Tullio Colsalvatico racconta le Marche

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“La notte del 10 dicembre 1294 un bagliore improvviso rompe le tenebre nel cielo delle Marche; par che l’aurora anticipi il suo sorgere; l’Adriatico si lastrica d’oro; brillano le vetrate delle chiese, le finestre dei casolari; la gente si desta di soprassalto. La luce misteriosa rimarrà sospesa finché si confonderà con l’alba. Che cosa è avvenuto? La pia tradizione ci dice: la Casa di Nazareth, preceduta da un alone di porpora, trasmigra dalla Terra Santa sul colle di Loreto piceno, di fronte al mare. La prima preghiera che accoglie é quella delle acque. Le Marche hanno atteso questo dono notturno di luce per dischiudere il seme della loro poesia”.

Così inizia il saggio di Tullio Colsalvatico, ‘Lo spirito della terra marchigiana’, edito nel 1961 dall’Istituto internazionale di Studi Piceni per volontà di padre Stefano Troiani. Ora, a distanza di 50 anni e per ricordare il centenario della nascita ed il quarantennale della morte, è rieditata la seconda edizione del saggio, che offre un quadro essenziale della regione, centrato su rapide e originali annotazioni storiche in cui sono condensate alcune delle più alte espressioni della cultura, di ambienti, città e territori.

Il saggio dello scrittore tolentinate è stato dato alla ristampa grazie alla collaborazione di Alessandro e Antonio Santecchia, pronipoti di Tullio Colsalvatico, la famiglia Garofoli per le opere pittoriche dell’artista sassoferratese Francesco Garofoli e Franco Maiolati, presidente del circolo culturale ‘Tullio Colsalvatico’.

Nelle Marche, sottolinea l’autore tolentinate, nasce il ‘Cantico’ di san Francesco ed i ‘Fioretti’: “Quando san Francesco venne ad elevare le Marche a provincia stellata, le trovò sparse di chiese e di edifici romanici. Vi aveva incontrato, a San Severino, Pacifico, re dei versi, ch’era stato incoronato poeta alla corte di Federico II.

A lui San Francesco affidò la correzione del ‘Cantico di Frate Sole’. Di Pacifico, re dei versi, rimane il nome senza l’opera, come a preannunciare un’opera che rimarrà senzal’autore: i ‘Fioretti’, nati nelle Marche”.

Poi Cecco D’Ascoli, che fu ‘avversario’ di Dante Alighieri: “Cecco d’Ascoli scrisse il primo trattato sulla fisionomia, e forse per aver visto troppo sui volti altrui andò in fiamme il suo, come se vi si fossero accumulati tanti rossori e vi avessero preso fuoco. Si volle avversario di Dante, ed è giusto che se Dante doveva avere un avversario, questi fosse un poeta bruciato vivo…

Il primo poeta marchigiano fu, dunque, bruciato vivo. Egli è in cima ai secoli della nostra poesia e il suo rogo è un faro. In nessuna regione d’Italia, e in nessuna terra del mondo, la poesia ha inizio così luminoso, o meglio così scottante. Non fu eretico, Cecco; l’eresia fu un’invenzione degli avversari gelosi della fiamma con la quale, dalle cattedre, incendiava i cuori dei suoi discepoli”.

In compenso nelle Marche si stampò per la prima volta la Divina Commedia: “Se Cecco d’Ascoli fu il presunto avversario di Dante, le Marche ripararono la colpa stampando, come prima opera, la ‘Divina Commedia’ con la carta di quel Fabriano che ha dato a tutto il mondo la maggior gioia di scrivere; e Zuccari ne fu uno degli illustratori, mentre Ottaviano Petrucci di Fossombrone adoperava i primi caratteri mobili per la stampa della musica”.

Per Colsalvatico le Marche sono una fiaba che permette il sogno attraverso piccole città: “Le Marche non hanno grandi centri perché non ne hanno bisogno, tanto che di tre città, più piccole della maggiore, ne hanno fatto capitali di regno: Camerino, Pesaro, Urbino, giardini della rinascenza. Molte altre ebbero reggenza propria, con statuti, collegi e due università nella stessa provincia…

I monti che ci separano da Roma ci liberano dal pericolo della città. Essi non la tengono tanto lontano da renderla impossibile, né tanto vicina da sciuparla. Roma fa parte della famiglia delle nostre città e, nel linguaggio, è quella che corre più spesso sulle nostre bocche. E’ la nostra capitale, perché a Roma ci sono tanti marchigiani quanti nessuna città delle Marche ne ha; né vi sono, nelle nostre città, tante opere di artisti marchigiani, quante ne sono a Roma”.

Inoltre le Marche sono terra di pellegrinaggi: “Due pellegrinaggi ora si compiono contemporaneamente: quello della fede e quello della poesia, perché tra i due Santuari, (di Loreto e di San Nicola da Tolentino), è Recanati, la patria di Giacomo Leopardi. Il nostro passo va per le sue strade scandendo il verso del poeta e, in un momento di silenzio, s’ode il passero solitario sulla torre del borgo.

Il Cappellone di Tolentino è, per le Marche, ciò che è per l’Umbria la chiesa superiore di San Francesco e, per il Veneto, la Cappella degli Scrovegni. Andando nelle Marche, non si può fare a meno di visitarlo. La città di Tolentino si distende sul tappeto della valle del Chienti tenendo la strada nazionale sul petto, come una spada; s’alzano intorno i colli ad affacciarsi sull’urna del Santo; vegliano, fumando, le ciminiere delle industrie…

La prima impressione che si ha, entrando nel Cappellone, è quella del buio: ci si gira intorno cercando dove guardare. Come avranno fatto a dipingerlo i pittori riminesi, ci si chiede. Poi l’occhio si abitua e cominciano ad apparire i colori, ad innalzarsi figure”.

Dopo aver illustrato poeti, artisti e musicisti marchigiani Colsalvatico riserva uno spazio importante a p. Matteo Ricci: “Parte per la Cina con un orologio da offrire all’imperatore. Ma lo offre senza la chiave. Quando l’orologio si ferma, tutti i sapienti dell’impero sono chiamati a rimetterlo in moto.

I sapienti lo guardano, lo toccano, si guardano, poi guardano l’imperatore scrollando il capo: la loro scienza non arriva a tanto. Allora l’imperatore fa chiamare Matteo Ricci. Questi assicurò che l’orologio tornerà a segnare il tempo, a patto che sia permesso ai suoi missionari di svolgere la loro opera religiosa e scientifica. Così la sua chiave rimette in moto l’orologio ed apre le vie tra l’Europa e la Cina”.

Il saggio si conclude con l’affermazione che la regione marchigiana è al centro della storia: “Ma la storia si diverte; proprio dove Napoleone, col suo trattato, aveva iniziato la spoliazione delle Marche, la scintilla napoleonica si spense 18 anni dopo, con Gioacchino Murat, alle porte di Tolentino, con la Battaglia della Rancia.

Da nessuno storico è stato messo in rilievo. Quando Garibaldi chiederà un inno, sarà un marchigiano a dettarlo: Mercantini; e quando si consacrerà in un’opera l’apoteosi della patria unita, Ercole Rosa modellerà il monumento ai Fratelli Cairoli, forse la più bella scultura ispirata dal Risorgimento”.

Tullio Pascucci, nome anagrafico di Colsalvatico, nacque a Colvenale, tra Camporotondo e Tolentino (Mc), il 21 agosto 1901. Morì il 21 settembre 1980. Inoltre nel 2006 da Israele è arrivata la testimonianza dell’intervento di Tullio Colsalvatico che aiutò a salvarsi dal rastrellamento un gruppo di circa 40 ebrei, tra cui 12 bambini, rifugiatosi da Roma nella montagna maceratese, tantoché lo Vad Yashem, dopo le dovute conferme di testimonianze e documentazione, nel giugno 2009 lo ha riconosciuto ‘Giusto fra le Nazioni’, iscrivendo il suo nome nel Giardino dei Giusti di Gerusalemme.

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