni della passione e scorgervi la premessa e la promessa di una Vita nuova e straordinaria, non perché siamo sognatori ma perché crediamo in Dio, Signore dell’impossibile”.

E’ questa la ‘sfida’ a cui sono chiamati i cristiani, annunciando la Vita: “Penso che questo mondo stanco, ferito, stremato dalla pandemia e da tante situazioni di paura, morte e dolore, logorato da troppe ricerche vane, che trova sempre meno ciò che cerca, abbia più che mai bisogno di una Chiesa dagli occhi aperti, dallo sguardo Pasquale, che sa scorgere le tracce della Vita anche tra i segni della morte.

Qui insieme a Cristo, può e deve risorgere una Chiesa chiamata per nome dal Signore, che corre ad annunciare con gioia di averLo visto nei tanti volti e nelle tante storie di bellezza, di bontà e di santità che hanno consolato e consolano il suo cammino”.

Dalla Pasqua rinasce anche la vita della Chiesa: “Dalla Pasqua può e deve ripartire una Chiesa che, umilmente fiera della vittoria del suo Signore, osa proporre la gioia del Vangelo a tutti, per ridisegnare un mondo e una storia di nuovi rapporti di giustizia e di fraternità.

Cristo non è un cadavere, la Sua parola non è lettera morta, il Suo regno non è un sogno infranto, il Suo comandamento non è superato: Egli è la Vita, la nostra vita, la vita della Chiesa e del mondo.

Egli è la Verità, la nostra verità, la verità della Chiesa scartata spesso dai potenti, ma pietra angolare di ogni costruzione che voglia sfidare le tempeste. Egli è la Via, la nostra via, la via della Chiesa, che passa certo dal Calvario ma giunge infallibilmente alla pienezza della gioia”.

E’ un incoraggiamento perché tutto è possibile per chi crede: “Nulla è impossibile per chi ha fede. Ecco cosa mi sento di dire a questa nostra Chiesa: coraggio! Nulla è impossibile, smettiamo di ripiegarci sulle nostre ferite, di cercare il Vivente tra i morti, di guardare indietro, al nostro passato, a quello che eravamo, a quanto abbiamo perduto. Non troveremo lì il Risorto, non è quella la nostra Pasqua!”

Anche nella veglia pasquale il patriarca aveva incentrato l’omelia sulla vista: “Tutti i vangeli della risurrezione usano il verbo vedere, anche se in realtà non ci sarebbe nulla da vedere, perché il corpo di Gesù non è più nel sepolcro.

Nei Vangeli non ci sono descrizioni dell’evento della risurrezione, ma si mostrano solo i segni di essa, gli incontri con i testimoni e infine con il Risorto stesso. Nel Vangelo di Marco il segno è la pietra del sepolcro già rotolata, e il testimone è il giovane vestito di bianco, seduto sulla destra”.

Il Vangelo sottolinea che per credere è necessario un segno: “Abbiamo bisogno di un segno da vedere e di una parola da ascoltare. Non potremo mai, infatti, spiegare la risurrezione. Nessuna teoria potrà mai convincere. La risurrezione si può solo incontrare, possiamo solo farne esperienza.

Abbiamo bisogno ancora oggi di testimoni che ci mostrino i segni del Risorto tra noi, che ci annuncino credibilmente che il mondo non è più in potere della morte. Sembra impossibile, eppure è così e ancora oggi ne possiamo incontrare tanti”.

(Foto: Patriarcato di Gerusalemme)

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