Mons. Crociata: dalla vita di Vittorio Iacovacci nasca un movimento di giustizia

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La comunità cittadina di Sonnino, in provincia di Latina, si è stretta intorno alla famiglia di Vittorio Iacovacci, il carabiniere ucciso lunedì in Repubblica democratica del Congo insieme all’ambasciatore Luca Attanasio, di cui sono stati celebrati i funerali nella parrocchia di Santa Maria Annunziata, all’abbazia di Fossanova, presenziati dall’arcivescovo di Latina-Sezze, mons. Mariano Crociata, che nell’omelia ha ricordato la morte violenta del carabiniere:

“Più che le parole possono i gesti, come quelli a cui stiamo assistendo, e in qualche modo anche ponendo, in questi giorni fino a oggi. La nazione intera, e non solo la nostra, si è stretta attorno a coloro che sono caduti vittime di una violenza insensata, attorno a Vittorio e alla sua famiglia, al papà e alla mamma, alla sorella, al fratello, alla fidanzata; una famiglia, peraltro, a cui lo Stato deve molto”.

Molte domande di fronte a tale tragedia, ma quella più insistente è quella che cerca una spiegazione: “E la prima parola che sentiamo di dire ha la forma di una domanda. Perché qualcuno deve spiegare, non solo quel che è successo, ma perché è successo.

Non tocca a noi e non è questa la sede per trattare simili questioni, anche perché molto più grandi di noi e perché vedono uomini e istituzioni impegnati a occuparsene con la necessaria competenza e diligenza. Ma la domanda persiste e ci tocca intimamente, se un figlio di questa terra viene massacrato così come siamo stati costretti a vedere fino a poterne solo piangere.

Le vittime di uno stato di cose profondamente iniquo e violento, interpellano soprattutto quelle coscienze e quegli organismi e istituzioni che lo tollerano o lo alimentano”.

Molte domande a cui la fede cerca di dare spiegazione: “Non è una parola che si aggiunga dall’esterno al modo di una retorica consolazione, ma una parola che in qualche modo è scritta nelle cose, nei fatti, proprio in ciò che è accaduto. Infatti, il senso cristiano di ciò che è accaduto non va cercato lontano, ma proprio nel gesto compiuto da Vittorio e da quelli che sono stati vittime della violenza omicida insieme a lui.

Egli era lì a svolgere un servizio mirato alla sicurezza di chi operava a favore del dialogo tra le nazioni, di iniziative umanitarie di organizzazioni e uomini dedicati a cercare la pace e il benessere degli abitanti di quelle regioni dell’Africa.

Proprio nello svolgimento di tale servizio e proprio da parte di quelli a favore dei quali operava, è venuta contro Vittorio la violenza che lo ha portato alla morte.

Non leggiamo in questa vicenda, come in filigrana, quello che è avvenuto a Gesù? Anche lui si spendeva con la parola e i gesti, con tutta la sua persona, per il bene di quelli che poi lo hanno, alla fine, ricambiato mettendolo in croce”.

E la vita del carabiniere ucciso richiama al senso cristiano della vita:  “Viviamo veramente (ci dice Gesù, e ora anche Vittorio) non se pensiamo solo a noi stessi, ma se impariamo ad aiutarci gli uni gli altri, a metterci al servizio gli uni degli altri, a capire che dedicarsi al bene degli altri è la fonte del bene e della gioia più grandi che possiamo cercare nella vita”.

La morte del carabiniere afferma una realtà che spinge al bene: “E il bene che porta è il movimento di giustizia e di cambiamento che quel che è avvenuto produrrà nel paese africano in cui la tragedia si è consumata; è il movimento di ammirazione e di imitazione che il gesto di Vittorio e dei suoi compagni suscita in tutti noi, desiderosi, sì di giustizia e di verità, ma ora con lui desiderosi anche di rendere più splendente il suo esempio e la sua memoria con una vita di servizio e di dedizione agli altri, che solamente dà senso e pienezza anche alla nostra vita.

Tutto questo non ci restituirà Vittorio, ma forse ce lo ridarà in modo diverso e nuovo, quel modo che la fede ci fa conoscere e affida, insegnandoci a leggere nel visibile, e oltre esso, la realtà vera che facciamo fatica a riconoscere, ma che non è altrove o lontano, bensì è dentro ciò che vediamo e viviamo, perché è ciò che a tutto conferisce consistenza e verità”.

L’omelia si conclude con una riflessione sulle letture della liturgia: “In questo modo le parole della Scrittura che sono risuonate attraverso le pagine di Paolo e del vangelo di Giovanni prendono una forza fino ad ora non immaginata, perché parlando di risurrezione e di vita nuova, e annunciando la promessa di Gesù di essere dove lui è, ci dicono che la nostra appartenenza alla vita di Gesù risorto comincia già ora e attende di compiersi a misura della nostra corrispondenza, che lo abbraccia come via, verità e vita; il suo dono, infatti, è illimitato e incondizionato, dal momento che il Risorto non vuole altro che darci la sua vita e farci vivere di lui e con lui”.

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