SARS-CoV-2. Divulgazione scientifica – Parte 21: Comunicazione sanitaria è come infilare aghi semantici. La semiotica dietro il brand del vaccino anti-Covid-19 Pfizer/BioNTech

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Il vaccino di Pfizer/BioNTech dal nome comune COVID-19 mRNA vaccine (nucleoside-modified), durante il periodo di sviluppo e test clinici era chiamato con il nome di codice BNT162b2. Il suo International Nonproprietary Name (INN) o nome generico è tozinameran, la sequenza di nucleoside-modified mRNA (modRNA) che è l’ingrediente attivo (oltre alla molecola di mRNA, il vaccino contiene diversi ingredienti inattivi o eccipienti) e il brand name o marchio commerciale è Comirnaty, con cui viene venduto, in unascatola con il nome Pfizer‑BioNTech COVID‑19 Vaccine.

La società tedesca BioNTech è lo sviluppatore iniziale del vaccino e ha collaborato con la società statunitense Pfizer per la logistica, le finanze, la supervisione dei test clinici e per la produzione in tutto il mondo (ad eccezione della Cina, dove la licenza di distribuzione e produzione è stata acquistata da Fosun , accanto al suo investimento in BioNTech). La distribuzione in Germania e Turchia è della stessa BioNTech. Pfizer ha accordi di acquisto avanzati di circa 3 miliardi di dollari per la fornitura di un vaccino autorizzato negli Stati Uniti, nell’Unione Europea, nel Regno Unito, in Giappone, Canada, Perù e Messico).

Pfizer produce il vaccino nelle proprie strutture in un processo a tre fasi.

La prima fase è condotta in un piccolo impianto pilota a St. Louis, è svolta alla clonazione molecolare di plasmidi di DNA che codificano per la proteina spike infondendoli nei batteri Escherichia coli. Dopo quattro giorni di crescita, i batteri vengono uccisi e rotti e il contenuto delle loro cellule viene purificato in una settimana e mezza per recuperare il prodotto di DNA desiderato. Il DNA viene conservato in minuscole bottiglie e congelato per la spedizione. Il trasporto sicuro e rapido del DNA in questa fase è così importante che Pfizer ha utilizzato il proprio jet ed elicottero dell’azienda per fornire assistenza.

La seconda fase è condotta negli stabilimenti di Andover negli Stati Uniti e in Germania. Il DNA viene utilizzato come stampo per costruire i filamenti di mRNA desiderati. Una volta che l’mRNA è stato creato e purificato, viene congelato in sacchetti di plastica delle dimensioni di una grande borsa della spesa, ciascuna delle quali può contenere da 5 a 10 milioni di dosi. I sacchi vengono posti su apposite scaffalature su camion che li portano allo stabilimento successivo.

La terza fase è condotta negli stabilimenti di Kalamazoo negli Stati Uniti e di Puurs in Belgio. Questa fase prevede: la combinazione dell’mRNA con nanoparticelle lipidiche (forniti dalla controllata di Croda International Avanti Polar Lipids), a partire da novembre 2020 il principale collo di bottiglia nel processo di produzione; il riempimento di fiale; l’inscatolamento; il congelamento.

Perché il marchio commerciale del vaccino anti Covid-19 di Pfizer/BioNTech, il primo ad entrare in commercio nei Paesi occidentali, si chiama Comirnaty?

Il brand mescola insieme i concetti di COVID-19, mRNA, communità e immunità, praticamente tutto ciò che ha a che vedere con la sua essenza e il suo utilizzo. Ma come hanno fatto questi concetti a diventare un marchio?

La testata Fierce Pharma lo ha chiesto al Brand Institute, l’agenzia specializzata che ha creato il nome commerciale Comirnaty (e quello generico tozinameran).

“Il nome è coniato dall’immunità (imunity) Covid-19, e poi incorpora al centro il concetto di mRNA, che è la tecnologia della piattaforma e nel complesso vuole evocare anche la parola comunità (comunity)”, ha detto Scott Piergrossi, a capo della comunicazione del Brand Institute.

L’obiettivo nel dare un nome ai farmaci è quello di sovrapporre idee e stratificare il significato in un nome. In questo caso, i concetti ad alta priorità con cui i team dell’agenzia hanno iniziato a lavorare sono stati l’immunizzazione COVID e la tecnologia mRNA. I clienti stessi hanno puntato l’accento sulla parola comunità come immagine e associazione che volevano suscitare, ha detto Piergrossi.

Dare un nome a un farmaco e a un vaccino è quasi sempre una questione di infilare aghi semantici, dicono gli esperti di branding, dove l’obiettivo è quello di evocare vibrazioni positive senza infastidire gli enti normativi internazionali, sempre più conservatori. E ci vuole tempo.

Il processo di dare un nome a una nuova medicina richiede tipicamente circa due anni di lavoro semiotico. Ma nel 2020, proprio quando le aziende farmaceutiche hanno fatto crollare i loro tempi standard di sviluppo per combattere una pandemia globale, il battesimo è stato condensato in uno sprint di sei mesi, ha spiegato Piergrossi.

Gli esperti di marketing coinvolti nella denominazione dei precedenti vaccini dicono che un buon nome potrebbe suggerire una scienza all’avanguardia, ma è meglio non implicare che il prodotto sia così nuovo da essere rischioso. Dovrebbe essere rassicurante, ma non eccessivamente promozionale; accessibile, ma distinto da qualsiasi altro prodotto approvato. È un target ristretto da colpire.

“C’è molta creatività nel cercare di generare un nome che non solo soddisfi i requisiti della Food and Drug Administration (FDA) statunitense, ma che abbia anche un appeal emozionale o addirittura razionale per l’utente finale”, spiega Mike Pile, Presidente e Direttore creativo di Uppercase Branding, un’azienda la cui clientela comprende molte aziende farmaceutiche. “Si cerca di rendere il nome il più amichevoli possibile. Volete fare tutto il possibile per evitare di mettere un punto interrogativo tra voi e il vostro consumatore”.

I vaccini, tra i pochi prodotti medici proposti a persone completamente sane, hanno forse la più ampia apertura commerciale, ha detto Pile, presentando una sfida in più quando si tratta di branding.

Questo significa che dare un nome ad un vaccino comporta un rischio maggiore di ribasso rispetto al potenziale di rialzo, ha detto Heidi Tworek, professoressa dell’Università della British Columbia che studia la comunicazione sanitaria. Un marchio eccellente potrebbe avere, nella migliore delle ipotesi, un effetto marginale nel convincere qualcuno a farsi vaccinare, ma uno profondamente scoraggiante potrebbe allontanare uno scettico dal vaccinarsi, spiega l’esperta.

“Come troverai un nome che ti dica a cosa serve, che sia facile da pronunciare, che sia semplice quando lo leggi e che aiuti le persone che magari sono anche esitanti al vaccino?  – Spiega Tworek. – La tendenza dell’industria farmaceutica verso il futurismo nominativo, con le sue X, Y e Z, potrebbe essere problematica in un momento di dilagante sfiducia medica. “Volete cercare di prevenire la teoria della cospirazione dei microchip di Bill Gates, e se scegliete un nome che suoni più banale e quotidiano, potreste evitarlo”, ha detto.

Tuttavia, anche dopo tutti i brainstorming, le proiezioni dei marchi e i controlli incrociati in lingue straniere, rimane il potenziale che nulla di tutto questo abbia veramente importanza.

Per Peter Hotez, virologo ed esperto di vaccini del Baylor College of Medicine, i marchi dei vaccini Covid-19 avranno probabilmente uno scarso effetto sulla percezione del pubblico. La gente non richiede quasi mai i vaccini con i loro nomi commerciali, ha detto, chiedendo invece “il vaccino antinfluenzale” o “il vaccino HPV”.

“Non c’è motivo per cui non si possa infilare l’ago e trovare un nome che sia al tempo stesso favorevole al consumatore e che spinga i confini della scienza e della tecnologia”, ha detto Pile. “Questa è la ricerca del Santo Graal, ed è per questo che esistono aziende di branding come la mia”.

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