Si dimette il Vescovo argentino Cuenca Revuelta, complice di abusi. Caso Grassi e caso Zanchetta. Il codice del silenzio del Cardinale Bergoglio. Le presunte bugie e le protezioni di Papa Francesco

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Il tema degli abusi e delle violenze perpetrate dal clero della Chiesa Cattolica Romana, su bambini, minori e adulti vulnerabili si trova quasi ogni giorno sulle pagine dei quotidiani.
Il 19 marzo 2021 abbiamo affrontato gli abusi confermati dall’inchiesta indipendente sul clero dell’Arcidiocesi di Colonia. Abusi sui minori, per i quali il Cardinale Woelki ha espresso vergogna [QUI]. Nei prossimi giorni Papa Francesco dovrà pronunciarsi sulle rinunce dei vescovi coinvolti nell’inchiesta di Colonia, una delle diocesi più importanti della Germania.

Poi, il 20 marzo 2021 è arrivata la notizia dall’Argentina, comunicata dal Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede N. 170: “Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Alto Valle del Río Negro (Argentina), presentata da Sua Eccellenza Reverendissima Mons. Marcelo Alejandro Cuenca Revuelta”.

Nel 2020, a causa del levarsi delle proteste all’interno della Diocesi di Alto Valle del Rio Negro, in Argentina, il Vaticano aveva deciso una visita apostolica per verificare i fatti. L’esito di quella ispezione è arrivato il 20 marzo 2021 [QUI].

Mons. Cuenca è il protettore del parroco Luis Alberto Bergliaffa, condannato per abusi sessuali contro una ragazza minore.

Mons. Cuenca ha difeso pubblicamente il salesiano Julio César Grassi, sostenendo che era innocente, un giorno dopo che una sentenza della Corte suprema di Buenos Aires ha ratificato la sua condanna per abuso sessuale aggravato e corruzione di minori.

Mons. Cuenca ha rifiutato di dare la benedizione alla famiglia di Lucas Muñoz, l’ufficiale di 29 anni assassinato a Bariloche a metà del 2016, la cui morte ha portato alla decapitazione del vertice della polizia locale a causa del forte sospetto della sua partecipazione al fatto [QUI]. La denuncia della morte violenta di Muñoz ha portato alla luce un patto di silenzio e una catena di insabbiamenti, conferma il giudice Marcelo Barrutia [QUI].

Luis Alberto Bergliaffa.

A seguito della denuncia presentata dall’avvocato Carlos Lombardi, Mons. Cuenca era stato criticato per aver accolto e protetto nella Diocesi di Alto Valle del Río Negro Luis Alberto Bergliaffa. All’inizio del 2014, l’Arcidiocesi di Córdoba, guidata da Mons. Carlos José Ñáñez, ha annunciato che la Santa Sede aveva proibito a Bergliaffa l’esercizio pubblico del sacerdozio per 10 anni. Cuenca ha ricevuto anche dure critiche – riferisce la stampa argentina – quando ha nascosto i dettagli del trasferimento del parroco Bergliaffa che, dopo un’indagine di un tribunale ecclesiastico, era stato ritenuto responsabile di abusi su una ragazza a Córdoba e in seguito è stato condannato a otto anni di carcere per abusi sessuali contro un minore [QUI].

L’avvocato della Rete dei sopravvissuti agli abusi ecclesiastici in Argentina, Carlos Lombardi, ha denunciato che Bergliaffa ha vissuto sotto la protezione del Vescovo Marcelo Cuenca [QUI]. Carlos Lombardi “La Chiesa in qualsiasi parte del mondo, di fronte alla notizia di abusi, la prima cosa che fa è proteggere l’aggressore”. Per Lombardi le norme legali che la Chiesa Cattolica Romana applica ai casi di abuso sessuale sono la spina dorsale dove è sancito l’intero sistema di occultamento del clero violento. Lombardi sottolinea che esiste un modello di condotta istituzionale che è stato schematizzato dal ricercatore spagnolo Pepe Rodriguez in 10 punti, una sorta di decalogo. Questa procedura inizia, dopo aver verificato i fatti, con azioni dissuasive con l’aggressore e la vittima e si conclude con la protezione dell’aggressore sessuale e il tentativo di negoziare con la vittima [QUI].

“Un prete condannato deve essere proibito ad esercitare il sacerdozio”. Alla domanda del giornalista Nelson Castro di TN, in riferimento ai casi dei sacerdoti argentini Julio Cesar Grassi e Justo Ilarraz, entrambi condannati, Monsignor Charles Scicluna ha detto che sacerdoti che sono stati già condannati non dovrebbero continuare ad esercitare il sacerdozio. Monsignor Scicluna, uomo chiave nelle indagini sui preti abusivi in Cile, è stato energico e ha affermato che oltre a questo non può rispondere su casi particolari e può dare solo la visione della Chiesa Cattolica Romana in questi casi. “Quando i sacerdoti giudicati colpevoli dalla giustizia sono liberi, il vescovo dovrebbe bandirlo dal sacerdozio, non perché si tratti di una punizione, ma perché la preoccupazione principale dovrebbe essere quella di proteggere il suo gregge”, ha detto Scicluna. Ha ammesso anche, che molte volte le cause canoniche possono essere ritardate, ma sono fondamentali per chiarire cosa è successo. “Dobbiamo anche difendere il giusto processo, il diritto canonico ha i suoi criteri e ha i suoi valori da proteggere, in particolare la protezione dell’innocenza del bambino”, ha affermato Scicluna.

Il sacerdote Justo José Ilarraz il 18 aprile 2018 entra nel Tribunale del Paraná dove sarà processato per il reato di abuso e corruzione di 7 minori tra i 10 ei 14 anni.

Il sacerdote Justo José Ilarraz è stato condannato nel maggio 2018 a 25 anni di carcere per abusi sessuali e corruzione su minori. La condanna riguardava le sue aggressioni sessuali a sette ragazzi tra il 1985 e il 1993 presso il seminario minore Nostra Signora dell’Oracolo di Paraná, che dirigeva. Ilarraz non fu mandato immediatamente in prigione. È stato detenuto agli arresti domiciliari in attesa dell’esito del suo appello. Ultima annotazione di Bishop-accountability.org, che riporta che Illarraz è sospettato di “presunto stupro e abuso sessuale di almeno 50 ragazzi, di età compresa tra 12 e 14 anni, dal 1984 al 1992”: «A partire dal maggio 2019, ventidue anni dopo aver confessato alla Santa Sede di avere “rapporti amorosi e violenti con seminaristi minori”, rimane sacerdote».

Julio César Grassi.

Il salesiano Julio César Grassi (Lomas de Zamora, 14 agosto 1956), fondatore della Fondazione Felices los Niños, che gestisce case per bambini adottivi e mense per i poveri, è stato condannato dalla giustizia argentina il 10 giugno 2009 a 15 anni di carcere, per abusi sessuali aggravati su minori e corruzione di minori.

Era noto per essere un prete dei media che appariva spesso in programmi televisivi per raccogliere fondi per la Fondazione. Il primo caso per abuso sessuale è stato presentato nel 1991 presso il Tribunale per i minorenni di Mercedes, ma solo dopo 22 anni, dopo molti andirivieni con Grassi libero, l’accusa ha disposto la sua reclusione. Minacce, intimidazioni, percosse e attacchi fisici e verbali sia contro i querelanti che contro i testimoni erano una costante in questo caso. Quattro anni dopo la sua condanna, quando finalmente è stato carcerato, la Diocesi di Morón ha dichiarato che stava per iniziare un processo canonico. sebbene sembra che nulla di tutto ciò sia accaduto finora.

Inoltre, Grassi è stato condannato ad altri due anni di reclusione per il delitto di appropriazione indebita di fondi della Fondazione e per deviazione di donazioni a proprio vantaggio. Nel luglio 2014 il Direttore delle case della Fondazione Felices los Niños, Juan Manuel Casolati, lo ha denunciato alla Procura di Morón, per il furto del cibo dei bambini e le donazioni della Fondazione, che gli venivano inviate settimanalmente. Invece di andare alla Fondazione Grassi si permetteva una vita di “lusso”, mentre i bambini ne avevano un disperato bisogno.

Grassi fu messo agli arresti domiciliari il 7 marzo 2012 e ha riacquistato la sua libertà il 31 maggio successivo. Infine, la giustizia argentina ha ordinato la sua detenzione definitiva in settembre 2013. Da allora, sta scontando la pena nel padiglione 6 dell’Unità Penitenziaria N. 41 a Campana, in provincia di Buenos Aires. Un tribunale penale ha stabilito che il profilo DNA di Grassi fosse incorporato nel Registro nazionale dei dati genetici legato ai reati di natura sessuale. Il registro, che dipende dal Ministero della Giustizia Nazionale, è stato creato nel luglio 2013 e incorpora tutti i dati personali di persone condannate per reati sessuali.

Il 21 marzo 2017 la Corte Suprema della Repubblica Argentina, all’unanimità, ha respinto i ricorsi presentati dalla difesa e ha confermato la sentenza che aveva condannato Grassi a 15 anni di reclusione “per abusi sessuali aggravati dall’essere sacerdote, incaricato dell’educazione e della cura del vittima minore, ha ribadito, due fatti, in reale concorrenza tra loro, che a loro volta concorrono formalmente alla corruzione aggravata dei minori”.

Papa Francesco è stato accusato in un documentario francese del 2017 di aver ignorato e coperto gli abusi sacerdotali mentre era Arcivescovo metropolita di Buenos Aires. Il docufilm sostiene questa e altre tesi, come il fatto che Papa Francesco abbia provato (senza successo) a difendere il prete pedofilo Grassi, che è stato poi condannato con la sentenza emessa nel 2009 in primo grado, confermata in secondo grado dalla Cassazione, e poi anche in terzo grado dalla Corte Suprema nel 2017. Un segmento di questo documentario – Abusi sessuali nella Chiesa: il codice del silenzio – indaga sull’affermazione di Bergoglio, che gli abusi sessuali non sono mai avvenuti nella sua arcidiocesi.

Docufilm “Abusi sessuali nella Chiesa: il codice del silenzio“.

Il giornalista investigativo Martin Boudot si è recato a Buenos Aires per scoprire se il Papa diceva la verità. Contraddicendo l’affermazione del Papa, un gruppo di vittime ha affermato di aver subito abusi sessuali mentre il Cardinale Bergoglio, ora Papa Francesco, era Arcivescovo metropolita di Buenos Aires e hanno detto a Boudot che le loro grida di giustizia erano state ignorate. “Riguardo ai preti pedofili, nel suo libro Papa Francesco dice che non ci sono stati casi nella sua diocesi”, ha detto Boudot, suscitando risate derisorie dal gruppo. “Vuole che la gente lo creda, ma è una bugia”, ha detto una delle vittime. Hanno detto che tutti hanno cercato di contattare l’Arcivescovo dopo aver subito abusi, ma le loro grida sono cadute nel vuoto. “Ha ricevuto tutte le celebrità, come Leonardo DiCaprio”, ha detto una delle donne. “E per noi, nemmeno una breve lettera per dire che era dispiaciuto”.

Ancora peggio, Bergoglio ha cercato di influenzare il sistema giudiziario argentino nel tentativo di proteggere Julio Grassi.

Docufilm “Abusi sessuali nella Chiesa: il codice del silenzio“.

Il documentario diretto da Martin Boudot nel 2017 ha vinto il “Prix Europa” come miglior documentario e non è mai uscito in Italia. Il lavoro di Boudot si concentra sui molti preti accusati di abusi su minori coperti da una cappa di compiacenza e silenzio all’interno delle diocesi: invece che essere sospesi o radiati, spesso i vescovi decidevano di trasferirli, per evitar loro di poter essere incriminati. La seconda parte del docufilm è tutta concentrata sulla figura del Cardinale Jorge Maria Bergoglio.

Boudot parte da una frase contenuta nel libro Il cielo e la terra, scritto a quattro mani dal futuro Papa con il Rabbino Abraham Skorka. Nel volume Bergoglio afferma che nella sua diocesi non c’erano preti pedofili (citazione che si trova a pagina 50 della versione inglese). “Quando succede, non puoi far finta di niente. Non puoi essere in una posizione di potere e distruggere la vita a un’altra persona. Nella mia diocesi non è mai successo”. E a un vescovo che si era trovato a dover gestire un prete pedofilo, Bergoglio avrebbe consigliato di “non permettergli di esercitare il ministero”.

Peccato che, una volta diventato Papa, secondo il documentario, Bergoglio avrebbe ignorato proprio quel suo consiglio. Come nel caso di Don Mauro Inzoli, potente monsignore di Comunione e Liberazione, condannato per abusi, rimosso da Papa Benedetto XVI e che dopo aver fatto ricorso ha ottenuto il reintegro sotto Papa Francesco.

Ma Bergoglio, mentre stava scrivendo il libro, aveva proprio nella sua Arcidiocesi di Buenos Aires un caso di pedofilia: quello di Julio César Grassi, che abusava regolarmente dei bambini dell’orfanotrofio della Fondazione Felices los Niños, che dirigeva. Almeno sei delle vittime di Grassi, che ora sta scontando una pena di 15 anni, si sarebbero rivolte al futuro Papa Francesco, che non avrebbe mai risposto alle loro richieste d’aiuto.

Ma nel documentario c’è un’accusa ancora più pesante: qualcuno infatti sostiene che Bergoglio abbia provato a deviare il corso della giustizia. “La Chiesa argentina ha fatto tutto quello che era in suo potere per scagionarlo”. Secondo Juan Pablo Gallego, avvocato delle vittime, la Conferenza Episcopale Argentina nel 2010 ha commissionato uno studio a un professore di diritto penale. L’inchiesta – un dossier in 4 volumi e 2.000 pagine – concludeva che Grassi era innocente, che le sue vittime mentirono e che il caso non avrebbe dovuto andare a processo.

Come Arcivescovo metropolita di Buenos Aires, il Cardinale Bergoglio non aveva alcuna responsabilità diretta per Grassi, perché era sotto giurisdizione del Vescovo di Morón. Ma il Cardinale Bergoglio era Presidente della Conferenza Episcopale Argentina, che aveva commissionato lo studio, e ha spedito il dossier ai giudici subito prima degli interrogatori di Grassi. Carlos Mahiques, oggi giudice della Corte Suprema, che ha trovato il dossier sulla sua scrivania: “Hanno provato a esercitare una sottile forma di pressione sui giudici”.

Nel 2006, il futuro Papa è stato citato dalla rivista argentina Veintitres nell’affermare che le accuse contro Grassi erano “cattiveria contro di lui, una condanna da parte dei media”. Nonostante la sentenza del tribunale civile, non si ha notizia che Grassi sia stato dimesso dallo stato clericale.

Un’altra delle vittime che parla con Boudot lascia intendere che Grassi aveva la protezione dell’Arcivescovo metropolita di Buenos Aires: “Una volta mi disse che Bergoglio non gli lasciava mai la mano. Una volta diventato Papa non ha mai commentato pubblicamente il caso”.

Lo staff di Boudot ha provato per 8 mesi a ottenere un’intervista con il Pontefice. Senza risultato. Poi, si sono presentati anche in piazza San Pietro durante un’Udienza generale. Nel filmato si vede il Pontefice regnante che risponde a una domanda precisa sul caso Grassi e nega di aver mai commissionato una contro-inchiesta sul caso. Élise Lucet, giornalista d’inchiesta per Cash Investigation domanda: “Santità, durante il caso Grassi lei ha cercato di influenzare la giustizia argentina?”. Il Pontefice si è fermato, e si è fatto ripetere la domanda. Poi ha risposto: “No”. La giornalista incalza: “Allora perché ha commissionato una contro-inchiesta?”. Al che Papa Francesco, con un gesto eloquente della mano, ha replicato: “Non l’ho mai fatto”, e si è allontanato. Questo è tutto. Il Papa, né la Santa Sede hanno mai commentato sul caso Grassi.

Mentre il summit di Papa Francesco sugli abusi sessuali in febbraio 2019 era in corso nella Città del Vaticano, in Argentina continuavano a svilupparsi due casi di cattiva condotta sessuale da parte di sacerdoti a lui vicini: il caso del salesiano Julio César Grassi (di cui abbiamo riferito già) e il caso del Vescovo Gustavo Óscar Zanchetta.

Papa Francesco riceve in Udienza privata Mons. Gustavo Óscar Zanchetta.

In agosto 2017, Papa Francesco accettò le dimissioni del Vescovo di Orán, Mons. Gustavo Óscar Zanchetta (Rosario, 28 febbraio 1964) – suo stretto amico nominato e protetto da lui – dopo che i sacerdoti nella remota diocesi argentina settentrionale di Orán si erano ribellati sotto il suo dominio autoritario e avevano inviato rapporti alla Nunziatura Apostolica nel maggio o giugno del 2017, accusandolo di abuso di potere e abusi sessuali con seminaristi adulti, ha detto l’ex vicario. Documenti interni della Chiesa sollevavano interrogativi su quando la Santa Sede era a conoscenza di accuse contro l’ex ordinario della diocesi di Orán. Il 19 dicembre 2017 Papa Francesco nomina Zanchetta Assessore dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (un ruolo del tutto inedito nel Dicastero), due anni dopo che erano stata segnalata una sua cattiva condotta sessuale. I documenti dimostrano che le autorità dell’istituzione, incluso Papa Francesco, conoscevano le accuse di abusi sessuali e di cattiva gestione economica che pesavano contro l’ormai ex-Vescovo di Orán Zanchetta, prima di assegnargli una posizione elevata in Vaticano e trasferirlo a Roma. La Santa Sede ha ricevuto informazioni nel 2015 e nel 2017 secondo le quali Zanchetta si era fatto dei selfie nudo mentre si tocca., aveva mostrato un comportamento osceno ed era stato accusato di cattiva condotta con i seminaristi. Questo ha detto alla Associated Press Juan Jose Manzano, suo ex vicario generale, smontando le affermazioni della Santa Sede, secondo cui le accuse di abusi sessuali sono state fatte solo dopo. I pubblici ministeri argentini avevano aperto un’indagine penale per presunti abusi sessuali contro Zanchetta, secondo l’ufficio del procuratore generale della provincia di Salta.

Zanchetta è accusato di aver inviato foto intime dal suo telefono, molestando i seminaristi entrando nelle loro stanze a tutte le ore della notte, e anche di cattiva gestione finanziaria, non ha registrato la vendita di un’importante proprietà e gestito fondi discrezionalmente, secondo la denuncia formale in campo ecclesiastico fatta da cinque rinomati sacerdoti di Orán, presentazione alla quale ha avuto accesso El Tribuno [QUI].

Zanchetta si recò a Roma, dove secondo quanto riferito, riuscì a convincere il Pontefice che le foto erano falsi. Zanchetta è stato sospeso temporaneamente dal suo incarico presso l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica in attesa di un’indagine della Chiesa e per una causa criminale in Argentina per abuso sessuale a seguito di una denuncia giudiziaria, dopo che le notizie sulle fotografie trovate nel suo telefono sono state rese pubbliche. Le prime accuse interne contro Zanchetta erano state fatte nel 2015, dopo che il suo segretario ha trovato le immagini sul telefono di Zanchetta. Un anno dopo, tre suoi vicari generali e due monsignori presentarono una denuncia formale al rappresentante papale nel Paese, il Nunzio Apostolico Arcivescovo Paul Emile Tscherrig, a causa del “comportamento scorretto con i seminaristi” di Zanchetta. Secondo questi rapporti, Zanchetta “guardava i seminaristi nelle loro stanze di notte con una torcia elettrica, chiedeva massaggi, entrava nelle loro stanze e si sedeva su loro letti, li incoraggiava a bere bevande alcoliche e aveva certe preferenze per coloro che erano più aggraziati [a guardare]”. Secondo un rapporto, le immagini compromettenti sono state fornite su una pen drive al Cardinale Mario Poli, Arcivescovo metropolita di Buenos Aires, mentre un secondo rapporto, dal 2016, è stato consegnato al Nunzio Apostolico. Tuttavia, secondo entrambi, la Santa Sede ha avuto le foto nel 2015 e le ha mostrate a Zanchetta.

Il secondo documento afferma, inoltre, che Zanchetta non ha denunciato la vendita di due proprietà del valore di un milione di dollari perché “secondo il vescovo, Sua Santità ha personalmente suggerito di non divulgare le informazioni per impedire che la diocesi venisse considerata meno bisognosa”. Zanchetta fu chiamato a Roma dal Papa per lavorare nell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, che tra le altre cose amministra le proprietà immobiliari vaticane.

Al suo ritorno da Roma nel 2015, Zanchetta avrebbe riferito al suo segretario, il laico che ha trovato le foto, che erano un “fotomontaggio”, ma il laico non l’ha creduto. Zanchetta ha affermato che era un bene che le immagini fossero giunte a Roma perché aveva “spalle su cui appoggiarsi” per il sostegno, presumibilmente intendendo Papa Francesco. I due si conoscono da molto tempo e il Cardinale Jorge Mario Bergoglio è stato il direttore spirituale di Zanchetta.

Nel febbraio 2019 il Vescovo di Orán, Mons. Luis Antonio Scozzina, ha comunicato che la Congregazione per i Vescovi aveva affidato all’Arcivescovo metropolita di Tucumán, Mons. Carlos Alberto Sánchez, il compito di portare avanti l’investigazione preliminare sulle denunce contro Mons. Gustavo Óscar Zanchetta, Vescovo emerito di Orán e dal 19 dicembre 2017 Assessore dell’APSA. Mons. Scozzina, come ha riportato l’agenzia Aica, ha spiegato che il tempo e le modalità dell’indagine saranno indicati tempestivamente.

Mons. Gustavo Óscar Zanchetta “è sotto inchiesta per presunti abusi sessuali e di potere”, ha confermato ai giornalisti accreditati Alessandro Gisotti, allora Direttore ad interim della Sala Stampa della Santa Sede. Inoltre, Gisotti ha specificato che il processo è relativo a denunce presentate alla fine del 2018 da diversi seminaristi della Diocesi di Orán. Mons. Zanchetta si era dimesso dal governo pastorale della diocesi di Orán nel luglio 2017, facendo riferimento a un “problema di salute” che non gli permetteva di “svolgere pienamente il ministero pastorale”. Successivamente fu nominato dal Papa Assessore dell’APSA “in considerazione della sua capacità di gestione amministrativa”, ma essendo questa “una posizione che non implica responsabilità di governo”, aveva chiarito Gisotti nelle settimane precedenti e che durante l’investigazione previa Zanchetta si sarebbe astenuto dal lavoro in Vaticano.

Lo strano caso del presunto abusatore Zanchetta, riapparso. E il processo promesso dal Papa a carico del suo amico? – 11 giugno 2020:

«Nell’intervista per Televisa del 28 maggio 2019 Papa Francesco ha dichiarato: “Di fatto, come vescovo, devo giudicarlo io, ma in questo caso ho detto no. Facciano un processo, emettano una sentenza e io la promulgo”. Quello che dice (ma non è un mistero) è che in altri casi li caccia direttamente lui senza processo, perché magari quelli che vorrebbe cacciare, in un processo potrebbero avere la ragione da parte dei giudici e quindi dovrebbe cacciare anche i giudici.

Certo, è stato un colpo da maestro, anzi geniale, nominare Assessore (pure a posizione creata ad hoc) all’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, Sua Eccellenza Reverendissima Gustavo Óscar Zanchetta, suo amico e protetto, nonché presunto responsabile di truffa e malversazione, in odore di una gestione economica delle cose non del tutto chiara, economicamente disordinato, accusato di una cattiva gestione finanziaria (ma con una buona visione, capacità di diagnosi, di gestione e di consulenza… complimenti), con un modo di trattare dispotico e autoritario, accusato di abusi di potere. Veramente un curriculum di tutto rispetto. Senz’altro, Zanchetta era l’uomo giusto al posto giusto.

Invece, per quanto riguarda l’accusa formulata da tre seminaristi di violenze sessuali, si è fatto il processo che l’uomo che veste di bianco ha promesso pubblicamente il 28 maggio 2019 (processo che stava per concludersi, allora, un anno fa…)? Se sì, è stata emessa una sentenza? Se no, perché no? Se sì, la sentenza è stata promulgata dall’Uomo che Veste di Bianco, come aveva promesso? Se si, perché la promulgazione non è stata comunicata?

Valentina Alazraki aveva ragione da vendere, a chiedergli, il 28 maggio 2019: “Penso che sia stato importante raccontare tutto ciò, non crede?”. Ovviamente, anche l’uomo che veste di bianco aveva ragione, che non può “farlo ogni momento”. Ma per questo ha un Dicastero per la Comunicazione, con un Prefetto e una sfilza di Uffici e di Direttori, con abbastanza personale per “farlo ogni momento”.

Quindi, se non è stata data comunicazione della promulgazione della sentenza, si può presumere che la sentenza non c’è stata. Intanto, Zanchetta è tornato dall’Argentina e si è rimesso dietro la sua scrivania da Assessore all’APSA (da cui in gennaio 2019 era stato sospeso). Non sarebbe ora di chiarire questo strano caso di un non-arresto?

Con l’occasione, sarebbe anche opportuno comunicare quali sono esattamente le funzioni di Zanchetta, visto che il ruolo di Assessore all’APSA è del tutto inedito e che mai sono state specificate le sue competenze all’interno di questo Dicastero chiave della Santa Sede».

Sua Eccellenza Reverendissima Mons. Gustavo Óscar Zanchetta, Vescovo emerito di Orán, abita alla Domus Sanctae Marthae. Tutte le mattine si reca a piedi al Palazzo Apostolico e sempre a piedi fa rientro alla Domus per l’ora del pranzo. Zanchetta cammina a testa alta sotto la luce del sole, come per altro abbiamo già scritto in passato, il 21 novembre 2020: «Il “Mastro Titta dei giorni nostri” – non si serve più d’er boia, opera in proprio – esegue processi sommari, dove la presunzione d’innocenza esiste solo per tipi come il suo amico Gustavo Zanchetta, già condannato in Argentina, ma libero in Vaticano di mostrare il suo bel faccione sorridente ogni giorno dalla Domus Sanctae Marthae fino al Palazzo Apostolico andata e ritorno, come nulla fosse, esponendo alla luce del sole una croce pettorale da vescovo che tutti i dipendenti dello Stato della Città del Vaticano possono ammirare, come la sua faccia di bronzo (per rimanere signorili) sorridente» [QUI].

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