Quali possibilità abbiamo per opporci all’Apparato di un Impero?

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L’oscuramento di un account da parte di una piattaforma privata probabilmente è più pericoloso per la democrazia rispetto alla eventuale censura da parte di uno Stato, che per esempio censura un organo di informazione. Poiché lo Stato che ti censura può essere denunciato, la piattaforma che ti oscura no, perché la piattaforma ha sue regole che sono solo le sue. Anche antidemocratiche. #RestiamoLiberi

Il cofondatore e Amministratore Delegato di Twitter Jack Dorsey [*] il 13 gennaio scorso ha rotto il silenzio dopo la sospensione dell’account personale del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump. In una serie di tweet ha spiegato di ritenere come il blocco sia stata la decisione più giusta che Twitter potesse prendere. “Non festeggio, né mi sento orgoglioso di aver bandito Donald Trump”, scrive Dorsey, che tuttavia afferma che “quella era la decisione giusta per Twitter. Abbiamo affrontato circostanze senza precedenti e insostenibili, che ci hanno imposto di concentrare tutte le nostre azioni sulla sicurezza pubblica”. Per Dorsey le conseguenze fuori dalla rete di un discorso online sono reali: quello che si dice online può causare danni offline. E per questo ha deciso di agire. Tuttavia, confessa che ritiene che “un blocco sia un fallimento” degli sforzi per “promuovere una sana conversazione”. Riconosce che il social network deve imparare a “guardare in modo critico alle incongruenze delle nostre regole e alla loro applicazione”.

Di seguito proponiamo anche una riflessione su cosa si potrebbe fare per contrastare le censure e i tagli effettuati in questi tempi dai miliardari dei social network. La firma è del filosofo, scrittore e giornalista Marcello Veneziani, ed è pubblicato sul quotidiano La Verità 12 gennaio 2021, il giorno prima delle dichiarazioni di Jack Dorsey. Veneziani metti in chiare che fa un discorso per adulti, non racconta frottele o fiabe per bambini. Per sentire queste c’è solo l’imbarazzo della scelta. Veneziani procede sulla strada della metacognizione, essendo un filosofo, lo fa comunque come un comunicatore.

“Un’azienda che prende una decisione di moderarsi è diversa da un governo che rimuove l’acceso, ma può sembrare simile”, ha spiegato Dorsey mercoledì scorso. Benché ci sia differenza tra un governo che censura un contenuto e una piattaforma privata che lo oscura, osserva Dorsey, bisogna lavorare per costruire un sistema trasparente con delle regole condivise, ma visto che la percezione delle persone di censura e oscuramento è la stessa.

Dorsey riconosce che un social network fa parte della conversazione pubblica in rete e che nel caso specifico, la sospensione degli account del Presidente degli Stati Uniti, intrapresa da molte piattaforme dopo gli eventi a Capitol Hill il 6 gennaio scorso, “frammenta il discorso pubblico”, ha continuato Dorsey, sottolineando che soluzioni estreme come il blocco sono misure che “ci dividono e che limitano il potenziale di chiarimento, redenzione e apprendimento”. L’azione intrapresa “crea un precedente che io reputo pericoloso: il potere che un individuo o un’azienda hanno su una parte della conversazione pubblica globale” e aggiunge: “Il controllo e la responsabilità su quel potere sono sempre stati il fatto che un servizio come Twitter è una piccola parte della più ampia conversazione pubblica che si svolge su Internet. Se le persone non sono d’accordo con le nostre regole e applicazioni, possono semplicemente rivolgersi ad un altro servizio Internet”.

Il cofondatore di Twitter sembrava affrontare la controversia sull’eliminazione di Parker da Apple Store, dalla piattaforma Android di Google e dai servizi di housing AWS di Amazon, perché i contenuti estremisti non erano sufficientemente moderati. Parler ha citato in giudizio Amazon in un tribunale per la questione.

“Questo concetto è stato messo in discussione la scorsa settimana, quando un certo numero di principali fornitori di strumenti Internet ha deciso de non ospitare ciò che ritenevano pericoloso. Non credo che questo sia stato coordinato. Più probabilmente, le aziende sono arrivate alle proprie conclusioni o sono state incoraggiate dalle azioni di altri”, ha scritto Dorsey. Poi, ha persino suggerito che la mossa delle grandi aziende tecnologiche di cacciare Parker sarebbe stata negativa, almeno a lungo termine. “Questo momento potrebbe richiedere questa dinamica, ma a lungo termine distruggerà il nobile scopo e gli ideali di Internet aperto.

“Sì, dobbiamo essere tutti critici nei confronti delle incongruenze delle nostre politiche e applicazioni. Sì, dobbiamo vedere come il nostro servizio può creare distrazioni e danni. Sì, abbiamo bisogno di maggiore trasparenza nei nostri processi di moderazione. Niente di tutto questo può minare un Internet globale libero e aperto”.

«Il CEO di Twitter: “A quanti non piacciono le regole, possono andare altrove”; con un peso e due misure: “nel 2015 ospitava 46mila account pro-Isis con 90mila tweet ispirati a violenza e terrorismo al giorno. Per 1 anno rifiutò di chiuderli nel nome della libertà d’espressione” (Don Salvatore Lazzara – Twitter, 15 gennaio 2021).

«Twitter e Trump si sono beneficiati a vicenda per anni. Silenziare Trump solo quando ha perso il potere, sembra una misura opportunistica volta a marcare tardive distanze per assecondare il mutato clima politico e tutelare lucrosi interessi di autoconservazione» (P.C.).

«… perché i 46.000 account pro-Isis erano utili a chi destabilizza il Medio Oriente per i propri interessi, che sono gli stessi che hanno le “azioni di maggioranza” di Twitter e degli altri “social”» (F.).

«Per quello non oscura nemmeno gli account pedofili nonostante le segnalazioni. Alla faccia dell’integrità morale» (A.C.).

«Piuttosto disgustoso» (A.M.).

«Effettivamente…» (A.F.).

E vogliamo parlare dei messaggi via Messenger (di proprietà di Facebook) e delle richieste di “amicizia” da parte di account sotto mentite spoglie Facebook con proposte di pornografia hard? A getto continuo, che non si fermano nonostante le puntuali segnalazioni per violazione dei “standard della comunity”. E dobbiamo credere che i logaritmi di Zuckerberg non riescono a bloccare messaggi e richieste al nascere? Invece, oscurano e bloccano foto di quadri d’arte con dei nudi. Ma dai!

Media e potere tagliano fuori metà dell’opinione pubblica
Come reagire a censure ed esclusioni?
di Marcello Veneziani
La Verità, 12 gennaio 2021

Mezza Italia, mezza Europa o mezza America si sente oppressa, esclusa, censurata, offesa. Si sente oppressa per le restrizioni che subisce a causa della pandemia, anche se in gran parte ne comprende la necessità, ma non intravede sbocchi, vede precipitare la situazione sociale e reputa folle il modo in cui si abbattono le misure, inefficaci alla prova dei dati e schizofreniche nello psicodramma a colori che stiamo vivendo.

Poi metà dell’opinione pubblica si sente censurata ed esclusa perché vede chiudersi ogni giorno spazi di libertà e di libero pensiero, vede sempre più allineati e conformi gli organi di informazione – che diventano sempre più organi di riproduzione del pensiero unico e organi adatti solo alla minzione; vede che persino strumenti privati e considerati neutrali, come i social media, adottano censure, espulsioni, sospensioni, oscuramenti (l’ultimo, Parler). Sempre e solo da un versante, il nostro.

Infine, metà opinione pubblica si sente offesa perché assimilata alle frange più estreme ed esagitate: chi ha opinioni diverse o difformi viene schiacciato sulle posizioni dei negazionisti, dei no vax, dei fanatici i che hanno invaso il Senato per un quarto d’ora di sovranità e per scattarsi le foto-ricordo. È come se riducessimo le opinioni dem o progressiste alle posizioni estreme degli antifa, dei black lives matter, di chi abbatte statue, degli anarco-insurrezionalisti o dei fanatici eversivi, terroristi o residui del comunismo.

Potremmo chiamarla reductio ad sciamanum, la riduzione di chi non la pensa come il Potere comanda alla figura caricaturale del cosiddetto sciamano (il caso Meloni è esemplare). Sarebbe interessante approfondire e chiedersi: se davvero come dicono i media lo “sciamano” guidava gli insorti di Washington perché ha agito indisturbato e in favore di telecamere, perché non è stato arrestato subito anziché consentirgli di fare quel lungo e assurdo show? Hanno perfino ucciso donne disarmate… Serviva un testimonial così per ridicolizzare chi sostiene Trump? Ma non perdiamoci nella dietrologia, guardiamo avanti.

Questa metà dell’opinione pubblica italo-occidentale (alla quale sentiamo di appartenere) si sente oppressa, censurata, esclusa e offesa e avverte l’impossibilità di cambiare le cose perché il suo voto è sottoposto a una serie di pressioni, ricatti, deviazioni, modificazioni che annullano i verdetti delle urne. E quando riesce a prevalere col voto avverte che è quasi impossibile governare senza subire sanzioni, conventio ad excludendum, empeachment, campagne di allarme e mobilitazione. Ha riguardato Trump, ha riguardato di striscio Salvini al governo, riguardò Berlusconi, riguarda Orban ma anche Johnson e altri leader eletti e rieletti con voto libero e democratico, che mai hanno aperto scenari di guerra o disastri sociali, dittature o persecuzioni, pur continuamente annunciati dal sistema globale. Dall’altra parte il mondo occidentale si inginocchia all’unica gigantesca dittatura che c’è sul pianeta, la Cina comunista…

Ora, bando al vittimismo e alle giaculatorie, cosa resta da fare? Innanzitutto l’autocritica è necessaria, per capire e non ripetere gli errori, per isolare i fanatici che sono ai margini estremi di ogni posizione; e per giudicare le cose con senso critico. Abbiamo sempre detto che Trump alla fine era preferibile ai suoi nemici, e lo confermiamo; ma senza risparmiarci di criticare i suoi errori, le sue colpe, il suo egotismo, le sue esagerazioni e la sua pacchianeria. Lo dicevamo ieri quando era al potere, lo diciamo oggi. Superate il trumpismo.

C’è chi propone di ritirarsi nei propri accampamenti: se i social censurano passiamo a quelli alternativi, dicono i passaparola, adottiamo social alternativi (Telegram, Signal, Rumble o piattaforme come MeWe.com, Parler). Ma sarebbe un’autoghettizzazione magari funzionale allo stesso potere dominante; può valere se si tratta di ristrette aristocrazie ma ha esiti inibitori se si rivolge a tutti e vuol incidere sulle masse. Sarebbe giusto aprire posizioni alternative ma senza escludersi da quelle dominanti (Facebook, Twitter, Instagram, WhatsApp, YouTube); finché è possibile.

C’è chi viceversa ritiene necessaria l’azione diretta, il conflitto aperto: ma l’abisso che si è scavato tra i due schieramenti, e l’assenza o il tradimento di chi dovrebbe essere superpartes o almeno extra partes, porta a una forma di guerra civile fredda, o tiepida. L’odio reciproco ha raggiunto livelli che solo una “guerra” o una rivoluzione può risolvere, in un modo o nell’altro. Ma la violenza è un male in sé, non è un rimedio e produce alla fine danni peggiori di quelli che vuole evitare. E non vince chi ha ragione, ma solo chi è più forte o ha più mezzi.

Le soluzioni che restano a questo punto sono di due tipi: una è quella di caldeggiare una risposta politica e culturale, realistica e strutturata e incalzare le opposizioni e chiamarle alle loro responsabilità; e dove il dissenso vada in piazza, preferire una forma di resistenza civile di tipo gandhiano, non violenta ma tenace; l’unica possibile quando ti opponi all’Apparato di un Impero.

L’altra, comprensibile soprattutto per i più anziani, è ritirarsi dalla vita pubblica, ripiegare nella propria vita, nei propri affetti, ideali e interessi, mantenere magari un giudizio e un atteggiamento di distanza e di critica, ma occupandosi d’altro e frequentando cenacoli ristretti in cui sentirsi a proprio agio.

Altre soluzioni sono gradazioni intermedie tra queste due risposte, ma non fuori di esse.

Ho provato a fare un discorso per adulti; se invece volete fiabe per bambini, tra mostri e war games, rivolgetevi ad altri.

Ecco, come scrisse Albert Einstein: “Dove c’è volontà, c’è la strada” (un secolo fa, a Tokyo durante un viaggio in Giappone nel 1922)!

[*] Il CEO-Chief Executive Officer, ovvero Amministratore Delegato di Twitter Jack Patrick Dorsey (Saint Louis, 19 novembre 1976) è un informatico, imprenditore e filantropo, noto soprattutto per essere il creatore di Twitter e il motore di ricerca Fleetic, oltre che il fondatore e l’Amministratore Delegato di Square, Inc., società che gestisce un sistema di pagamento tramite telefono cellulare. È estremamente ricco, valutato intorno ai 13 miliardi di dollari USA (circa 10,8 miliardi di euro). Di origine italiana da parte di madre, ha lavorato anche come modello. È anche membro del Consiglio di amministrazione di Berggruen Institute’s Governance Center, che si presenta come “un think tank indipendente volto a rimodellare le istituzioni politiche e sociali di fronte alle grandi trasformazioni del XXI secolo”, lavorando “attraverso culture, discipline e confini politici, coinvolgendo grandi pensatori per sviluppare e promuovere risposte a lungo termine alle maggiori sfide che deve affrontare l’umanità oggi”.

In questa foto l’Amministratore delegato di Twitter Jack Dorsey appare su uno schermo mentre parla a distanza durante un’audizione davanti al Comitato del Commercio del Senato a Capitol Hill, a Washington, DC, il 28 ottobre 2020 (Foto di Michael Reynolds/Pool Foto via AP).

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