Il prof. Mocciaro presenta san Francesco riformatore

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“Nell’anno 1768, dai torchi della stamperia Van der Plassche di Anversa, vedeva la luce il quarantanovesimo volume degli Acta Sanctorum – la nota collezione di fonti agiografiche inaugurata nel 1643 dal gesuita Jean Bolland e impostata sulla base del calendario liturgico  – all’interno del quale veniva pubblicato il dossier agiografico di Francesco d’Assisi, opera del bollandista Constatine Suyskens. Con ben 459 pagine in folio il lavoro di Suyskens occupa da solo quasi la metà dell’intero tomo, il secondo relativo al mese di ottobre, e costituisce una delle trattazioni più lunghe dell’intera collezione”.

Così inizia il saggio ‘Francesco d’Assisi nel Settecento riformatore. L’indagine storico-critica dei gesuiti Bollandisti negli Acta Sanctorum (1768)’ (Edizioni Antonianum), insignito del ‘Premio Sabatier’ dalla Società Internazionale di Studi Francescani, di Pietro Mocciaro, docente di lettere nella scuola secondaria e dottore di ricerca in ‘Storia del Cristianesimo e delle Chiese’, a cui abbiamo chiesto di spiegarci il motivo per cui ha scritto un libro su san Francesco nel XVIII secolo:

“Perché è proprio nella seconda metà del Settecento che la figura storica di san Francesco, così come la conosciamo oggi, inizia a essere nuovamente messa in luce, dopo secoli in cui la sua immagine era stata caricata di tradizioni e leggende che avevano dato vita a un Francesco ‘barocco’– estatico, ascetico, meditabondo, col teschio in mano –  così splendidamente ritratto nelle tele di Caravaggio e Guido Reni.

E questa ‘riscoperta’ di Francesco avvenne grazie a un piccolo gruppo di studiosi gesuiti chiamati ‘bollandisti’, i quali per la prima volta si misero a indagare la vita dell’Assisiate secondo un approccio di tipo storico e filologico, riscoprendo e dando alle stampe alcune tra le più antiche fonti storiche francescane – la ‘Vita beati Francisci’ di Tommaso da Celano, la ‘Legenda dei Tre Compagni’e il cosiddetto ‘Anonimo Perugino’ – di cui da secoli si erano perse le tracce e che ancora oggi risultano indispensabili per chiunque voglia accostarsi alla figura di Francesco”.

Chi sono i bollandisti?

“Con il termine ‘bollandisti’ (dal nome del loro fondatore Jean Bolland) indichiamo quel piccolo gruppo di eruditi belgi appartenenti alla Compagnia di Gesù, i quali fin dal Seicento si assunsero l’incarico di rintracciare, vagliare e pubblicare, seguendo l’ordine del calendario liturgico, le fonti storiche relative ai santi cattolici, in risposta alle feroci critiche dei protestanti sul culto dei santi.

Un’impresa monumentale protrattasi per quasi tre secoli e che produsse una straordinaria collezione di 67 volumi in folio di Acta Sanctorum. La storia dei bollandisti è di per sé una storia affascinante all’interno della più ampia vicenda della Compagnia di Gesù e della storia culturale europea.

Sopravvissuti ad eventi drammatici quali la soppressione della Compagnia del 1773 e l’invasione del Belgio da parte dei rivoluzionari francesi, ancora oggi sono attivi grazie alla  ‘Société des Bollandistes con sede a Bruxelles che costituisce un punto di riferimento internazionale per la ricerca storico-agiografica”.

Quale immagine del santo assisiate emerge?

“L’immagine odierna e universale di Francesco d’Assisi – un personaggio dal volto totalmente umano, povero e umile, appassionato, dedito alla pace e all’amore per la natura – è in realtà un’eredità novecentesca (a partire dalla ‘Vie de S. François’ pubblicata nel 1893 dal pastore protestante Paul Sabatier), assai diversa dalle raffigurazioni che circolarono nei secoli precedenti: dal Francesco profetico e apocalittico, a quello taumaturgo ed estatico.

Il Settecento è stato poi il secolo che secondo p. Agostino Gemelli ‘meno ha capito e amato san Francesco’, nel quale il santo di Assisi se per un verso non godeva di particolare popolarità in ambito cattolico, dall’altro era divenuto oggetto di dileggio da parte degli illuministi francesi che lo avevano tacciato, assieme a tutto ciò che odorava di medioevo, di ignoranza e superstizione.

Il ‘Francesco’ dei bollandisti (che erano gesuiti e non francescani, ricordiamolo) segna in questo senso uno spartiacque, riconsegnando al mondo cattolico un santo universale e ‘normalizzato’, ‘pauper et humilis’, sfrondato di tutto quell’apparato di leggende e prodigi che si era accumulato nei secoli:

basti pensare che fino ad allora era diffusa la convinzione che san Francesco fosse nato in una mangiatoia e che il suo corpo si trovasse in piedi, incorrotto e splendente, con gli occhi aperti e le ferite stillanti sangue, in una cappella sotterranea al di sotto della basilica di Assisi.

Un Francesco ‘gesuita’ insomma che spianerà a la strada alla definitiva acquisizione della sua figura in primo luogo da parte della cultura romantica dell’Ottocento e successivamente da parte della cultura del Novecento”.  

Come san Francesco è punto di contatto nei secoli tra francescani e gesuiti?

“Dalla metà del Cinquecento in poi, vale a dire dalla fondazione della Compagni di Gesù, le relazioni tra gesuiti e francescani (da intendersi nei loro diversi rami: osservanti, conventuali e cappuccini) furono frequenti e non sempre facili, a Roma come nel resto d’Europa e nelle terre di missione.

Non dimentichiamo poi che fu proprio l’ultimo papa francescano, il conventuale Clemente XIV, ad aver preso la drastica decisione nel 1773 di sopprimere la Compagnia di Gesù (rifondata poi nel 1814), sui cui reali motivi gli storici ancora discutono. D’altra parte – e questo non deve stupire – la storia degli ordini religiosi è costellata di incomprensioni, rivalità e tensioni tra le diverse famiglie religiose.

In questo quadro però la figura di san Francesco appare di per sé un ponte che unisce gesuiti e francescani. Nella sua autobiografia s. Ignazio racconta di aver letto, dopo il suo ferimento a Pamplona, la storia di s. Francesco (come quella di altri santi) e di aver sentito il desiderio di imitarlo.

Ci sono poi dei singolari punti di contatto tra le due figure: l’ideale cavalleresco, il gusto per la vita mondana e il vestire raffinato, la convalescenza come tappa importante della conversione, l’ideale missionario, la fedeltà al papa. Successivamente la figura di s. Francesco fu poi difesa a più riprese anche da autori gesuiti nella polemica con i protestanti avversi al presunto culto idolatrico dei santi.

Infine, nel Settecento, saranno proprio i gesuiti bollandisti a intavolare con gli eruditi francescani una proficua collaborazione a distanza, tramite un fitto scambio epistolare,  nell’intento di restituire alla cattolicità il vero volto del santo di Assisi, difendendolo dalle accuse provenienti questa volta da una certa parte della cultura dei Lumi”.  

Allora non è casuale la scelta da parte del card. Bergoglio del nome del santo assisiate?

“Casuale certamente no, ma un certo grado di estemporaneità forse sì. E per capirlo basta leggere le parole dello stesso pontefice nell’incontro con i giornalisti dopo la sua elezione il 16 marzo 2013, quando raccontò di come il nome di Francesco gli fosse balenato in testa per un’immediata associazione mentale nel momento in cui, durante il conclave, quando era ormai evidente la sua elezione, il cardinale brasiliano Claudio Hummes, seduto accanto a lui, gli disse abbracciandolo di ricordarsi dei poveri.

A chi gli consigliava quindi (forse per battuta) di assumere il nome di Clemente XV, in segno di rivalsa nei confronti del papa che aveva soppresso la Compagnia, Bergoglio rispose di preferire il nome del santo di Assisi in quanto ‘uomo di povertà, uomo di pace, uomo che ama e custodisce il Creato’.

Tra tutte le caratteristiche dell’Assisiate è però la povertà quella che sembra essere stata decisiva per la scelta di Bergoglio e quella che ha segnato fin dall’inizio la sua linea programmatica di una ‘una Chiesa povera per i poveri’. Un Francesco ‘pauper et humilis’ proprio come quello che i suoi confratelli gesuiti bollandisti avevano iniziato a mettere in luce due secoli e mezzo prima e senza i quali forse l’attuale pontefice avrebbe assunto un nome diverso. Chissà se lo sa papa Francesco…”.

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