Il Vangelo al centro. L’altra prolusione

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L’annuncio del Vangelo è al centro, più che mai, della prolusione di Angelo Bagnasco al Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana. Un annuncio reiterato e continuo, ribadito in ogni paragrafo della prolusione –  come di consueto a tutto campo. Ci sono, ovviamente, anche i segnali al mondo della politica, e non potrebbe essere altrimenti, specialmente in clima pre-elettorale. Ma non ci sono esplicite indicazioni di voto. C’è, piuttosto, il riferimento al problema antropologico. Perché la crisi di oggi è la crisi dell’uomo e “la madre di tutte le crisi è l’individualismo”. Un individualismo che va combattuto dando nuova linfa alle parrocchie. E da lì, dall’insegnamento del Vangelo, che può nascere una generazione nuova. Una generazione che non sia affetta dall’ “ignoranza pratica” verso la fede, denunciata – riprendendo le parole del Papa – dal cardinal Bagnasco. E che sappia riscoprire la gioia della fede.

 

Una gioia che i cristiani sono chiamati a vivere anche oggi, nonostante la crisi. Bagnasco parte dalla situazione internazionale: ci sono i nazionalismi razziali emersi in Asia nonostante “gli occhi distratti” di un Occidente che “proclama i diritti umani, ma poi sembra volerli applicare ed esigere con pesi e misure diverse”; ci sono le “frontiere incresciose” di Nigeria, Kenya, Repubblica Democratica del Congo, Mali, dove il cristianesimo viene fatto coincidere con il mondo occidentale. Eppure – dice Bagnasco – ovunque ci sono i cristiani, questi aiutano le popolazioni, anche da soli. Non basta, però. I cristiani sono costretti spesso a fuggire “per non abiurare la fede”. Sono centomila – cita Bagnasco – i cristiani di varie confessioni uccisi nel 2012, “una cifra spaventosa”. Ma – aggiunge il numero 1 dei vescovi italiani – in maniera misteriosa è proprio la testimonianza dei martiri che “dà verità e vigore al lavoro pastorale”. “Se le nostre parrocchie tenessero viva, anzi alimentassero, una sistematica memoria dei fratelli che nel mondo sono perseguitati, anche la locale vitalità della fede ne sarebbe rimotivata”.

C’è bisogno di solidarietà. Bagnasco cita il problema della fame nel mondo, parla – seguendo l’insegnamento di Benedetto XVI – della formula delle cooperative per combattere la fame, parla addirittura di una “incomprensione” riguardo l’economia sociale di mercato “proprio da noi, che storicamente siamo stati tra i primi a sperimentarla e abbiamo così tante ragioni concrete per stimarla”. E’ un segnale al cosiddetto cattolicesimo liberale?

Perché i problemi affrontati sono molti: crescono i poveri, gli “schemi sociali classici sono saltati e non si ripristineranno automaticamente” e si deve mettere in discussione il sistema, “rivoluzionare il modello grazie al supporto di un pensiero nuovo”. Ribadisce, Bagnasco, il concetto di bene “prioritario” del lavoro – delineato da Benedetto XVI nel discorso alla Plenaria del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, sottolinea che non si può licenziare indiscriminatamente. “Il capitale umano viene per primo messo in discussione quando un industria è in sofferenza – sottolinea Bagnasco – Se è approdata ad alti livelli è grazie al lavoro e all’apporto delle diverse maestranze, ed è ingiusto che queste per prime vengano messe alla porta”. Bagnasco chiede anche più stato sociale, e meno tagli al settore sanità, perché è giusto da una parte “condannare gli imbrogli, i maneggi, le astuzie”, ma “chiediamo che la politica dei tagli sia compensata e guidata dal criterio che al centro vi sia sempre la persona del paziente”.

Ma qual è il contributo che possono dare le parrocchie? Devono avere – dice il presidente della Cei – un “profilo più missionario”, nonostante la mancanza di vocazioni, che anzi deve portare a sostenere ancora di più “i presidi pastorali”, di tenerli “ancor più aperti, attenti e prossimi alle persone”. È anche così che si fa nuova evangelizzazione. E il lavoro sul territorio si deve accompagnare ad una pastorale degli ambienti, che riguardi anche “iniziative sovra parrocchiali” come i pellegrinaggi e le Gmg, e che abbia come centro l’Eucarestia. Le parrocchie devono insomma tornare a parlare al cuore. “Cercando di arrestare ogni processo di involontaria auto-secolarizzazione – afferma Bagnasco – le nostre comunità devono rispondere alla nostalgia di Dio, senza porre in alternativa ciò che è essenziale con il clima necessario alla piet, al senso di stupore, all’interiorizzazione”.

Cosa è successo allora alla società? L’Italia ha retto – dice Bagnasco – grazie alla famiglia, il Paese ha “tenuto duro”, ma ora c’è bisogno di moralità in politica, perché “non c’è un rigore istituzionale degno di questo nome se non ci sono formazioni politiche che lo assumono su di sé”. La linea di Bagnasco è quella di una nuova formazione, e magari anche di una nuova politica. Ma per questa ci vorrà tempo. Nel frattempo, il presule invita ad andare a votare, punta il dito contro l’opportunismo dei partiti che solo in campagna elettorale si ricordano di essere “professionisti”, chiede programmi espliciti e una vera lotta alla corruzione.

La svolta morale parte dall’essere umano. “La biopolitica – dice Bagnasco – è oramai una frontiera immancabile di qualsiasi programma”. I grandi temi della vita, della salute, degli stati vegetativi, dell’eutanasia, della fecondazione assistita e dell’aborto devono essere al centro dell’agenda dei cristiani. “Quanti aborti e quante tentazioni eutanasiche si verificano a motivo del primato economicista?”, chiede Bagnasco. Il quale non vuole che il dibattito si depotenzi, sottolinea che non si risolve tutto concedendo l’obiezione di coscienza, afferma che si deve decidere quale è il modello di Stato, se questo è una comunità o solo “un agglomerato di interessi o istanze particolari”. Ci vuole un progetto di bene comune, e questo progetto parte dall’uomo.

Per questo, i cosiddetti valori irrinunciabili non sono divisivi, a differenza di quelli sociali che sarebbero unitivi. “In realtà – spiega Bagnasco – i valori sociali dei quali abbiamo parlato e che la Chiesa riconosce e pratica fin dal suo nascere stanno in piedi se a monte c’è il rispetto della dignità inviolabile della persona”. E come fare con l’Europa evoluta, per entrare nella quale si chiede di discostarsi in qualche modo Dai diritti irrinunciabili? Risponde con una domanda, Bagnasco: “L’evoluzione e il progresso consistono nel negare i valori umani? Perché si dovrebbe contenere l’Europa quando avanza ad esempio pretese esigenti sul fronte delle regole del lavoro e assecondarla quando vorrebbe decidere dell’equilibrio essenziale della nostra umana esperienza?”

Il problema viene dalla “madre di tutte le crisi”, l’individualismo che porta a considerare “tutto moralmente equivalente”, un tarlo che sta “”modificando gli assetti dell’orientamento comune e delle passi sociali”, che porta a “una sorta di moderno delirio di onnipotenza che nella storia umana è stato più volte sperimentato”. Bagnasco punta il dito contro questa “distorsione del desiderio di libertà”, afferma che da qui viene “l’incapacità di legami veri”, considera ovvio che questo abbia una ricaduta pesante sull’esperienza familiare. difende la famiglia tradizionale, il nucleo su cui il Paese ha resistito in tempi di crisi, che non può essere ridotta all’espressione qualunquistica “dove c’è amore c’è famiglia”. E sottolinea che “la famiglia precede lo Stato”, che “le differenze sessuali si richiamano vicendevolmente in vista di un mutuo completamento nel segno dell’amore che è accoglienza e dono”, e ricorda che “il diritto del bambino (non al bambino) viene prima di ogni desiderio individuale”.

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