Sguardo di bellezza

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Ogni esperienza estetica è avventura sensibile della percezione del bello. Il termine greco aìsthesis non intende dire solo “bella apparenza”, ma “teoria della sensazione”: quando la bellezza ci viene incontro, essa ci attrae, i nostri sensi la percepiscono e l’attrazione si concentra su di essa. E’ impossibile fermarsi alla superficie del visibile, perché già nel visibile splende la luce di una profondità che si mostra. La bellezza in se stessa è potentemente attrattiva, poiché coinvolge in un incontro che afferra totalmente senza violentare, si propone e incanta generando fascino ed emozione. In Écrits de Londres, Simone Weil afferma che “la bellezza è il mistero più grande del mondo”. Platone, nel Fedro, dichiara che la bellezza, che è dall’altra parte del cielo, è qui visibile. Il filosofo, però, non spiega com’è arrivata, dice semplicemente che essa è discesa: questo movimento discendente, per Platone, è amore. Ogni sentimento di bellezza è amore, è presenza di Dio nella storia, è incarnazione di Dio nel mondo di cui proprio la bellezza è il contrassegno: l’incontro con essa è qualità teologica. Attraverso la bellezza attrattiva avviene l’incontro col divino.

Bellezza, perciò, non è vuoto ornamento esteriore, ma qualità del mondo divino che si riflette sull’uomo. Quando inizia il misterioso pellegrinaggio sulla Via Pulchritudinis ? La Genesi ci riferisce il compiacimento di Dio per l’opera delle sue mani: “Vide che era bello”. Questo ritornello torna sempre in crescendo. Per l’ultimo giorno il compiacimento è più intenso e completo: “Vide che era cosa bella e buona”. Tutto ciò che il Verbo di Dio crea per sovrabbondanza d’amore è splendore di bellezza e meraviglia di bontà. Di giorno in giorno, di opera in opera, risuona felicemente lo stupore di Dio che guarda la sua creazione, e, in essa, il capolavoro dei capolavori che è la creatura umana plasmata a immagine e somiglianza di Dio, eterna Bellezza e suprema Bontà: “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona” (cf. Gn 1,4.12.17.21.25.31). La bellezza è sempre stata motivo d’interesse, di riflessione e di valorizzazione da parte della Chiesa. Quest’interesse è tangibile soprattutto nella dimensione teologica dell’arte: in letteratura, pittura, musica, architettura. Sono diversi, infatti, gli aspetti della bellezza nel suo armonizzarsi con l’esperienza di fede all’interno del vissuto ecclesiale.

La Chiesa, innanzitutto, punta lo sguardo sulla dimensione antropologica sia personale sia comunitaria. Nell’ambito personale, educare alla bellezza, attraverso la cura amorosa, è qualità umana e cristiana, proprio perché la bellezza affonda le sue radici nel paterno gesto creaturale di Dio che, dalle sue sapienti mani, fa uscire “belli e buoni” il cosmo e l’uomo. Il divino dono della bellezza diventa così il compito dell’uomo chiamato a coltivare il bello e il buono per contribuire al perfezionamento della persona e del cosmo. La bellezza ha anche una dimensione comunitaria ed ecclesiale, negli spazi e nei luoghi sia materiali sia spirituali in cui abitano i credenti in Cristo. Proprio a loro Gesù dice: “Risplenda la vostra luce davanti agli uomini affinché, vedendo le vostre opere buone/belle (kalà), rendano gloria al Padre” (Mt 5,16). San Pietro, nella lettera d’incoraggiamento ai primi cristiani, insistendo sulla bellezza fascinosa dell’etica nell’estetica dell’operare, scrive: “Carissimi, io vi esorto come stranieri e pellegrini ad astenervi dai cattivi desideri della carne che fanno guerra all’anima. Tenete una condotta esemplare [lett. bella, kalén] fra i pagani” (1Pt 2,11-12). L’apostolo punta lo sguardo sulla bellezza delle opere, non semplicemente “buone” ma anche “belle”. La bellezza canta e dipinge l’aspetto attraente e luminoso del vero e del buono. La “bella condotta” attrae sempre, ma perché? Pietro ne dà la motivazione: “… perché, mentre vi calunniano come malfattori, al vedere le vostre buone opere diano gloria a Dio nel giorno della sua visita” (1Pt 2,12). I veri cristiani, vivendo di Cristo, si configurano a Cristo e diventano icona di Lui, “il più bello tra i figli dell’uomo” (Sal 44,3). Il fascino del bene è trasfigurazione in bellezza allo sguardo. Pietro, in ambiente pagano, con apertura coraggiosa sulla prospettiva d’inculturazione del vangelo, propone il kalòs, bello, e l’agathòs, buono, in rapporto al tàxis, ordinato-ornato.

L’apostolo dimostra così che anche l’ideale ellenistico fa parte del piano di Dio Creatore e di Cristo Redentore. Nel Discorso della montagna, infatti, Gesù ci esorta: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone (hymon ta kalà érga) e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,16). È la bellezza che irraggia luce e dona vita al nuovo cosmo ordinato e ornato. Questo è lo stile di Dio che crea e si manifesta. Questo deve essere lo stile dell’uomo che ricrea in bellezza e in bontà e ordina ornando. La comunità cristiana, dunque, non potrà essere se non luogo di bellezza: vivrà nella disciplina della libertà, opererà nello stile della concordia, del rispetto e della fiducia. Sarà l’alveo in cui nasce, cresce e fruttifica quella comunione, communicantes in unum, dei fratelli in Cristo, vissuto nel cuore della comunità dei credenti e celebrato nel canto della Divina Liturgia: “Ecco, com’è bello e com’è dolce vivere come fratelli insieme” (Sal 133,1). Bellezza e amabilità, in sinergia polifonica, diventano il timbro della personalità cristiana e delle comunità credenti. Nelle Confessioni, sant’Agostino, armonizzando la bellezza paradisiaca con quella creaturale, ci dice che ciò che godremo definitivamente contemplando la Bellezza eterna, qui lo pregustiamo attraverso la visione del creato. Anche se la percezione è limitata, il perfezionamento escatologico farà sì che la bellezza risplenderà in tutto il suo fulgore divino. Il cosmos è simbolo in cui percepiamo l’esistenza di una verità più alta: il creato è il luogo nel quale il Creatore si svela e si rivela. Dio non è “bellezza corporale, né grazia temporale, né splendore di luce…, né dolci melodie di cantilene d’ogni tono, né fragranza di fiori, di unguenti e di aromi, non manna e miele, membra accette agli amplessi della carne” (10, 6. 8).

Gli stessi sensi che cercano, godendo, la bellezza, l’armonia, la fragranza, il sapore e il gusto sensibile, indicano anche la percezione del sentire spirituale che conduce alla contemplazione di Dio che è “Luce, Voce, Odore, Cibo e Amplesso dell’uomo interiore”. Egli è “il Padre del buono e del bello” (Soliloqui, 1, 1.2). L’amore con cui Agostino vuole amare Dio è sensibile e spirituale insieme: è amore che vede, che sente, che tocca, che odora, che stringe al cuore. Il suo sguardo di bellezza diventa profonda nostalgia orante che invoca: “Tardi ti amai, Bellezza tanto antica e sempre nuova, tardi ti amai. Sì, perché eri dentro di me ed io fuori. Ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Eri con me e io non ero con Te” (Conf. 10, 27). L’icona per eccellenza della bellezza cristiana è la Trasfigurazione di nostro Signore. La Luce di comunione e di vita che scaturisce da Dio risplende sul volto di Cristo e annunzia il futuro del mondo in Cristo. L’epifania della Bellezza divina è stupore e gioia per i discepoli: sguardo di Bellezza e percezione della Voce entrambi trasfigurati dall’Amore. Contemplare la Bellezza e sentire la Voce è il modo proprio in cui Dio vede il creato e ascolta l’uomo. La grazia epifanica e la contemplazione estetica della Bellezza divina che la Trasfigurazione solennizza è essa stessa opera estetica di riferimento teandrico cui rifarsi con sapienza verso la maturazione della spiritualità cristiana.

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