L’acer in fundo di un’intervista diplomatica. Un Pontifex Maximus non può non essere consapevole della strumentalizzazione dei suoi discorsi e degli atti dei suoi ministri

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Una delegazione interconfessionale della Repubblica dell’Azerbajgian, guidata dal Direttore esecutivo della Fondazione Heydar Aliyev, recentemente ha visitato lo Stato della Città del Vaticano, per la firma di un nuovo accordo di cooperazione tra l’Azerbajgian e la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra del della Santa Sede sul restauro di antichi affreschi e dipinti cristiani del IV secolo nelle catacombe romane di Commodilla. Il sito islamico francese Musulmansenfrance.fr ha pubblicato il 9 marzo 2021 – il giorno dopo il ritorno di Papa Francesco dal suo Viaggio Apostolico in Iraq e questo è una “coincidenza”… – un’intervista a S.E. Rahman Mustafayev, Ambasciatore della Repubblica dell’Azerbaigian presso la Santa Sede, dal titolo La Santa Sede apprezza molto gli sforzi dell’Azerbajgian per rafforzare il dialogo interreligioso.

Leggendo questa prosa – anche solo diagonalmente, non serve la particolare vocazione alla lente – si comprende tante cose, oltre ogni ragionevole dubbio, circa il reale significato delle relazioni tra la Repubblica dell’Azerbajgian e la Santa Sede. Si è compreso, già con le informazioni che stiamo fornendo da mesi, e adesso anche visto la diplomazia con i proventi del gas azero che sono stati convogliati verso il Vaticano. Proponiamo in una nostra traduzione italiana dal francese dei passaggi più significativi dell’intervista, condotta secondo il classico copione propagandistico azero-turco. Il tutto servito nel tipico stile del diplomatico di turno, che deve vendere la merce (avariata) del suo Paese e soprattutto mettere in mostra la sua personale attività, così che il suo Ministro degli Esteri lo tenga presente per future promozioni.

Lunedì 28 settembre 2020 eravamo tra i primissimi (e in Italia, poco ne hanno parlato) a scrivere dell’aggressione – iniziata la mattina di domenica 27 settembre – dell’Azerbaigian di cultura turca e islamico, armato dalla Turchia islamica con il sostegno dei mercenari tagliagole ammazzacristiani jihadisti islamici, contro la Repubblica di Artsakh, a stragrande maggioranza cristiano armeno [Presidente Arayik Harutyunyan: non è l’Azerbaigian, è la Turchia che combatte contro l’Artsakh. Circa 4.000 jihadisti della Syria combattendo con i turchi dalla parte azera – 28 settembre 2020]. La volontà della Turchia espansionista di Erdogan (il 2 ottobre 2020 ha dichiarato che Gerusalemme appartiene alla Turchia…) è di finire il genocidio degli Armeni consumato dall’Impero islamico Ottomano nel 1915-16, allora una situazione nuova e scioccante per l’opinione pubblica mondiale (almeno quella parte che ne sapeva qualcosa allora), che oggi rimane in silenzio come fu per il genocidio degli Ebrei consumato dal Terzo Reich (“non lo sapevamo”). Solo per fare – al compimento dell’opera di sterminio nazista – giornate alla memoria (e per gli Armeni neanche questo).

Il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan all’inizio di dicembre 2020 era andato a Baku per una visita di due giorni in Azerbajgian, dove il 10 dicembre ha partecipato alla “Parata della vittoria”, organizzata dalle autorità azere per celebrare le conquiste territoriali al termine dei 44 giorni di aggressione contro la Repubblica di Artsakh, sancite dall’accordo di cessato il fuoco imposto dalla Russia. Alla “Parata della vittoria” a Baku, Aliyev ha proclamato che l’area della capitale della Repubblica di Armenia Yerevan, il Zangezur (una striscia di terra montuosa che separa la provincia meridionale armena di Syunik e la Repubblica Autonoma di Nakhichevan in Azerbajgian) e la regione del lago Sevan (il più grande lago dell’Armenia e uno tra i più grandi laghi d’alta quota al mondo, nella provincia di Gegharkunik, ad est del Paese) sono terre storiche azere. La guerra continua, l’odio cresce, il dittatore azero-turco alza la posta. Per tutti gli Armeni si profila un ulteriore futuro di incertezza.

L’analisi del Difensore dei diritti umani dell’Armenia ha confermato, che le dichiarazioni e le espressioni di odio e ostilità incluse nei discorsi dei Presidenti azeri e turchi erano le stesse usate anche dai soldati azeri-turchi durante la recente guerra di aggressione dell’Azerbajgian mentre torturavano, uccidevano o trattavano in modo degradante i prigionieri armeni di guerra e civili prigionieri con eccessivo cinismo e umiliazione. “Questi sono stati i discorsi che hanno costituito negli anni il sistema di predicazione istituzionale in Azerbaigian, volto a diffondere e infliggere odio e ostilità contro gli Armeni in base alla loro etnia, avallando l’impunità esplicita e sostenendo tutto ciò al più alto livello ufficiale”, ha detto il Difensore dei diritti umani dell’Armenia, Arman Tatoyan.

“Nel periodo di settembre-novembre del 2020 i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità commessi dalle forze militari azere sono stati oltre ogni immaginazione umana per il volume e il livello della loro crudeltà: queste sono state azioni che richiedono ulteriori ricerche scientifiche per capire cosa può essere l’estremo della crudeltà di cui un essere umano è capace “, ha affermato il Difensore dei diritti umani dell’Armenia.

Il Presidente turco nel suo discorso pieno di odio e minacce contro l’intero popolo armeno, ha ricordato che oggi è il giorno della glorificazione delle anime di Ahmed Jevad Pasha, Nuri Pasha, Enver Pasha e dei membri dell’Esercito islamico del Caucaso. “È un dato di fatto che queste persone sono i Giovani Turchi, che hanno organizzato e commesso il genocidio armeno nell’Impero ottomano, accompagnandolo con uccisioni, infliggendo danni alla salute, torture e stupri”, ha affermato Tatoyan. “Di questi, Enver Pasha in particolare, durante gli anni del genocidio armeno, fu tra gli organizzatori delle atrocità, nella sua posizione di Ministro militare dell’Impero Ottomano (1913-1918) e Jevad Bey, organizzò e commise le azioni genocide durante la Prima guerra mondiale, nella sua posizione di Comandante della città di Costantinopoli (ora Istanbul) e membro dell’organizzazione speciale statale turca “Teskilat Mahsume”, basata sull’ideologia del pan-turkismo. Inoltre, queste persone, in particolare Nuri Pasha, che era il fratello di Enver Pasha, come parte dell’Esercito islamico del Caucaso, hanno preso parte alle atrocità di massa del settembre 1918 commesse contro gli Armeni a Baku. Queste atrocità sono state anche accompagnate da torture e stupri”, egli aggiunto. “La glorificazione di queste persone dal Presidente turco e farlo con un discorso pubblico pronunciato durante una parata militare mostra espliciti intenti genocidi. Lo scopo di questo discorso è senza dubbio quello di instaurare più odio “, ha sottolineato il Difensore dei diritti umani dell’Armenia.

“Tutto questo è rafforzato da dichiarazioni schiettamente false, che incolpano gli Armeni per la distruzione del patrimonio o degli oggetti religiosi azerbajgiani o turchi”, ha aggiunto. “Questi discorsi sono minacce dirette rivolte alla vita e alla salute dell’intero popolo armeno, la popolazione civile armena, un terrorismo esplicito, che sono sotto il divieto assoluto stabilito dal diritto internazionale. I suddetti discorsi affermano anche la politica genocida dell’Azerbajgian applicata attraverso metodi di pulizia etnica e terrorismo durante questa guerra”, ha detto Tatoyan.

Il Difensore dei diritti umani dell’Armenia ha invitato la comunità internazionale a reagire e ad adottare misure preventive sostanziali riguardo a quelle questioni, che violano i principi fondamentali del diritto internazionale e minano l’intero sistema internazionale dei diritti umani e della protezione umanitaria.

Detto questo – e tenendolo presente mentre scorrono le affermazioni propagandistiche dell’Ambasciatore Mustafayev – ritorniamo all’intervista pubblicato da Musulmansenfrance.fr il 9 marzo 2021, in riferimento ad una recente visita nello Stato della Città del Vaticano di una delegazione interconfessionale della Repubblica dell’Azerbajgian, guidata dal Direttore esecutivo della Fondazione Heydar Aliyev.

La prima parte dell’intervista è un elenco di collaborazioni sul piano artistico, politico e del dialogo interconfessionale (accennando anche a non meglio specificati collaborazioni in ambiente scientifico ed educativo), intramezzata con una rievocazione delle ripetute visite ufficiali in Vaticano del dittatore azero e della sua consorte vicepresidente. La seconda parte ripete la consueta posizione azera, con il diavolo in fondo dell’intervista.

Il Cardinale Gianfranco Ravasi firma da Presidente il nuovo accordo di cooperazione tra l’Azerbajgian e la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra del della Santa Sede sul restauro di antichi affreschi e dipinti cristiani del IV secolo nelle catacombe romane di Commodilla.

Iniziamo con la prima parte. Per quanto riguarda gli obiettivi, l’Ambasciatore Mustafayev afferma che “questa visita, mirava a firmare un nuovo accordo di cooperazione tra l’Azerbajgian e la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra della Santa Sede sul restauro di antichi affreschi e dipinti cristiani del IV secolo nelle catacombe romane di Commodilla. Inoltre, uno degli obiettivi della visita è stato quello di vedere lo stato di avanzamento dei lavori relativi all’accordo concluso a febbraio 2019 tra la Fondazione Heydar Aliyev e la Fabbrica de San Pietro sui lavori di restauro del Santuario di Papa San Leone Magno (440 -461) nella Basilica di San Pietro”. L’Ambasciatore Mustafayev ricorda che “a seguito dei lavori di restauro eseguiti secondo la “Convenzione sul Restauro dei Sarcofagi delle Catacombe di San Sebastian” firmata il 23 febbraio 2016 tra la Fondazione Heydar Aliyev e la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, una cerimonia di apertura delle catacombe restaurate si è svolta il 26 settembre 2018 nel complesso della Chiesa-Museo di San Sebastian con la partecipazione del Primo Vicepresidente Aliyeva. (…) Inoltre, il 28 febbraio 2019 è stata firmata la “Convenzione per il Restauro del Mausoleo nelle Catacombe di Santa Commodilla” tra la Fondazione Heydar Aliyev e la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra”. (…) Ma ai miei occhi uno dei progetti più importanti con il Vaticano è l’“Accordo tra la Fondazione Heydar Aliyev e la Fabbrica di San Pietro in Vaticano sui lavori di restauro dell’acropoli sotto la Basilica di San Pietro e il Santuario di San Leone Magno”, firmato il 28 febbraio 2019. (…) Attualmente i lavori di restauro della basilica e dell’acropoli stanno volgendo al termine e mi auguro che nei prossimi mesi avvenga l’inaugurazione ufficiale dell’altare e dell’acropoli restaurati, che diventerà senza dubbio un evento importante nei rapporti tra i nostri Stati”.

Affreschi di Commidilla.

Lo scopo di tutta questa premura per il patrimonio architettonico della Santa Sede è stato messo subito in chiaro dalle prime battute dell’intervista, con cui l’Ambasciatore Mustafayev ci tiene a “sottolineare che i rapporti con il Vaticano occupano un posto speciale nelle priorità di politica estera” del suo Paese e specifica che “lo sviluppo del dialogo e della cooperazione” con il Vaticano è “di particolare importanza” per gli azeri, “non solo a livello bilaterale ma anche internazionale”. L’Ambasciatore Mustafayev ha voluto ricordare che la cooperazione dell’Azerbajgian con il Vaticano nel campo della conservazione del suo patrimonio culturale e religioso si sta attivamente sviluppando dal 2011 e che “i progetti realizzati in Vaticano con il sostegno della Fondazione Heydar Aliyev contribuiscono a rafforzare ulteriormente i legami tra Azerbajgian e Vaticano, e costituiscono un esempio di dialogo e cooperazione tra Islam e cristianesimo, tra stati musulmani e cattolici”. Poi, L’Ambasciatore Mustafayev “segnala in particolare che la Fondazione Heydar Aliyev ha dato un importante contributo allo sviluppo delle relazioni con la Santa Sede. Il Presidente della Fondazione Heydar Aliyev, il Primo Vicepresidente della Repubblica dell’Azerbajgian Mehriban Aliyeva ha visitato la Santa Sede in sei occasioni (novembre 2011, giugno 2012, giugno 2014, febbraio 2016, settembre 2018 e febbraio 2020) in questi anni”.

L’area di cooperazione dei progetti per la conservazione del patrimonio culturale e religioso del Vaticano realizzati da parte azera “è la più dinamica tra le parti”, sottolinea l’Ambasciatore Mustafayev, “e un grande merito va alla Fondazione Heydar Aliyev e più personalmente al Primo Vicepresidente Mehriban Aliyeva”. Il riferimento ai lavori di restauro dell’acropoli sotto la Basilica di San Pietro e il Santuario di San Leone Magno l’Ambasciatore Mustafayev ci tiene a precisare che “l’importanza di questo progetto va ben oltre il semplice lavoro di restauro. Per la prima volta, un paese musulmano ha avuto accesso per intervenire nel ‘sancta sanctorum’ della Chiesa Cattolica Romana – la Basilica di San Pietro. È un segno di rispetto e riconoscimento dell’importante ruolo dell’Azerbajgian, della Fondazione Heydar Aliyev e personalmente del Primo Vicepresidente Aliyeva nella conservazione del patrimonio culturale e religioso mondiale, compreso il patrimonio della cultura cristiana e la Chiesa Cattolica Romana”.

La collaborazione dell’Azerbajgian con la Santa sede tocca anche altri ambiti, oltre alla realizzazione di progetti sulla conservazione del patrimonio culturale e delle aree della scienza e dell’educazione. L’Ambasciatore Mustafayev rileva che “certamente, il dialogo politico tra i capi dei nostri Stati è di particolare importanza nella nostra cooperazione. In questo contesto, vorrei sottolineare le visite dei Presidenti Heydar Aliyev nel settembre 1997 e Ilham Aliyev nel febbraio 2005, marzo 2015 e febbraio 2020 in Vaticano, nonché le visite dei papi Giovanni Paolo II nel maggio 2002 e Francesco a ottobre 2016 in Azerbajgian, che ha dato un importante contributo allo sviluppo delle relazioni tra i due Paesi”.

Il popolo armeno cristiano è stato oggetto di un genocidio all’inizio del secolo scorso. A tutt’oggi, la Repubblica caucasica, già appartenente all’Unione Sovietica prima della sua dissoluzione all’inizio degli anni ’90, è in conflitto con il vicino Azerbajgian, anche in virtù dell’annosa vicenda relativa al territorio conteso della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, culminato nell’aggressione militare dell’Azerbajgian, iniziato lo scorso settembre e durato “appena” 44 giorni solo grazie alla mediazione della Russia. Abbiamo riferito passo dopo passo di questa aggressione, con la violazione dei Diritti Umani subita dai civili e dovuta alle numerose violenze perpetrate dall’Azerbajgian tra settembre e novembre scorsi nell’Artsakh/Nagorno Karabakh, con un contorno drammatico fatto di macerie, famiglie distrutte e feriti gravi, difficilmente riparabili con l’apparente tregua ora vigente, imposta dalla Russia. Tutto questo non va dimenticato, mentre l’Ambasciatore parla di “dialogo politico” e di “rafforzare l’atmosfera di comprensione, rispetto e dialogo reciproci tra culture”.

Quale rispetto ha l’Azerbajgian – così premuroso per il patrimonio architettonico storico del Vaticano – per il patrimonio culturale e cristiano armeno nell’Artsakh/Nagorno-Karabakh, abbiamo esemplificato in diversi articoli in questi mesi, documentando numerosi casi di vandalismo e sistematica distruzione da parte dell’Azerbajgian del patrimonio armeno cristiano nei territori storici armeni, occupati con la forza degli armi. L’ultimo in ordine di tempo: Repubblica di Artsakh. A rischio i monumenti armeni per mano azera. Il Parlamento europeo condanna aggressione azera e ingerenza turca – 26 gennaio 2021.

Poi, arriviamo alla seconda parte dell’intervista. In cauda venenum, come nel caso dello scorpione, che in sé sarebbe poco pericoloso, ma che ha per l’appunto una coda altamente velenosa. In questo modo, l’Ambasciatore Mustafayev ha iniziato suo discorso in maniera melliflua, piazzando alla fine la stoccata finale.

L’intervistatore fa da apripista, chiedendo: “Quindi non è un caso che la Santa Sede abbia apprezzato così tanto gli sforzi della Fondazione Heydar Aliyev e personalmente del Primo Vicepresidente Aliyeva, per la tutela del patrimonio culturale del Vaticano e della Chiesa Cattolica Romana…”, a cui l’Ambasciatore Mustafayev risponde: “Sicuramente, nel quadro della visita ufficiale in Vaticano del Presidente della Repubblica dell’Azerbajgian Ilham Aliyev e di sua moglie Mehriban Aliyeva nel febbraio 2020, il Primo Vicepresidente dell’Azerbajgian, Mehriban Aliyeva, è stato decorato con la Gran- Croce – il grado più alto dell’Ordine di Pio IX. Istituito nel 1847, l’Ordine di Pio IX è la più alta onorificenza della Santa Sede che può essere ricevuta da un laico. Questo alto premio è un riconoscimento dell’eccezionale contributo personale del Primo Vicepresidente Mehriban Aliyeva allo sviluppo delle relazioni tra l’Azerbajgian e la Santa Sede, del ruolo attivo dell’Azerbajgian nella conservazione dei patrimoni culturali e della civiltà cristiana, rafforzando il dialogo tra culture. Come il Vaticano ha più volte notato, l’Azerbajgian, attraverso le sue azioni in quest’area, sta dando l’esempio che altri paesi possono seguire. Questa è una valutazione molto alta della politica interna ed estera del nostro paese e dei suoi governanti, specialmente nelle condizioni moderne, quando l’intolleranza religiosa ed etnica e le politiche aggressive diventano la norma nella vita nazionale e internazionale e quando il nazionalismo radicale e lo sciovinismo stanno guidando il liberalismo l’ideologia delle élite al potere in molti paesi del mondo”.

E togliendo ogni dubbio, l’Ambasciatore Mustafayev aggiunge: “Durante l’incontro con il Presidente dell’Azerbajgian, il Segretario di Stato Pietro Parolin ha osservato che ci sono ‘relazioni speciali tra l’Azerbajgian e il Vaticano, e la Santa Sede apprezza molto gli sforzi dell’Azerbaigian per rafforzare l’atmosfera di comprensione, rispetto e dialogo reciproci tra culture’. E il compito della nostra diplomazia è far sì che queste ‘relazioni privilegiate’ si sviluppino ulteriormente, ricche di nuovi contenuti e progetti”.

L’Ambasciatore per la stoccata finale parte da lontano. Inizia spiegando il motivo perché la delegazione azera era composta da rappresentanti di diverse comunità religiose in Azerbajgian, delle comunità cattolica, musulmana, ortodossa e delle due comunità ebraiche, gli ebrei di montagna e gli ebrei ashkenaziti “che hanno visitato per la prima volta il Vaticano in una tale composizione”: “Volevamo che tutti avessero un’idea dell’evoluzione della nostra cooperazione con il Vaticano, con lo Stato teocratico cattolico, e informassero i membri della Curia romana sulla situazione delle comunità religiose nel nostro Paese. Penso che siamo riusciti in questo compito: la visita è stata utile per entrambe le parti. I nostri amici vaticani hanno appreso in prima persona che la tolleranza, la pacifica convivenza e l’interazione tra le diverse comunità religiose non è una bella immagine dalla copertina della rivista, ma la realtà dell’Azerbajgian moderno”.

Poi, l’Ambasciatore Mustafayev prosegue il suo monologo: “Il Vaticano ha ripetutamente affermato di apprezzare molto la tolleranza religiosa ed etnica in Azerbajgian. In particolare, Papa Giovanni Paolo II durante la sua visita a Baku nel maggio 2002 ha detto: «Sono venuto in questo antichissimo Paese, portando nel cuore l’ammirazione per la ricchezza e la varietà delle sue culture. Ricco di diversità e di caratteristiche caucasiche, questo paese ha assorbito i tesori di molte culture, in particolare persiana e altai-turanica. Su questa terra c’erano e fino ad oggi ci sono grandi religioni: lo zoroastrismo coesisteva con il cristianesimo della Chiesa albanese, che ha svolto un ruolo così importante nell’antichità. L’Islam ha successivamente svolto un ruolo sempre più crescente e oggi è la religione della stragrande maggioranza del popolo azero. Da tempo immemorabile, il giudaismo, che gode ancora di grande stima, ha dato il suo contributo unico. Anche dopo che il lustro iniziale della chiesa si è indebolito, i cristiani hanno continuato a vivere fianco a fianco con i credenti di altre religioni. Ciò è stato possibile grazie a uno spirito di tolleranza e comprensione reciproca di cui questo Paese non può che essere orgoglioso».

Durante la Visita Apostolica di Papa Francesco a Baku il 2 ottobre 2016, è stato confermato l’alto apprezzamento della Santa Sede per la politica di tolleranza e benevolenza religiosa condotta dal nostro Paese, il rispetto per tutte le religioni e per i loro aderenti che lavorano in Azerbajgian. A questo proposito, vorrei ricordare le meravigliose parole del Pontefice: «Mi auguro vivamente che l’Azerbajgian prosegua sulla strada della collaborazione tra diverse culture e confessioni religiose. Possa l’armonia e la pacifica convivenza nutrire sempre la vita sociale e civile del Paese, nelle sue molteplici espressioni, assicurando a tutti la possibilità di dare il proprio contributo al bene comune». Mi auguro, rimarca Papa Francesco, «che grazie a Dio e grazie alla buona volontà delle parti, il Caucaso possa essere il luogo dove, attraverso il dialogo e la negoziazione, le controversie troveranno la loro soluzione e il loro superamento, affinché questa regione sia una “Porta tra Oriente e Occidente”, secondo la bella immagine usata da San Giovanni Paolo II».

Le basi di una così proficua collaborazione tra la Repubblica dell’Azerbajgian e la Santa Sede, l’Ambasciatore Mustafayev trova nel “principio più importante della politica interna ed estera dell’Azerbajgian, il sostegno al pluralismo religioso, etnico e culturale”. Poi, prosegue con l’operazione di strumentalizzazione già adoperato con i discorsi di San Giovanni Paolo II e Francesco: “Nella politica estera di Papa Francesco, che attribuisce grande importanza allo sviluppo del dialogo con il mondo musulmano, anche questo principio occupa un posto preponderante. Questa convergenza di due stati su una questione così importante fornisce una solida base per la cooperazione bilaterale. Vi invito a prestare attenzione agli accenti che il Sommo Pontefice ha espresso nei suoi discorsi durante la sua recente e storica visita in Iraq. Ha ripetutamente sottolineato che il pluralismo religioso, etnico e culturale contribuisce al benessere dei paesi e all’armonia della società. E viceversa, l’assenza di questo pluralismo genera terrorismo, violenza e odio. Penso che questa idea sia giusta non solo per il Medio Oriente, ma anche per la nostra regione del Caucaso meridionale. Infatti, il terrore contro i cristiani in Iraq da parte del cosiddetto ‘Stato islamico’, Daesh e la deportazione forzata di musulmani dall’Armenia nel 1987, poi il terrore contro gli azeri e altre minoranze etniche nei territori occupati dalla regione del Karabakh dell’Azerbajgian dall’Armenia nel 1991-1993 – sono manifestazioni della stessa ‘malattia’ – intolleranza religiosa e nazionale, impreparazione al dialogo interculturale e assenza di pluralismo religioso ed etnico”.

Quindi, gli Azeri musulmani strumentalizzano i discorsi di Papa Francesco in Iraq per accusare gli Armeni cristiani della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh di terrorismo e accreditare il Presidente-dittatore dell’Azerbajgian Ilham Alyev e la sua invasione militare con il sostegno della Turchia e dei mercenari jahadisti islamici siriani come benedetta dalla Santa Sede e in particolare dal Segretario di Stato, il Cardinale Pietro Parolin (costui di cui Papa Francesco disse sul Volo Papale Tallinn-Roma il 25 settembre 2018, parlando del sciagurato accordo segreto della Santa Sede con il regime dittatoriale comunista della Cina continentale firmato il 22 settembre 2018, “che è un uomo molto devoto, ma ha una speciale devozione alla lente: tutti i documenti li studia: punto, virgola, accenni. Questo mi dà una sicurezza molto grande”; il medesimo che disse: “Ma che persecuzioni! Bisogna usare le parole correttamente”, in risposto ad una domanda di Avvenire in merito all’accordo sulla nomina dei vescovi tra Cina e Santa Sede, rinnovato il 22 ottobre 2020 per altri due anni, negando che nella Cina comunista la Chiesa Cattolica Romana sia perseguitata con parole che purtroppo non sono suffragate dai fatti, andando oltre la consueta prudenza nelle dichiarazioni imposta dalla diplomazia, riuscendo ad essere offensive verso le sofferenze dei fedeli cinesi; degno erede del Cardinale Agostino Casaroli e la sua infausta “Ostpolitik”).

Tutto questo toglie qualsiasi dubbio sulla posizione della Santa Sede nella orribile vicenda dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh. Non mi risulta che oltre alle poche parole generiche di Papa Francesco – durante l’Angelus seguito all’incontro con Karekin II, il Patriarca Supremo e Catholicos di tutti gli Armeni della Chiesa apostolica armena del 27 settembre 2020, Papa Francesco ha parlato della situazione delicata del Caucaso chiedendo il ritorno alla diplomazia ed un nuovo cessate il fuoco, seppur senza riferirsi esplicitamente alla situazione del Nagorno-Karabakh – la Santa Sede abbia preso sull’aggressione azera-turca-jihadista contro la Repubblica di Artsakh una posizione a favore degli armeni cristiani.

Evitare di prendere una posizione, è prendere già posizione. E questo sfonda le porte, spalanca le finestre e abbassa i ponti levatoi alla strumentalizzazione [*]. Lo dimostra in modo chiaro e limpido questa intervista all’Ambasciatore dell’Azerbajgian presso la Santa Sede Rahman Mustafayev. E visto la prassi della Santa Sede, è inutile attendere una protesta formale per le gravissime affermazioni e falsità contenute in questa intervista. Ormai i giochi sono fatti e gli Azeri-Turchi liberi a completare il genocidio armeno nel Nagorno-Karabakh.

Nel frattempo, il titolo dell’intervista è tragicomico (La Santa Sede apprezza molto gli sforzi dell’Azerbajgian per rafforzare il dialogo interreligioso), pensando al modo in cui l’esercito azero conduce il “dialogo interreligioso” con i cristiani armeni nelle loro terre che hanno occupato.

[*] Strumentalizzare, verbo transitivo derivato di strumentale: servirsi di qualcuno o di qualcosa, o anche di un evento, di un fatto, di una situazione, esclusivamente come mezzo per conseguire un proprio particolare fine, non dichiarato ed estraneo al carattere intrinseco di ciò di cui ci si serve.

“Premio di guerra e simbolo di vittoria”. Così Ilham Aliyev, il Presidente dell’Azerbajgian ha definito il 15 gennaio 2021, nel corso della sua visita con la sua moglie Mehriban Aliyeva, Primo Vicepresidente dell’Azerbaigian, campioni del dialogo interreligioso, alla cattedrale armena del Santo Salvatore Ghazanchetsots a Shushi (foto di copertina). Le foto ufficiali diffuse dai media azeri non mostrano gli squarci causati dalle bombe azere dell’ottobre scorso. La pace è ancora lontana. E le chiese armene nel Nagorno-Karabakh sempre più in pericolo.

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