La Rai ha ricordato Giovanni Paolo I

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Rai 150, per la serie ‘Dixit Religio’, nei giorni scorsi ha presentato ‘Ostensus magis quam datus: a cento anni dalla nascita di Albino Luciani’ (‘Mostrato piuttosto che dato’, in riferimento ai soli trentatré giorni di pontificato di Giovanni Paolo I) di Antonia Pillosio, sintesi del convegno che si è tenuto in Vaticano nel mese di novembre dell’anno scorso per celebrare il centenario della nascita di Giovanni Paolo I attraverso le testimonianze degli storici Gianpaolo Romanato, Roberto Pertici, Sylvie Barnay e dello scrittore spagnolo Juan Manuel de Prada, con le conclusioni del Patriarca di Venezia, mons. Francesco Moraglia, organizzato da ‘L’Osservatore Romano’ e il ‘Messaggero di sant’Antonio’. I lavori si sono svolti nell’Aula vecchia del Sinodo con il saluto di Giovanni Maria Vian, direttore de ‘L’Osservatore Romano’ e l’introduzione di Ugo Sartorio, direttore del ‘Messaggero di sant’Antonio’, a cui sono seguiti gli interventi dei docenti Gianpaolo Romanato, Università di Padova; Roberto Pertici, Università di Bergamo; Sylvie Barnay, Université de Lorraine e lo scrittore Juan Manuel de Prada. Al convegno erano presenti anche i cardinali Giovanni Coppa e Raffaele Farina, l’arcivescovo Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato. Il convegno ha sottolineato che la scelta di chiamarsi papa Giovanni Paolo I ha messo in evidenza l’obiettivo di Albino Luciani: quello di ricevere e trasmettere l’eredità del Concilio Vaticano II.

L’incontro ha raccontato ‘l’uomo venuto dal Veneto’, come ha ricordato il prof. Romanato: “Giovanni Paolo I fu l’unico Papa, dei quattro veneti saliti al soglio pontificio dal 1789 in poi, la cui carriera antecedente l’elezione si svolse interamente ed esclusivamente nella regione d’origine”. Albino Luciani nacque a Forno di Canale (oggi Canale d’Agordo) il 17 ottobre 1912 in una famiglia poverissima, il cui peso quotidiano era retto dalla madre (come tanti altri uomini del luogo, infatti, il padre era emigrato in cerca di lavoro). Se dunque l’ambiente di origine di Luciani fu popolare, tradizionale, non ancora sfiorato dalla modernizzazione e segnato dalle difficoltà, fu però anche un ambiente in cui la Chiesa rappresentava il solo punto di riferimento. Ma Albino Luciani ha mostrato una ampia curiosità intellettuale e l’inesauribile interesse per la lettura: “La catalogazione della biblioteca del paese natale compiuta dal chierico Luciani durante le vacanze estive, ad esempio, testimonia una capacità di lettura, assimilazione e giudizio inconsueti nel clero veneto del suo tempo, specie in un giovane seminarista. L’amore per i libri diede un timbro inconfondibile alla sua azione pastorale, arricchendola di citazioni e riferimenti: per spiegare situazioni e concetti, Luciani inseriva di continuo, si trattasse di articoli o di omelie, reminiscenze letterarie. Esopo, La Fontaine, i fratelli Grimm, Mark Twain (il prediletto), Charles Dickens, Paul Bourget e Alphonse Daudet, Bernanos e Claudel, Chesterton, Anatole France, Papini, Solovev, Trilussa, Bernardino da Siena, Piero Bargellini e Pierre l’Ermite (né mancarono musica rock e fumetti)”.

 

Appena eletto papa ripropose lo stile comunicativo, i temi e gli atteggiamenti che erano sempre stati suoi da quando era prete della diocesi di Belluno e Feltre, come ha ricordato il prof. Roberto Pertici: “Il primo vero esordio pubblico di Albino Luciani come Papa ebbe luogo la mattina di domenica 27 agosto 1978. La sera precedente era comparso alla loggia centrale della basilica vaticana e, secondo la prassi, si era limitato a impartire la benedizione urbi et orbi. Sembra che avesse espresso a monsignor Virgilio Noè, allora maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie, la volontà di dire anche qualche parola, ma che ne fosse stato sconsigliato: il cerimoniale non lo prevedeva. Subito dopo, tuttavia, il neo-eletto aveva avanzato un’altra inusuale richiesta: che le telecamere seguissero l’indomani la sua prima mattina da Papa, l’allocuzione ai cardinali riuniti nella Sistina e poi l’Angelus recitato in piazza San Pietro. Ma se l’allocuzione ebbe un impianto ancora tradizionale (latino e plurale maiestatico), completamente innovativo fu invece l’Angelus, eccezionalmente pronunciato dalla loggia centrale. Nessuno dei giornalisti sapeva cosa il Papa avrebbe detto, perché l’ufficio stampa vaticano non aveva distribuito alcun testo. Ci si attendeva che qualcuno gli mettesse in mano un discorso preparato e invece il Pontefice iniziò a parlare a braccio. Non usò alcun incipit tradizionale, ma cominciò, come si direbbe in gergo giornalistico, al netto: ‘Ieri mattina io sono andato alla [cappella] Sistina a votare tranquillamente. Mai avrei immaginato quello che stava per succedere’. Il brevissimo pontificato di Luciani, il Papa capace di parlare a braccio senza che però questo significasse mai improvvisazione, ha determinato un cambiamento radicale e irreversibile nei modi della comunicazione pontificia”.

Cinque allocuzioni domenicali, quattro catechesi e dodici discorsi costituiscono l’insieme delle quattro settimane di dottrina di Giovanni Paolo I. Ma di tutte le sue parole, la frase che è passata alla storia è l’affermazione contenuta nell’Angelus del 10 settembre: ‘Dio è papà; più ancora è madre’, su cui si è soffermata la prof.ssa Sylvie Barnay: “Colpisce constatare come la rete di metafore che attraversa gli scritti del futuro Giovanni Paolo I privilegi nettamente quelle della paternità, della maternità, della coniugalità e dell’infanzia. Lungi da ogni forma di aneddotismo questa struttura portante sembra testimoniare una più profonda formulazione dottrinale sui rapporti tra Dio e l’uomo alla luce di un’antropologia della genitorialità. Le due funzioni complementari che ognuna delle figure parentali per tradizione esercita sono qui chiaramente esposte: l’affetto materno e l’autorità paterna. Conciliarle è indispensabile. Nessuna affermazione dottrinale può essere fatta senza il ricorso alternativo a questi due atteggiamenti di genitorialità, facendo attenzione a non confondere i ruoli e i generi”.

Il patriarca di Venezia, card. Francesco Moraglia, ha tratteggiato la figura di Albino Luciani: “Albino Luciani fu un sincero e onesto lavoratore della vigna del Signore, uomo profondamente obbediente a Dio e al Suo progetto, chiamato a compiti e decisioni davvero ardue. Annunziare il Vangelo senza rinnegarlo, stare di fronte al mondo senza temerlo e senza scendere a compromessi, presiedere a una comunità cristiana ferita nella comunione, senza cedere alla tentazione di conquistarsi una facile notorietà, significa infatti caricarsi della propria parte di sofferenza. Nel messaggio d’inizio pontificato Giovanni Paolo I ha espresso in modo compiuto il suo pensiero sulla Chiesa vista come corpo vivo, realtà comunionale ed evangelizzatrice. Parlò agli uomini e alle donne di Chiesa chiamandoli, semplicemente, figli e domandò di prendere coscienza della loro responsabilità e superare, così, le tensioni interne ponendoli in guardia dalla tentazione di uniformarsi al mondo, non ricercando il facile applauso ed esortandoli con forza affinché diano testimonianza della propria fede davanti al mondo.

Il fermo richiamo a prendere le distanze dalla tentazione d’uniformarsi al mondo spiega quello che fu il suo costante stile di prete, vescovo e papa… Per quanto riguarda la breve ma densa apparizione di Luciani sulla cattedra di Pietro osservo che gli avvenimenti non ricevono senso solo dalla durata; hanno significato per ciò che rappresentano in se stessi e per la forza con cui sono capaci di generare futuro… Il pontificato di Giovanni Paolo I, anomalo per la sua brevità, va considerato proprio per tale fatto un inizio, un’antifona che, nella continuità della storia della Chiesa, segna una vera ripartenza… Luciani s’impegnò sempre in un annuncio evangelico compiuto nella Chiesa e a nome della Chiesa, senza timori e calcoli umani: è questa la fortezza degli umili!”

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