Fra Vianelli: ‘Amoris Laetitia’ sguardo nuovo per la famiglia

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Durante l’angelus di domenica 27 dicembre papa Francesco ha annunciato un anno di riflessione sull’esortazione apostolica ‘Amoris Laetitia’, che inizierà venerdì 19 marzo fino a giugno 2022, a 5 anni dalla sua pubblicazione:

“E’ bello riflettere sul fatto che il Figlio di Dio ha voluto aver bisogno, come tutti i bambini, del calore di una famiglia. Proprio per questo, perché è la famiglia di Gesù, quella di Nazaret è la famiglia-modello, in cui tutte le famiglie del mondo possono trovare il loro sicuro punto di riferimento e una sicura ispirazione”.

Appena iniziato questo anno dedicato all’enciclica abbiamo intervistato fra Marco Vianelli, direttore dell’Ufficio Nazionale per la pastorale della famiglia della CEI, grazie alla sollecitazione del giurista, dott. Francesco Pietro Trombetta, cavaliere della Repubblica Italiana e tutor del gruppo  ‘Il buon Pastore’ dell’arcidiocesi di Palermo, chiedendogli di spiegare il motivo per cui il papa ha annunciato un anno per riflettere sull’esortazione apostolica ‘Amoris Laetitia’:

“Non ho avuto la grazia d’incontrare personalmente il santo padre, non so quindi dare una risposta sulle ragioni profonde che lo hanno mosso. Posso però provare a ricostruire alcune ragioni partendo da quello che ci ha insegnato in questi anni. La prima cosa è legata al fatto che il magistero di questo pontificato spinga molto la chiesa ad avviare processi.

Riconosce un reale ruolo ai Christifideles, capaci di riconoscere i segni dei tempi, soprattutto se il percorso lo fanno assieme in maniera sinodale e non estemporanea o carismatica (senza nulla togliere a queste espressioni della grazia).

Ma i processi vanno anche guidati, non solo avviati. Allora dopo cinque anni, penso sia giusto da parte del santo padre cercare di capire come la Chiesa ha recepito questo cammino sinodale. Non solo nei contenuti, ma soprattutto nel metodo.

Difatti le indicazioni che ci vengono dal Dicastero, sono principalmente chiavi di letture per misurare la temperatura del nostro essere chiesa-famiglia. Penso sia giusto chiedersi cosa è cambiato, e soprattutto cercare di capire cosa eventualmente abbia impedito il cambiamento”.

Come rendere la Chiesa ‘famiglia di famiglie’?

“C’è un passaggio al n. 67 dell’esortazione apostolica ‘Amoris Laetitia’, in cui il papa riconosce che per auto comprendersi la Chiesa ha bisogno di rispecchiarsi nella famiglia: ‘Nell’incarnazione, Egli assume l’amore umano, lo purifica, lo porta a pienezza, e dona agli sposi, con il suo Spirito, la capacità di viverlo, pervadendo tutta la loro vita di fede, speranza e carità.

In questo modo gli sposi sono come consacrati e, mediante una grazia propria, edificano il Corpo di Cristo e costituiscono una Chiesa domestica (cfr. Lumen gentium, 11), così che la Chiesa, per comprendere pienamente il suo mistero, guarda alla famiglia cristiana, che lo manifesta in modo genuino’.  L’essere ‘chiesa domestica’, a mio avviso, è molto più che essere una Chiesa ‘famiglia di famiglie’.

Il papa riconosce che la famiglia ha il compito di ‘rendere domestica la Chiesa’. Cosa significa questo? Significa che il lessico famigliare, che è un lessico profondamente relazionale, dovrebbe permeare e significare il lessico ecclesiale. La Chiesa, a cominciare dalla parrocchia dovrebbe riscoprire questo suo essere ‘para-oikia’ vicino/vicinato”.

In questi anni come è cambiata la pastorale familiare?

“Sicuramente dopo l’esortazione apostolica ‘Amoris Laetitia’, il tema famiglia non è poi così sconosciuto. Se con l’esortazione apostolica ‘Familiaris consortio’, abbiamo avuto la possibilità di mettere un fondamento teologico alla riflessione ecclesiale sul sacramento del matrimonio, con il documento generato dalla doppia consultazione sinodale, abbiamo la possibilità di meglio esplorare l’agire della chiesa nei confronti della famiglia e soprattutto coinvolgendola nella programmazione pastorale.

E’ vero che non bastano i documenti per cambiare l’agire della chiesa, lo vediamo anche in questo caso. Molte sono le aree indicate nel testo pontificio, alcune sono state sdoganate, penso ad esempio l’attenzione e la cura per le famiglie ferite.

Ad oggi non c’è diocesi che in un modo o nell’altro non abbia quantomeno cominciato a pensare che questo tipo di accoglienza appartenga alla pastorale ordinaria. Nuovi spazi sono aperti per quanto riguarda la pastorale degli anziani o delle persone con disabilità, non più viste come nicchie specifiche, ma come parte integranti dell’azione pastorale.

Una sfida aperta resta la soggettività in questa pastorale. Certamente le proposte rivolte alle famiglie vedono delle famiglie protagoniste, accanto ai pastori o ai religiosi, nel progettare percorsi ad hoc. Ma è ancora lontano il tempo in cui la famiglia scopra la missione che le è propria e si spenda in essa”.

Infine quale riscontro ha avuto il questionario inviato alle diocesi?

“Le risposte ricevute hanno evidenziato potenzialità e anche limiti, com’è naturale che fosse. Altrettanto naturalmente è stato sottolineato un impatto importante della pandemia sui processi avviati, sia in termini positivi che negativi.

Di seguito le evidenze principali che sono state ravvisate e sintetizzate per punti partendo da quelle positive: non sempre la pandemia viene letta in chiave negativa.

Ha sdoganato ad esempio l’uso di piattaforme digitali; si sono intensificate (a volte sono proprio nate ex novo) collaborazioni con la Caritas, soprattutto per sostenere le famiglie nella crisi economica; centrale resta l’azione nei confronti dei nubendi (iniziando anche sperimentazioni on line).

Non potevano mancare delle fatiche: non potevano mancare riferimenti alla pandemia, che ha rallentato in generale il lavoro un po’ dappertutto; si nota una certa stanchezza dopo l’entusiasmo iniziale.

Si notano anche difficoltà a pensare linee guida per il capitolo VIII e una fatica a realizzare una effettiva corresponsabilità̀ tra presbiteri e famiglie. Infine si nota una difficoltà importante a passare dall’universale al particolare, avendo questa chiarezza metodologica di interpretare i bisogni specifici del territorio”.

(Foto: Cei)

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