Inverno demografico dell’Italia. La glaciazione della fertilità: poche nascite e tanti aborti. Dire sì alla vita: compimento di una libertà che può cambiare la storia

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Ritorniamo oggi – con un articolo dell’amico e collega Renato Farina sul quotidiano Libero oggi in edicola – sull’argomento dell’inverno demografico in Italia: “Dal 1978 interrotte circa 6 milioni di gravidanze. Se con si ricomincia a fare bambini, gli italiani scompariranno in pochi decenni. È un imperativo sociale evitare l’aborto, così come promuovere e incentivare il mettere su famiglia e il procreare bambini e bambine. Occorre trattare il problema della fertilità come quello della vaccinazione. Ne va la vita non solo dei singoli ma dell’intero popolo in quanto organismo vivente”. Segue la dichiarazione per la 43ma Giornata Nazionale per la Vita di domenica 7 febbraio 2021 del Consiglio Episcopale Permanente della Conferenza Episcopale Italiana.

Lo diciamo da tempo, siamo in guerra e le conseguenze di questa guerra peseranno sul futuro. Oltre alle fra poco 100.000 decessi in più per Covid-19, le mancate nascite sono un vero abisso indecifrabile e un incalcolabile danno umano di cui (quasi) nessuno parla. Il Presidente dell’Istituto Nazionale di Statistica, Giancarlo Blangiardo, in “Primi riscontri e riflessioni sul bilancio demografico del 2020” conferma le anticipazioni determinate dal Covid-19 e dei suoi effetti, diretti e indiretti: impennata dei morti, crollo delle nascite, dimezzamento del numero dei matrimoni. I dati sui primi 10 mesi del 2020.

I dati in breve

Previsti 726.000 morti (più 80.000 circa). Negli ultimi cent’anni si era andati oltre circa un secolo fa (1920) e nel pieno dell’ultimo conflitto mondiale (1942-1944). “Un risultato che, nella storia del nostro Paese – scrive Blangiardo – si era visto unicamente nel 1918, allorché l’epidemia di spagnola, contribuì a determinare circa metà degli 1,3 milioni dei decessi registrati in quel catastrofico anno”.

Previsti meno di 400.0000 nascite (meno 300.000 circa). Non si era mai andati peggio negli oltre 150 anni di unità nazionale. E prosegue la pressione per l’aborto, contro le voci pro vita, contro l’obiezione di coscienza dei medici.

Previsti 85.000 matrimoni (meno 50% circa). “Il calo della nuzialità appare, oltre che intenso – annota ancora Blangiardo – anche assai generalizzato così che, stante la persistente diffusione delle nascite provenienti da coppie coniugate (pari a 2/3 del totale secondo i dati del 2019), sembra legittimo aspettarsi, pressoché ovunque, un fattore aggiuntivo negli scenari di ulteriore caduta della natalità che potrebbero caratterizzare l’immediato futuro”. Nel 47,8% dei casi, i nuovi nati sono anche primogeniti, frutto di una scelta di genitorialità maturata entro un rapporto di coppia stabile. E, considerando che al matrimonio si arriva sempre più tardi, non è troppo difficile ipotizzare che nella maggior parte di quelle famiglie non ci saranno altre nascite. Una previsione che getta un’ombra sulla possibilità di rivedere la primavera dopo l’ormai lunghissimo inverno demografico che stiamo attraversando. Per i matrimoni religiosi (solo il 30% circa del totale) è peggio: un calo del 70% circa.

Ci sono pochi nati e tanti aborti
di Renato Farina
Libero, 8 febbraio 2021


Si alza un grido universale di economisti e sociologi. O l’Italia esce in fretta dal suo Inverno demografico oppure gli italiani scompariranno nel giro di pochi decenni. Gli scienziati lo spiegano molto bene, citano esempi storici di popoli scomparsi, identità sparite, come è capitato nel regno animale nel secolo scorso al dodo, uccello sito in certe isole al largo dell’Africa e sparito nel XVI secolo. Sentiranno la mancanza degli italiani? Non lo so. Mi spiacerebbe però questa consumazione pigra e accettata quietamente della nostra stirpe, patria, colori, sapori della vita e del salame. Non che poi lo Stivale resterebbe deserto, la natura non sopporta il vuoto. Subentrerebbero (stanno già subentrando) moltitudini con altre memorie, bouquet di valori e di vizi.

Da ogni parte viene l’appello a uscire da questa glaciazione della fertilità, che condanna il nostro popolo a sciogliersi nell’acido della tristezza. All’infelicità cioè. La decrescita infatti è sempre infelice. Felicità ha una etimologia che la fa coincidere con fertilità, fecondità, dunque non godimento che si chiude nell’attimo, ma gusto che si protrae nel futuro, germinando tempi nuovi.

L’espressione «inverno demografico», introdotta dall’Università Cattolica di Lovanio da padre Michel Schooyans, e passata a formula universale, è stata riproposta ieri da papa Francesco. La cosa interessante è che, con un accostamento sorprendente, e culturalmente interessante, l’ha messa in relazione all’aborto. Non che ne sia la causa unica e assoluta, ma dà una mano a questo inverno, abbassa la temperatura della vita.

Ha detto Bergoglio all’Angelus: «Oggi si celebra in Italia la Giornata per la Vita, sul tema “Libertà e vita”. Mi unisco ai Vescovi italiani nel ricordare che la libertà è il grande dono che Dio ci ha dato per ricercare e raggiungere il bene proprio e degli altri, a partire dal bene primario della vita. La nostra società va aiutata a guarire da tutti gli attentati alla vita, perché sia tutelata in ogni sua fase. E mi permetto di aggiungere una mia preoccupazione: l’inverno demografico italiano. In Italia le nascite sono calate e il futuro è in pericolo. Prendiamo questa preoccupazione e cerchiamo di fare in modo che questo inverno demografico finisca e fiorisca una nuova primavera di bambini e bambine». Francesco non pronuncia quasi mai il termine aborto. Ma ha parlato molto chiaro sul tema nell’intervista concessa al Tg5 lo scorso 10 gennaio. Disse: «È giusto cancellare una vita umana per risolvere un problema, qualsiasi problema? No, non è giusto. È giusto affittare un sicario per risolvere un problema? Uno che uccida la vita umana? Questo è il problema dell’aborto. Scientificamente e umanamente».

Dovere morale

Tutti sottolinearono di quell’intervista il dovere morale di vaccinarsi per preservare la salute del prossimo. Ma nessuno che riferì quel giudizio sulla pratica legale o meno che sia dell’aborto. Nemmeno i media vaticani, facendo per questo molto arrabbiare il Papa che diede una spazzolata ai censori che si era trovata in casa.

Noi qui ci limitiamo a una constatazione. Dal 1978 ad oggi i bambini non nati a cui sono state frantumate le ginocchia e la testa da attrezzature di Stato e con pratiche perfettamente legali sono stati circa sei milioni e centomila (6.100.000). Noi qui lasciamo perdere la questione morale. Ne poniamo una pratica. Se vogliamo una nuova primavera in Italia, è il caso che non si facciano più aborti, li si scoraggi in ogni modo. Perché non ci pensa nessuno? Sarebbe così semplice. Oggi è un tabù dirlo, persino sollevare il tema.

E se in una Regione, ad esempio le Marche, oggi una legittima maggioranza prova a favorire la maternità e rendere più stretta la strada della soppressione di un bimbo non ancora nato, ecco che si solleva un cancan tremendo. E se un’associazione prova a ricordare che «scientificamente e umanamente» (Bergoglio dixit) l’aborto è usare un sicario per ammazzare un bambino, e appende manifesti dove mostra cosa accade alla creaturina quando la si frantuma mentre succhia il suo pollice, si parla addirittura di terrorismo.

Soluzioni urgenti

È un imperativo sociale evitare l’aborto, così come promuovere e incentivare il mettere su famiglia e il procreare bambini e bambine. Il Recovery plan, come ha chiesto espressamente Giorgia Meloni nell’incontro con Mario Draghi, esige soluzioni fortissime per evitare la nostra sparizione come popolo. Meno aborti e più asili nido a carico dello Stato, contributi per gli affitti e aiuti a fondo perduto per l’acquisto della prima casa, sostegno cospicuo a quell’investimento sociale che è metter al mondo e tirar su un figlio, due figli, tre figli. Conviene. Dà un rendimento a lunga gittata mille volte più potente e vitale dell’incentivo per i monopattini. Ma sì. Culle e passeggini semoventi e gratuiti, invece di banchi a rotelle partoriti dal sadismo grillino.

Occorre trattare il problema della fertilità come quello della vaccinazione. Ne va la vita non solo dei singoli ma dell’intero popolo in quanto organismo vivente.

Nel 1965 gli italiani misero al mondo più di un milione di bebè, nel 2008 576mila. L’Istat, in attesa di dati definitivi, ipotizza che i neonati del 2020 siano stati meno di 400mila. Di cui 62 mila scodellati da madri immigrate (anch’esse sempre meno prolifiche). Si pensa siano tra i 75mila e gli 80 mila gli aborti: oltre che un delitto è un lusso che non ci possiamo permettere.
Insomma le previsioni degli scienziati dicono che se l’Italia insisterà a vivere in un inverno demografico andrà incontro al disastro economico e sociale. Non pare ci si avvicini alla primavera. Una specie di suicidio. Qualcosa di contro natura ma che non suscita l’indignazione degli amici della natura alla Greta Thunberg. Gli animalisti si mobilitano – e hanno ragione! – per lo sterminio dei pettirossi, ma non tollerano che altri si oppongano pubblicamente allo scarto=strage di bambini non nati. Nel settore delle cicogne gli italiani non sono animalisti: non arrivano più.

43ma Giornata Nazionale per la Vita sul tema “Libertà e vita”
Domenica 7 febbraio 2021


La pandemia ci ha fatto sperimentare in maniera inattesa e drammatica la limitazione delle libertà personali e comunitarie, portandoci a riflettere sul senso profondo della libertà in rapporto alla vita di tutti: bambini e anziani, giovani e adulti, nascituri e persone in fin di vita. Nelle settimane di forzato lockdown quante privazioni abbiamo sofferto, specie in termini di rapporti sociali! Nel contempo, quanta reciprocità abbiamo respirato, a riprova che la tutela della salute richiede l’impegno e la partecipazione di ciascuno; quanta cultura della prossimità, quanta vita donata per far fronte comune all’emergenza!

Qual è il senso della libertà? Qual è il suo significato sociale, politico e religioso? Si è liberi in partenza o lo si diventa con scelte che costruiscono legami liberi e responsabili tra persone? Con la libertà che Dio ci ha donato, quale società vogliamo costruire?

Sono domande che in certe stagioni della vita interpellano ognuno di noi, mentre torna alla mente il messaggio chiaro del Vangelo: “Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8,31-32). I discepoli di Gesù sanno che la libertà si può perdere, fino a trasformarsi in catene: “Cristo ci ha liberati – afferma san Paolo – perché restassimo liberi; state saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù” (Gal 5,1).

Una libertà a servizio della vita

La Giornata per la Vita 2021 vuol essere un’occasione preziosa per sensibilizzare tutti al valore dell’autentica libertà, nella prospettiva di un suo esercizio a servizio della vita: la libertà non è il fine, ma lo “strumento” per raggiungere il bene proprio e degli altri, un bene strettamente interconnesso.

A ben pensarci, la vera questione umana non è la libertà, ma l’uso di essa. La libertà può distruggere se stessa: si può perdere! Una cultura pervasa di diritti individuali assolutizzati rende ciechi e deforma la percezione della realtà, genera egoismi e derive abortive ed eutanasiche, interventi indiscriminati sul corpo umano, sui rapporti sociali e sull’ambiente. Del resto, la libertà del singolo che si ripiega su di sé diventa chiusura e violenza nei confronti dell’altro. Un uso individualistico della libertà porta, infatti, a strumentalizzare e a rompere le relazioni, distrugge la “casa comune”, rende insostenibile la vita, costruisce case in cui non c’è spazio per la vita nascente, moltiplica solitudini in dimore abitate sempre più da animali ma non da persone. Papa Francesco ci ricorda che l’amore è la vera libertà perché distacca dal possesso, ricostruisce le relazioni, sa accogliere e valorizzare il prossimo, trasforma in dono gioioso ogni fatica e rende capaci di comunione (cfr. Udienza 12 settembre 2018).

Responsabilità e felicità

Il binomio “libertà e vita” è inscindibile. Costituisce un’alleanza feconda e lieta, che Dio ha impresso nell’animo umano per consentirgli di essere davvero felice. Senza il dono della libertà l’umanità non sarebbe se stessa, né potrebbe dirsi autenticamente legata a Colui che l’ha creata; senza il dono della vita non avremmo la possibilità di lasciare una traccia di bellezza in questo mondo, di cambiare l’esistente, di migliorare la situazione in cui si nasce e cresce. L’asse che unisce la libertà e la vita è la responsabilità. Essa è la misura, anzi il laboratorio che fonde insieme le virtù della giustizia e della prudenza, della fortezza e della temperanza. La responsabilità è disponibilità all’altro e alla speranza, è apertura all’Altro e alla felicità. Responsabilità significa andare oltre la propria libertà per accogliere nel proprio orizzonte la vita di altre persone. Senza responsabilità, libertà e vita sono destinate a entrare in conflitto tra loro; rimangono, comunque, incapaci di esprimersi pienamente.

Dire “sì” alla vita è il compimento di una libertà che può cambiare la storia. Ogni uomo merita di nascere e di esistere. Ogni essere umano possiede, fin dal concepimento, un potenziale di bene e di bello che aspetta di essere espresso e trasformato in atto concreto; un potenziale unico e irripetibile, non cedibile. Solo considerando la “persona” come “fine ultimo” sarà possibile rigenerare l’orizzonte sociale ed economico, politico e culturale, antropologico, educativo e mediale. L’esercizio pieno della libertà richiede la Verità: se desideriamo servire la vita con vera libertà occorre che i cristiani e tutti gli uomini di buona volontà s’impegnino a conoscere e far conoscere la Verità che sola ci rende liberi veramente. Così potremo accogliere con gioia “ogni vita umana, unica e irripetibile, che vale per se stessa, costituisce un valore inestimabile (Papa Francesco, 25 marzo 2020, a 25 anni dall’Evangelium vitae). Gli uomini e le donne veramente liberi fanno proprio l’invito del Magistero: “Rispetta, difendi, ama e servi la vita, ogni vita, ogni vita umana! Solo su questa strada troverai giustizia, sviluppo, libertà, pace e felicità!”.

Roma, 23 settembre 2020
Il Consiglio Episcopale Permanente della Conferenza Episcopale Italiana

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