Perché i diritti umani sono fondamentali? L’impegno della Santa Sede all’ONU

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“Dobbiamo porci sempre una domanda essenziale: i diritti umani sono fondamentali perché vengono riconosciuti da una maggioranza di Paesi, o sono universali per una pretesa etica, che è precedente al riconoscimento da parte degli Stati e che nasce dalla dignità di ogni persona?” E’ una domanda diretta quella che pone il “ministro degli esteri” vaticano Mamberti al Consiglio dei Diritti dell’uomo di Ginevra. E, in questa domanda, sono racchiuse tutte le preoccupazione della Santa Sede riguardo l’uso che si sta facendo dell’idea dei diritti umani per la promozione di “nuovi diritti”, come il diritto all’aborto e il diritto all’eutanasia. “Il modo in cui i cosiddetti “nuovi diritti” vengono discussi e riconosciuti dal Consiglio per i Diritti dell’Uomo mette a rischio l’universalità e l’indivisibilità dei diritti umani e, di conseguenza, la credibilità del Consiglio quale promotore e difensore dei principi della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani”.

Pochi giorni prima dela fine del pontificato, Dominique Mamberti interviene alla XXII sessione del Consiglio dei Diritti dell’Uomo (24-26 febbraio) e porta avanti quella che forse più di tutte è stata la battaglia diplomatica di Benedetto XVI in questi ultimi otto anni di pontificato. Ovvero, difendere l’universalità dei diritti umani e il loro radicamento nel cuore dell’uomo. Ma possono essere universali i “nuovi diritti” che, magari, puntano a difendere una sola categoria di persone? Possono essere universali i diritti umani che, nel tutelare la “salute riproduttiva” delle donne mettono in discussione il diritto primario alla vita dei bambini non nati?

Sono tutte domande che la Santa Sede pone nei consessi internazionali, ed è tra le pochissime entità diplomatiche a farlo. Alla domanda che pone ai membri del Consiglio dei Diritti dell’Uomo, Mamberti risponde che “la Santa Sede crede fermamente che i diritti umani debbano essere giudicati in base al loro riferimento ai principi fondanti e agli obiettivi contenuti nei documenti fondamentali, dove la natura e la dignità innata della persona umana costituiscono elementi chiave”. Cita, poi, la Caritas in veritate, l’enciclica sociale di Benedetto XVI, dove si legge al numero 43: “I diritti individuali, svincolati da un quadro di doveri che conferisca loro un senso compiuto, impazziscono e alimentano una spirale di richieste praticamente illimitata e priva di criteri”

Ed è una relazione dai toni amari, quella di Mamberti. “Vent’anni fa – afferma con forza il presule – la Conferenza Mondiale di Vienna sui diritti dell’uomo del 1993 proclamò l’indivisibilità e l’universalità di tutti i diritti umani. Tuttavia, gli sforzi per dare sostanza alla dichiarata pari importanza e interdipendenza dei diritti civili e politici e dei diritti economici, sociali e culturali incontrano ancora grossi ostacoli sul cammino che conduce al loro compimento. Il divario che ne risulta mostra l’alto costo che un vasto segmento della popolazione mondiale deve pagare, come dimostrano la cattiva salute e la mancanza di accesso ai medicinali necessari, la mancanza di una educazione adeguata, in particolare per le ragazze, la mancanza di acqua potabile, di cibo a sufficienza, la costante esclusione politica di milioni di persone, la mancanza di sicurezza nei conflitti armati, la mancanza di assistenza ai migranti e ai rifugiati, nonché la mancanza di libertà di espressione e di libertà religiosa. C’è ancora molto da fare per rendere l’indivisibilità dei diritti umani una realtà”.

Con puntigliosità, Mamberti sottolinea i compiti del Consiglio dei Diritti Umani (monitorare e promuovere il rispetto dei diritti umani; sostenere la concreta universalità dei diritti umani) e afferma che “il numero delle risoluzioni è meno importante della loro efficacia, l’imposizione di nuovi diritti e principi dovrebbe essere rimpiazzata dal rispetto e dal rafforzamento di quelli già approvati. In tal modo, si ricercherà il bene comune, si rafforzerà la cooperazione tra le nazioni e si rispetterà pienamente il principio di sussidiarietà”.

Quali sono i diritti umani più minacciati? Mamberti mette al primo posto la libertà religiosa. Vero,dice, il diritto internazionale è “piuttosto sostanzioso” per quanto riguarda la difesa della libertà religiosa. Eppure i dati – tra cui una recente indagine del Pew Forum – dicono che oltre il 70 per cento della popolazione mondiale vive in luoghi in cui la libertà di religione non viene garantita.

Perché – domanda Mamberti – il diritto alla libertà religiosa “continua a essere uno dei diritti più frequentemente e più diffusamente negati, limitati nel mondo?” Tra le ragioni di ciò – spiega Mamberti – vi sono una legislazione statale carente, la mancanza di volontà politica, il pregiudizio culturale, l’odio e l’intolleranza. Questi fattori spesso accompagnano le violazioni della libertà di religione. Tuttavia, la chiave per promuovere la libertà di religione è riconoscerla come radicata nella dimensione trascendente della dignità umana. La libertà che viene tutelata nella libertà di religione non può essere ridotta semplicemente alla sua dimensione politica o addirittura civile. È una libertà che pone un limite allo Stato e una protezione della coscienza dell’individuo contro il potere statale. Per questo, quando uno Stato la tutela in modo adeguato, la libertà di religione diventa una delle fonti della sua legittimità, e un indicatore primario di democrazia”. E – aggiunge- “si può e si deve fare di più per tutelare la libertà di religione delle minoranze religiose”.

Come difendere i diritti umani? Promuovendo la pace, che si conquista solo se lo stato di diritto traduce in azione gli standard dei diritti umani. “La chiave per questa ricerca di una pace internazionale nel mondo globalizzato – sostiene Mamberti – è la preservazione e la promozione dell’universalità e della indivisibilità dei diritti umani. Nel contesto attuale di un’interconnessione sempre crescente tra le società, l’adesione allo standard dei diritti umani diventa sempre più importante, e allo stesso tempo anche un presupposto per l’armonia sociale e la pace”. Questo significa che ci si deve impegnare a difendere la persona umana dal concepimento fino alla morte naturale; che si devono proteggere i diritti del fanciullo, e che tra questi si deve difendere “il diritto ad avere una famiglia, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, alla quale spetta la responsabilità primaria dell’educazione dei figli”. Vanno tutelati i diritti di disabili, migranti, rifugiati. E ovviamente vanno tutelate la libertà di religione, di espressione, di associazione e va portata avanti la lotta alla discriminazione basata su sesso, religione, razza e colore e la lotta alla violenza contro le donne.

Sono i temi che la Santa Sede – la cui agenda internazionale è il bene comune – ha sempre portato avanti. “Il riconoscimento della legittimità dei diritti umani da parte della Chiesa cattolica – afferma Mamberti – non è solo un dovere morale o politico. Ha radici profonde nelle sue convinzioni e nelle sue credenze. Questo è legato al modo in cui la Chiesa vede la persona umana e la sua dignità.” Ed il modo è spiegato in un passo della Pacem in terris, di cui quest’anno si ricordano i cinquant’anni dalla promulgazione. In quell’enciclica, Giovanni XXIII sottolineava che “se poi si considera la dignità della persona umana alla luce della rivelazione divina, allora essa apparirà incomparabilmente più grande, poiché gli uomini sono stati redenti dal sangue di Gesù Cristo, e con la grazia sono divenuti figli e amici di Dio e costituiti eredi della gloria eterna”.

È questa la sfida della Santa Sede in sede diplomatica: difendere la realtà trascendente dell’uomo e – per questo – difendere l’universalità dei diritti umani. È una battaglia per il bene comune.

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