Diritto matrimoniale canonico. Quale “rivoluzione”?

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Chi si interessa di Chiesa e di diritto canonico non avrà mancato di notare, nei giorni scorsi, il susseguirsi di articoli annuncianti una presunta “rivoluzione” testé operata da Papa Francesco nel diritto matrimoniale.

Udienza al Tribunale della Rota Romana in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Giudiziario, 29 gennaio 2021.

Rivoluzione in Vaticano, papa Francesco prepara nuove riforme. E parte dal matrimonio titolava (con quella medesima grafica, compreso l’appellativo in minuscolo e la congiunzione ad inizio di frase) Secolo d’Italia lo scorso 28 febbraio, indicando quali “novità” Il processo breve sulla nullità del matrimonio. Le aperture alle unioni civili. Il nuovo ruolo dei vescovi (anche qui, grafica immutata). Bergoglio è considerato un rivoluzionario. E anche sul fronte del matrimonio ha voluto rompere con il passato (non commento più ma è scritto proprio così!).

La riforma “nascosta” del papa: così cambia la nullità del matrimonio scriveva, in pari data, Il Giornale, tornato ieri sullo stesso argomento con un articolo intitolato “Così tutela il sacro vincolo”. Ecco le regioni dietro la riforma del Papa (anche qui cito testualmente, cambio di vocale incluso).

La passione per i titoli tanto roboanti quanto fuorvianti, soprattutto quando si parla di materie che comportano conoscenze specifiche, è un vizio noto della stampa italiana ed è difficile capire come, la medesima riforma, possa insieme “tutelare il sacro vincolo” e “aprire alle unioni civili”. Ancora più difficile comprendere l’odierna notizia di una “rivoluzione” quando poi, come riportato nel contenuto degli articoli citati, ci si riferisce ad un testo legislativo emanato il 15 agosto del 2015, ovvero la Lettera Apostolica in forma di Motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus.

La risposta non sta nel fatto – assolutamente inventato, come alcuni suoi contenuti – che gli effetti arrivano adesso: in verità la Mitis Iudex è stata immediatamente operativa e il fatto che oggi se ne parli diffusamente deriva dall’accenno a tale normativa su cui il Santo Padre ha quest’anno imperniato la prolusione di apertura dell’anno giudiziario. Non a caso nella medesima prolusione Papa Francesco ha dato l’annuncio del prossimo ritiro dell’ottantenne Decano del Tribunale Apostolico della Romana Rota al cui operato certo si deve la stesura di gran parte del Motu proprio.

Dell’annuale evento ha dato notizia il quotidiano La Stampa (Il Papa: ‘Procedure gratuite per la nullità matrimoniale. I figli vittime innocenti di divorzi e rotture”, 29 gennaio 2020) e le altre testate hanno, con assai minore precisione, “rimbalzato” l’articolo. Ne scrivo brevemente sia per dissipare la confusione, sia perché proprio in merito al testo citato ebbi, poco dopo la pubblicazione, un confronto con Sua Eccellenza Mons. Pio Vito Pinto che ne fu il coestensore dirigente.

Vediamo quali sono i punti fondamentali del Motu proprio:

  1. L’innovazione più significativa, di cui tuttavia da tempo si discuteva fra gli operatori del diritto, è stata quella di “snellire” la procedura togliendo la necessità della “doppia affermativa”. Prima della Mitis Iudex chi otteneva una pronuncia di nullità del matrimonio non poteva immediatamente avvalersene giacché la stessa pronuncia diventava esecutiva solo dopo essere approvata in un ulteriore grado di giudizio operato da diverso Tribunale ecclesiastico (per esemplificare: se il Tribunale Ecclesiastico Regionale Lombardo dichiarava nullo un matrimonio, occorreva inviare tutti gli atti di causa al Tribunale Ecclesiastico Regionale Ligure che poteva semplicemente confermare la sentenza con un proprio decreto oppure decidere che la causa meritasse un nuovo esame ordinario).
  2. Un’altra novità è stata l’introduzione del processus brevior ovvero di una procedura semplificata per i casi in cui vi sia richiesta congiunta degli sposi e i fatti di causa siano chiari e documentati sicché non sia necessaria alcuna attività istruttoria. Nell’allegato contenente le regole procedurali si menzionano alcune fattispecie esemplificative che potrebbero essere trattate con questo tipo di processo (quella mancanza di fede che può generare la simulazione del consenso o l’errore che determina la volontà, la brevità della convivenza coniugale, l’aborto procurato per impedire la procreazione, l’ostinata permanenza in una relazione extraconiugale al tempo delle nozze o in un tempo immediatamente successivo, l’occultamento doloso della sterilità o di una grave malattia contagiosa o di figli nati da una precedente relazione o di una carcerazione, la causa del matrimonio del tutto estranea alla vita coniugale o consistente nella gravidanza imprevista della donna, la violenza fisica inferta per estorcere il consenso, la mancanza di uso di ragione comprovata da documenti medici, ecc.).
  3. Il terzo punto fondamentale del Motu proprio è stato la riaffermazione della titolarità dello ius iudicandi in capo alla persona del Vescovo, a fronte della lamentata preponderanza dei Vicari Giudiziali e dei Tribunali Metropolitani.

Formulai, all’epoca, qualche appunto tecnicamente critico e – come ho detto – per questo fui convocato dal Decano cui, in cordiale colloquio, esposi i miei dubbi per una riforma di cui intuivo e approvavo il senso (principalmente riguardo al terzo punto e all’intento, menzionato nelle premesse del testo, di assicurare un giudizio più rapido snellendo il carico di lavoro dei tribunali e velocizzando la procedura) ma di cui – come molti Colleghi – prevedevo le difficoltà applicative. In particolare notavo, basandomi sulla esperienza forense maturata in Tribunali di diverse aree geografiche:

  1. Che la necessità del “doppio grado”, pur tardando di qualche mese l’esecutività delle sentenze di nullità del matrimonio, costituiva una garanzia di correttezza delle sentenze stesse, anche quando provenienti da Tribunali poco strutturati ed inesperti.
  2. Che il processus brevior non poteva che rimanere ipotesi strettamente residuale dato che (anche tenendo a mente i riportati esempi delle regole procedurali) è assai difficile – non occorre essere giurista per intuirlo – che i fatti di causa si presentino in modo così chiaro da rendere superflua una, pur minima, attività istruttoria.
  3. Che la maggior parte dei Vescovi in carica – cui nessuno nega la principale titolarità del diritto/dovere di giudicare – si è formata nello studio teologico piuttosto che in quello giuridico: per questo l’istituzione dei Vicari Giudiziali non è da considerare una “autorità concorrente” ma piuttosto un desiderato “supporto tecnico” in materie specialistiche, tanto più necessario in aree del mondo ove la presenza di Canonisti qualificati è piuttosto rara.

Al di là della gradita occasione di reincontrare colui che era stato il correttore del mio elaborato all’epoca dell’esame finale per il conseguimento del “diploma Rotale” fui un po’ deluso dal fatto che Mons. Pinto, invece di commentare i miei rilievi, parve attribuirli ad insussistenti rivendicazioni economiche: Per voi avvocati – ricordo mi disse – sarà lo stesso: se prima facevate 10 cause guadagnando 100 per ciascuna di esse, ora ne farete 100 guadagnando 10. La formulazione appare un po’ bizzarra ma se ne intende il senso riferendo le parole alla visione che sottostava alla Mitis Iudex: in particolare alla previsione di un massiccio afflusso di nuove cause breviores da liquidarsi in modalità poco più che burocratica.

In realtà, a prescindere dal fatto che la “brevità” potrebbe tuttalpiù riguardare la fase processuale ma non certo quella di preparazione della causa (resa anzi più complicata dall’esigenza che l’avvocato prepari un fascicolo completo al punto da non richiedere discussione!), tale ingente afflusso non c’è stato: Francesco – leggiamo su La Stampa denuncia le “tante resistenze” emerse in diocesi d’Italia e del mondo alla riforma dei processi matrimoniali. “Vi confesso – dice, distaccandosi dal testo scritto – che dopo la promulgazione, ho ricevuto delle lettere, tante, quasi tutte di notai (probabilmente intendeva dire “avvocati”) che perdevano la clientela. E lì il problema dei soldi. In Spagna si dice: «por la plata baila el mono», per i soldi balla la scimmietta. Anche ho visto con dolore in alcune diocesi la resistenza di qualche vicario giudiziale che con questa riforma perdeva potere perché si accorgeva che il giudice non era lui ma il vescovo”.

Parecchi anni fa (ero ancora studente di Giurisprudenza alla Statale di Milano) rimasi sgradevolmente colpito dall’intervista televisiva ad un sacerdote che, richiesto di commentare la sentenza di nullità ottenuta da una nota famiglia regnante, non aveva trovato nulla di più intelligente da dire che: Eh, ma quelli hanno soldi e avvocati. Non si rendeva evidentemente conto, il tapino, che così dicendo non infangava tanto i miei Colleghi, che nulla decidono ma semplicemente rappresentano le ragioni del Cliente, quanto il sistema giudiziario della Chiesa, da lui evidentemente ritenuto facilmente corruttibile. Me ne sono ricordato quando (non è stata la prima volta e ogni volta mi indigno per la facile quanto gratuita calunnia che – a discapito di preziosi collaboratori della giustizia ecclesiastica – solletica la “pancia” del popolino pronto a puntare il dito contro “l’avido azzeccagarbugli”) ho letto che, per l’ennesima volta, il modesto effetto della riforma non è stato (o lo è stato solo in minima parte) attribuito a resistenze interne e a difficoltà attuative, ma a supposte meschinità di professionisti esterni che – privi di qualsivoglia potere decisionale – la riforma hanno invece cercato di rispettare.

Per quanto riguarda la mia esperienza professionale posso dire di avere avuto un solo caso in cui, per accordo delle parti e per abbondanza di materiale probatorio, optai per un processus brevior: la mia istanza fu rigettata in limine dal Vescovo competente (soggetto indicato dalla Mitis Iudex) il quale, nel corso di un incontro, non volle nemmeno sapere di cosa si trattasse dicendomi che per siffatte faccende aveva delegato il Vicario Giudiziale, cui spettava anche decidere se una causa fosse da trattarsi con il rito ordinario (che fu adottato quando ripresentai il fascicolo in Tribunale) o con quello abbreviato.

Ho scritto quanto sopra per fare chiarezza e per evidenziare due cose: la prima è che, anche se supportata dalle migliori intenzioni e dalla elaborazione di giuristi espertissimi, ogni riforma va infine valutata “sul campo”, magari ascoltando i rilievi di chi in tale campo lavora, invece di aprioristicamente rigettarli quale frutto di impulsi meschini. La seconda è che un (parziale) fallimento non deve essere considerato una colpa, bensì uno stimolo a modificare, migliorandoli in base all’esperienza, gli elementi che non hanno ben funzionato. Esimersi da tale impegno attraverso la scorciatoia dello scarico di ogni responsabilità su chi non può difendersi, non aiuta a risolvere alcun problema ed è manifesto effetto di quel ‘clericalismo’ contro cui tanto spesso il Santo Padre si scaglia.

Ciò esposto, credo non vadano dimenticati anche gli effetti positivi della Mitis Iudex ed in particolare il notevole snellimento che – pur con i rischi connessi – discende dall’avere eliminato un grado di giudizio: le cause matrimoniali sono perlopiù finalizzate al consolidamento di rapporti affettivi sorti dopo un matrimonio infelice e alla creazione di nuove famiglie. Seppure i Tribunali di secondo grado si sono sempre adoperati perché l’ulteriore ‘gradino’ della ‘doppia conforme’ non sottraesse troppo tempo ai progetti delle Parti che già confidavano nell’ottenuta sentenza favorevole, altrettanto vero è che queste ultime mal sopportavano e poco capivano – prima della Mitis Iudex – la necessità di dover attendere ancora qualche mese prima di celebrare nuove nozze.

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