Papa Francesco invita il sacerdote ad imitare san Giuseppe

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Ricevendo in udienza la Comunità del Pontificio Collegio Belga in occasione dei 175 anni dalla sua fondazione papa Francesco ha presentato la figura paterna di san Giuseppe, in quanto l’Istituto belga, che tra i suoi studenti ha anche annoverato san Giovanni Paolo II, ha proprio il padre di Gesù come protettore, riprendendo la lettera apostolica ‘Patris Corde’:

“In primo luogo, San Giuseppe è un padre che accoglie. Egli infatti, vinta ogni ribellione e accantonati i pur legittimi progetti personali, ha amato e accolto Maria e Gesù, una sposa e un figlio ben differenti rispetto alla visione della vita famigliare che lui poteva desiderare, ma per questo da lui ancora più custoditi e amati. Giuseppe cioè non ha cercato spiegazioni alla sorprendente e misteriosa realtà che si è trovato di fronte, ma l’ha accolta con fede amandola così com’era”.

Per questo san Giuseppe è un maestro di vita spirituale e di discernimento per un sacerdote: “Pensiamo ad un prete che arriva in una nuova parrocchia. Quella comunità gli preesiste, ha una propria storia, fatta di gioie e di ferite, di ricchezze e di piccole miserie, che non può essere ignorata in nome di idee e piani pastorali personali che non si vede l’ora di applicare.

Questo è un rischio in cui possiamo cadere. Il nuovo parroco prima deve amare la comunità, gratis, solo perché è stato inviato a essa; e pian piano amandola la conoscerà in profondità e potrà contribuire ad avviarla su nuovi sentieri”.

Quindi san Giuseppe è un ‘padre che custodisce’, come ha affermato nell’omelia del 19 marzo 2013: “L’essere custode fa parte essenziale della sua vocazione e della sua missione…

Dunque, ha assolto questo compito con la libertà interiore del servo buono e fedele che desidera solo il bene delle persone che gli sono affidate. Custodire significa amare teneramente coloro che ci sono affidati, pensare prima di tutto al loro bene e alla loro felicità, con discrezione e con perseverante generosità.

Custodire è un atteggiamento interiore, che porta a non perdere mai di vista gli altri, valutando di volta in volta quando ritrarsi e quando farsi prossimi, ma sempre mantenendo un cuore vigilante, attento e orante”.

Questo è l’atteggiamento proprio del pastore: “che non abbandona mai il proprio gregge, ma si pone rispetto a esso in una posizione diversa in base alle necessità concrete del momento: davanti per aprire la strada, in mezzo per incoraggiare, indietro per raccogliere gli ultimi”.

Il papa quindi indica ai sacerdoti di imitare san Giuseppe, come ha sottolineato san Paolo: “A ciò è chiamato un prete nel rapporto con la comunità che gli è affidata, ad essere cioè un custode attento e pronto a cambiare, a seconda di ciò che la situazione richiede;

non essere ‘monolitico’, rigido e come ingessato in un modo di esercitare il ministero magari buono in sé, ma non in grado di cogliere i cambiamenti e i bisogni della comunità… Non pone al centro sé stesso e le proprie idee, ma il bene di coloro che è chiamato a custodire, evitando le opposte tentazioni del dominio e della noncuranza”.

Il  terzo punto sottolineato dal papa si sofferma sul sogno di un padre, che sa custodire la famiglia: “Non un ‘sognatore’ nel senso di uno con la testa nelle nuvole, sganciato dalla realtà, no, ma un uomo che sa guardare oltre ciò che vede:

con sguardo profetico, capace di riconoscere il disegno di Dio là dove altri non vedono nulla, e così avere chiara la meta verso cui tendere. San Giuseppe infatti ha saputo vedere in Maria e Gesù non solo una giovane sposa e un bambino: sempre vedeva in loro l’azione di Dio, la presenza di Dio.

Così, custodendo la fragilità del Bambino e di sua Madre, Giuseppe ha guardato al di là dei suoi doveri di padre di famiglia e, preferendo credere più a Dio che ai propri dubbi, si è offerto a Lui come strumento per la realizzazione di un piano più grande, in un servizio prestato nel nascondimento, generoso e instancabile, sino alla fine silenziosa della propria vita”.

Su questo punto il papa ha invitato i sacerdoti a ‘sognare la comunità’: “Per i preti, allo stesso modo, è necessario saper sognare la comunità che si ama, per non limitarsi a voler conservare ciò che esiste; essere pronti invece a partire dalla storia concreta delle persone per promuovere conversione e rinnovamento in senso missionario, e far crescere una comunità in cammino, fatta di discepoli guidati dallo Spirito e ‘spinti’ dall’amore di Dio”.

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