I cristiani pregano per la loro unità ed il dialogo con gli ebrei

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Dal 18 al 25 gennaio si celebra la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani proponendo una riflessione sul testo biblico di Michea, nella ricorrenza del Concilio Vaticano II: “Quale offerta porteremo al Signore, al Dio Altissimo, quando andremo ad adorarlo? Gli offriremo in sacrificio vitelli, di un anno? Gradirà il Signore migliaia di montoni e torrenti di olio? Gli daremo in sacrificio i nostri figli, i nostri primogeniti per ricevere il perdono dei nostri peccati? In realtà il Signore ha insegnato agli uomini quel che è bene, quel che esige da noi: praticare la giustizia, ricercare la bontà e vivere con umiltà davanti al nostro Dio”. Mentre il giorno precedente, 17 gennaio, si celebra la giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei, incentrata sulla settima Parola: ‘Non commettere adulterio’: “Nella sua visita alla Sinagoga di Roma Benedetto XVI, ha voluto sottolineare in maniera ancora più chiara quanto aveva già affermato nella sinagoga di Colonia sulla comune responsabilità che gli ebrei e i cristiani hanno di fronte alle ‘Dieci parole’…  In questa prospettiva, sono vari i campi di collaborazione e di testimonianza che si aprono davanti a ebrei e cristiani, uniti da comuni aspirazioni”.

 

 

Nell’invitare i cristiani a riunirsi nella preghiera il presidente della Commissione Episcopale per l’Ecumenismo e il Dialogo della CEI, mons. Mansueto Bianchi, il presidente della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, pastore Massimo Aquilante, ed il metropolita Gennadios, arcivescovo ortodosso d’Italia e di Malta ed esarca per l’Europa Meridionale, hanno spiegato la scelta: “Il libro del profeta Michea esorta il popolo a camminare in pellegrinaggio: ‘Saliamo sulla montagna del Signore, ed Egli ci insegnerà quel che dobbiamo fare e noi impareremo come comportarci’. Di grande rilievo, dunque, è la sua chiamata: ‘camminare in questo pellegrinaggio, a condividere nella giustizia e nella pace, ove troviamo la vera salvezza’. E’ verità indiscutibile che la giustizia e la pace, costituiscono una forte e salda alleanza fra Dio e l’umanità, attraverso cui si crea una società costruita sulla dignità, sull’uguaglianza, sulla fraternità e sul reciproco ‘svuotamento’ (kenosis) delle passioni. E’ poi incontestabile che la vera fede in Dio è inseparabile dalla santità personale, come anche dalla ricerca della giustizia sociale”.

Il richiamo al profeta Michea è estremamente attuale, perché affronta il problema dell’oppressione, negando i diritti dei poveri, temi che saranno trattati dalla X Assemblea generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese, in programma a Busan, nella Corea del Sud: “In modo simile, oggi, il sistema delle caste, con il razzismo e il nazionalismo, pone severe sfide alla pace dei popoli, e in tanti paesi; altre caste, con diversi nomi, negano l’importanza del dialogo e della conversazione, la libertà nel parlare e nell’ascoltare. A motivo di questo sistema delle caste, i Dalits, nella cultura indiana, ‘sono socialmente emarginati, politicamente sotto-rappresentati, sfruttati economicamente e soggiogati culturalmente’… Con chiarezza il profeta Michea mette in evidenza, da una parte, il rigetto dei rituali e dei sacrifici impoveriti dalla mancanza del senso della misericordia, dell’umiltà e della giustizia, e dall’altra dimostra l’aspettativa di Dio che la giustizia debba essere al cuore della nostra religione e dei nostri riti”. Infine, richiamando i pensieri di papa Benedetto XVI  e del Patriarca Ecumenico Bartolomeo I, è sottolineata l’importanza della preghiera: “Camminare umilmente con Dio significa anzitutto camminare nella radicalità della Fede, come il nostro padre Abramo, camminare in solidarietà con coloro che lottano per la giustizia e la pace, e condividere la sofferenza di tutti, attraverso l’attenzione, la cura e il sostegno verso i bisognosi, i poveri e gli emarginati. Infatti, camminare con Dio significa camminare oltre le barriere, oltre l’odio, il razzismo e il nazionalismo che dividono e danneggiano i membri della Chiesa di Cristo”.

E nella lettera di presentazione della giornata di dialogo tra cattolici ed ebrei, il presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo ed il dialogo, mons. Mansueto Bianchi, ed il rav Elia Enrico Richetti, presidente dell’Assemblea dei Rabbini d’Italia sottolineano il significato del Decalogo: “Nel nostro mondo molti non conoscono Dio o lo ritengono superfluo, senza rilevanza per la vita; sono stati fabbricati così altri e nuovi dèi a cui l’uomo si inchina. Risvegliare nella nostra società l’apertura alla dimensione trascendente, testimoniare l’unico Dio è un servizio prezioso che Ebrei e Cristiani possono offrire assieme. Le ‘Dieci Parole’ chiedono di conservare e promuovere la santità della famiglia nella quale si realizza la santificazione delle rispettive identità sessuali, in cui il ‘sì’ personale e reciproco, fedele e definitivo dell’uomo e della donna, uniti nel vincolo sponsale, ‘dischiude lo spazio per il futuro, per l’autentica umanità di ciascuno, e si apre, al tempo stesso, al dono di una nuova vita.

Testimoniare che la famiglia continua ad essere la cellula essenziale della società e il contesto di base in cui si imparano e si esercitano le virtù umane è un prezioso servizio da offrire per la costruzione di un mondo dal volto più umano’…  Non farai adulterio (Es 20, 14), nella sua concisione, esprime il progetto di Dio per i suoi figli e figlie, chiamati a vivere nella santità della vita coniugale resa sacra dall’Eterno”.

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