Sant’ Agostino e la Chiesa ortodossa

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Il volume viene presentato oggi pomeriggio 18 gennaio, alle 17.00 all’Antonianum. Tra gli interventi, quello di monsignor Ioannis Spiteris, cappuccino, vescovo di Corfù e vicario apostolico di Salonicco, iniziatore 20 anni fa dei Simposi, in un momento storico – l’inizio degli anni ’90 – in cui il dialogo “ufficiale” tra le Chiese era problematico. Un altro forte sostenitore di tale iniziativa è stato monsignor Eleuterio Fortino, cattolico di rito greco, archimandrita dell’eparchia di Lungro degli italo-albanesi, e anima storica dell’ecumenismo, per oltre 20 anni sottosegretario del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità tra i cristiani. È la prima volta dopo anni, che riprende la pubblicazione in lingua greca degli atti, fortemente voluta dagli ortodossi.

 

E ci sono progetti anche per la pubblicazione in lingua serba e rumena. Segno delle novità emerse nel corso dei colloqui e del successo di un dialogo cattolico-ortodosso il cui approccio è prettamente accademico, per favorire la reciproca conoscenza, senza ambiguità e mai interferendo con il livello ufficiale del rapporto tra le due Chiese, come spiega padre Paolo Martinelli, preside dell’istituto francescano di spiritualità, che introdurrà i lavori: “la maggior parte dei problemi sono dovuti proprio al fatto che non ci si conosce”. L’approccio è dunque “di tipo teologico-spirituale anziché dogmatico o dottrinale”. Negli ultimi anni, in particolare, si è deciso di concentrare l’attenzione sui padri della Chiesa, in quanto parte di un comune patrimonio. Nel 2007, in occasione dei 1600 anni dalla morte, si è focalizzata l’attenzione su san Giovanni Crisostomo, padre “orientale”, quindi si è deciso di affrontare sant’Agostino, padre “occidentale” e controverso per diverse correnti dell’ortodossia. Si è potuta così approfondire la conoscenza della teologia di Agostino, ad esempio sul concetto di peccato originale, la cui deriva nel pessimismo è dovuta piuttosto alle correnti dell’agostinismo, mentre il vescovo di Ippona “evidenzia che l’uomo è segnato, ferito” dal peccato originale, ma “non che l’umanità è distrutta” da esso spiega il nostro interlocutore.

Lo stesso – anche se il tema è molto più complesso – dicasi del “filioque” di cui Agostino tratta nel “De Trinitate”, con cui – si è spiegato da parte cattolica – “non si toglie nulla al primato della paternità di Dio”, punto su cui l’Ortodossia e tutto l’oriente cristiano sono molto rigorosi, e che nella teologia ortodossa viene sottolineato proprio nell’assenza di tale locuzione. Sul “filioque”: L’espressione è stata aggiunta al testo del Credo niceno-costantinopolitano nella parte relativa allo Spirito Santo, che dunque è diventata: “qui ex patre (filioque) procedit”, cioè “che procede dal Padre (e dal Figlio)”. Tale espressione fu ufficializzata solo dal II Concilio di Lione del 1274, con il consenso della Chiesa ortodossa, nell’ottica di una ricomposizione, affermandosi tra l’altro in modo non uniforme nell’occidente cristiano.

Essa in realtà era diffusa sin dalla fine del VI secolo, introdotta in tempi di lotta all’arianesimo (dottrina eretica che negava la divinità del Figlio). Le due versioni del Credo sono dunque coesistite per diversi secoli, attraversando alterne vicende (a sfondo religioso e politico), ma allontanandosi sempre di più nelle due tradizioni, con tanto di scomunica del patriarca di Costantinopoli Fozio, alla fine del secolo IX.

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