Quattro secoli dopo il Concilio di Trento, dal 24 marzo 1968 si celebra in Italia la Santa Messa in toto nella «lingua vernacola»

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Il 24 marzo 1968 – siamo nel pieno del Sessantotto e della Guerra in Vietnam, su cui è concentrata gran parte dell’attenzione allora – per la Chiesa Cattolica Romana in Italia è una data storica. La Provincia l’ha ricordato ieri 24 marzo 2021 [QUI] – riprendendo un suo articolo del 24 marzo 1968 – che in quella quarta domenica di Quaresima entrò in vigore in Italia l’usa della lingua italiana in tutte le parti della celebrazione della Santa Messa, chiamata oggi Forma Ordinario del Rito Romano.

Non fu mai abrogata la celebrazione secondo la Forma Straordinario del Rito Romano, come si chiama oggi, interamente in latino, ma non si tratto di una questione solo linguistica. Questa è la forma della Celebrazione Eucaristica del Rito Romano promulgata da Papa Pio V nel 1570 a richiesta del Concilio di Trento, in continuità con il Rito Romano che è noto dai tempi di Papa Gregorio I. Fu mantenuta, con modifiche minori, nelle edizioni successive del Messale Romano fino a quella promulgata da Papa Giovanni XXIII nel 1962. Per quattro secoli fu la forma della liturgia eucaristica della maggior parte della Chiesa latina fino alla pubblicazione dell’edizione del Messale promulgata da Papa Paolo VI nel 1969 a seguito del Concilio Vaticano II. Tutte le edizioni tridentine, pur introducendo alcune modifiche, contenevano il testo della bolla Quo primum tempore con la quale Papa Pio V promulgò la prima edizione e recavano come titolo Missale Romanum ex decreto Sacrosancti Concilii Tridentini restitutum, mentre le edizioni successive al 1969 hanno per titolo Missale Romanum ex decreto Sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum. Il XX secolo ha visto modifiche operate in particolare da Papa Pio X, Papa Pio XII e Papa Giovanni XXIII. L’uso dell’edizione 1962, ma non di quelle anteriori, è ancora permesso come Forma Straordinaria del Rito Romano, espressione che indica che, se da una parte non è più la forma ordinaria, dall’altra parte non è un rito distinto, ma solamente una diversa forma del medesimo rito. Per cui può essere legittimamente celebrata e i sacerdoti non necessitano di alcun permesso per celebrare nella Forma Straordinaria del Rito Romano.

La Provincia, 24 marzo 1968
Una data fondamentale nella storia della Messa
Da oggi Messa tutta in italiano
Nessuna parola latina verrà più pronunciata dal sacerdote e dai fedeli


L’uso della lingua italiana per tutta la messa entrerà da oggi in ogni chiesa d’Italia e sarà, anzi, obbligatoria per tutte le messe alle quali sarà previsto un certo «concorso di popolo». Fino a ieri, infatti, ancora una notevole parte della messa, e cioè quella centrale della Consacrazione, nota col nome di «Canone» veniva celebrata in latino, ma da oggi non resterà alcuna parola latina né tra quelle pronunciate dal sacerdote, né tanto meno tra quelle dei fedeli. Quella di oggi può, quindi, considerarsi una data storica: poiché, dopo oltre dieci secoli, tutti i cristiani in Italia, pregando nella messa interamente in italiano, torneranno a comprendere esattamente ogni parola del sacerdote.

La «italianizzazione completa della messa» è stata approvata dai vescovi dopo lunghi studi e ripetute votazioni. Si conclude così, oggi, un cammino cominciato oltre quattro anni fa, quando il Concilio Vaticano II approvò (il 4 dicembre 1963) la Costituzione liturgica nella quale si ammetteva che la messa potesse celebrarsi in «lingua vernacola», cioè nella lingua viva di ciascun popolo, contrariamente a quanto aveva deciso quattro secoli prima il Concilio di Trento.

L’uso della lingua «vernacola», che già qualche polemica aveva suscitato tra i cattolici, fu confermato tre anni dopo con la «istruzione» della congregazione dei riti «Tres ab hine annos» approvata da Paolo VI e «confermata con la sua autorità» il 4 maggio 1967.

L’applicazione concreta del «vernacolo» veniva però lasciata alla discrezione dei vescovi dei vari Paesi. In Italia, il Consiglio di presidenza della Conferenza episcopale interpellò l’intero episcopato, il quale l’anno scorso approvò l’adozione della messa in italiano a grande maggioranza (215 voti contro 79). Non si trovò d’accordo, invece, su una versione del «Canone» della messa presentata dalla presidenza della Conferenza episcopale, e il testo dovette essere ampiamente rimaneggiato. Finalmente, il nuovo testo del «Canone», che è la parte più delicata della messa, fu approvato in una nuova votazione superando largamente la prescritta maggioranza dei due terzi dei vescovi.

Avuta infine la conferma dei competenti uffici della Santa Sede, il 17 gennaio scorso fu annunciato che l’intera messa in italiano sarebbe entrata in vigore la quarta domenica di Quaresima, cioè oggi. Fu anche precisato che la messa potrà essere celebrata soltanto nell’unica traduzione approvata dai vescovi e, per di più, «in modo intelligibile, chiaro, distinto e senza precipitazione».

Con la messa interamente in lingua nazionale, il mondo cattolico italiano si affianca ora a quello di moltissimi altri Paesi del mondo in cui da tempo è in atto questa riforma. Ragione principale dell’italiano nella messa, sostengono le autorità ecclesiastiche, è la necessità che tutti i fedeli intendano meglio il mistero eucaristico.

Per di più, affermano i liturgisti, non si tratta di una innovazione, ma piuttosto di una restaurazione: un ritorno a «come fu da principio».

«Dopo 1500 anni da che queste preghiere venivano pronunciate in latino — ha detto il segretario della Congregazione dei riti, arcivescovo Antonelli — e dopo un millennio e più che era avvolta nel silenzio, la parte centrale della messa torna ad essere compresa direttamente dai fedeli».

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