L’enigma del Francesco Bergoglio pensiero

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Ci troviamo a commentare l’articolo pubblicato l’11 gennaio su questa rubrica, in riferimento alla intervista concessa al TG5 da Papa Francesco, dal titolo “Il mondo che vorrei”. In questo articolo “Il mondo che vorrei”. Al Tg5 Fabio Marchese Ragona a colloquio con Papa Francesco, Vik van Brantegem, Editore di Korazym.org, presenta un sommario riassunto dei temi; quindi, una interessante discussione sul merito, ripresa da un dibattito Facebook; infine, un commento dal blog Stilum Curiae di Marco Tosatti. Viene riportato dal sito del TG5 anche il link del video originale e per intero del colloquio di Papa Francesco con l’intervistatore Fabio Marchese Ragona, visto in diretta da 5.404.000 spettatori con il 19% di share. I temi sono importanti, anzi epocali, con riferimento agli argomenti della infanzia, della guerra, della pandemia, dell’aborto, della politica, ecc.

Nel dibattito ripreso da Facebook AC afferma: «Lui ha espresso più volte un nucleo filosofico di idee che ha ribadito anche in questa intervista. Secondo me è utile confrontarsi con queste idee senza demonizzazioni o personalizzazioni eccessive, in maniera che anche gli altri possano riflettere e ragionare, senza farsi troppo assorbire in lotte di “schieramento”». Andiamo subito a cercare di cogliere questo nucleo filosofico.

Il discorso di Francesco inizia con un obiettivo, ovvero come uscire migliori dalla crisi. Da tutte le crisi, dice Lui, si può uscire migliori o peggiori. Già in questo incipit riconosciamo i canoni metodologici del Francesco Bergoglio pensiero, ovvero quelli psicanalitici. La crisi è il punto di partenza di un percorso analitico e l’obiettivo è la guarigione, ovvero l’uscirne migliori. Per effettuare questo percorso dovremo improntarci a un estremo realismo, dice Francesco. E anche qui siamo nell’ambito dei canoni freudiani: si prendono in considerazione i comportamenti, e non idee filosofiche astratte.

Tutti i successivi richiami continuano in coerenza con il pensiero suddetto: non ci salveremo da soli, sostituire il noi all’io, sfuggire alla indifferenza, alla cosiddetta cultura dello scarto, superare il conflitto con l’unità, non anteporre il proprio tornaconto all’interesse comune… Sembra di essere in una terapia di gruppo. Talchè per chi non è esperto di questo linguaggio, resta assai difficile risalire a una qualche teorizzazione filosofica. Infatti Francesco non ha in mente una filosofia.

Sicchè nel dibattito ripreso da Facebook, si cerca di discutere se un tale procedere sia un modo marxista, o peronista o che altro, se vi si possano rinvenire i caratteri della teologia della liberazione, e alla fine AC ne conclude che piuttosto un tale incedere è una liberazione dalla teologia.

Su questo punto concordiamo. Bergoglio non fa teologia. Soprattutto, non fa teologia cattolica, perché nell’unico momento in cui cita la fede, parla di dono della fede, richiamando non tanto velatamente il principio della giustificazione protestante. Per cui potremo concludere, che Francesco predica con un tono tradizionalmente cattolico una fede protestante e un robusto credo psicanalitico.

Se questo non è un enigma!

Ma d’altronde Bergoglio lo ha detto chiaramente nell’intervista, la fede nei vari momenti storici si è inculturata, cioè ha assunto la cultura del tempo. In questo i gesuiti sono stati assai abili. A fine ‘800 il Cardinale Giuseppe Pecci, gesuita e grande studioso, fratello di Papa Leone XIII, elaborò il neotomismo, che segnò una decisa contrapposizione con la modernità. E nel Concilio Vaticano II sempre i gesuiti, in risposta, o secondo alcuni in coerenza con il controverso modernismo teologico, elaborarono la nouvelle theologie, con Rahner, De Lubac, ecc. che è stata pedissequamente ripresa da Bergoglio. Con l’intermezzo del lungo pontificato di Giovanni Paolo II-Benedetto XVI in cui fu decisamente ridimensionata la nouvelle theologie, soprattutto nei suoi risvolti scientisti e di contiguità con la teologia della liberazione.

Infatti, a ben vedere, ci sono due punti controversi nello psicologismo Bergogliano, che emergono nell’intervista.

Il primo punto controverso è quando si parla del vaccino come opzione etica.

Noi non mettiamo in discussione la sostanza della opportunità o meno di fare il vaccino. Francesco ha specificato giustamente, che Lui è cresciuto nell’epoca dei vaccini, che sono stati – come ha detto nel caso della polio – determinanti. Ma il giungere a fare quella precisazione di opzione etica, ci sembra una affermazione importante e che lontanamente ci fa pensare allo stato etico, che ha sollevato così tante riserve tra i cattolici. Anche qui nella intervista di Francesco si fa più volte cenno all’etica, che Lui dice viene prima della religione. Una affermazione di opportunità per riaffermare la sua contrarietà all’aborto, ma anche un precedente pericoloso dal punto di vista dei cattolici.

È di questi giorni, ad esempio, il dibattito sul piano pandemico, in cui eticamente si afferma che in caso di futura pandemia, si darà, in caso di risorse scarse, la precedenza della cura alle persone con più possibilità di salvarsi. Qui il discorso ci porterebbe lontani. Questo richiamo all’etica, insomma, provoca nelle menti cattoliche sinistri scricchiolii, non nella mente di Bergoglio, psicanalista-scientista.

L’altro punto controverso è questo anteporre il noi all’io.

Nella discussione sul merito che è stata ripresa da un dibattito Facebook, questa accentuazione così radicale viene tradotta nel senso di chi è innamorato di sé stesso. In effetti, Francesco non dice proprio così, ma la sua censura è cosi sottolineata, che i commentatori la intendono nel senso nevrotico.

Ma non direi che questo modo nevrotico sia il solo che può esprimere l’io. In sostanza, Francesco identifica l’uomo moderno con l’uomo nevrotico, ovvero saremmo tutti malati di un egocentrismo che impedisce di vedere la realtà. E tale patologia sarebbe così accentuata, da legittimare una immediata sospensione della dimensione egoica, a favore di una dimensione comunitaria.

Ecco, qui il passaggio mi sembra una decisa forzatura, che ripete il lapsus sullo stato etico. Insomma, lo scientismo psicanalitico, a questo punto, sembra preparare e debordare nel socialismo di stato. Ovvero, nella teologia della liberazione. Il passaggio non sarebbe immediato, ma mediato da questa umanità premurosa. Sappiamo che anche il padre psicotico è assai premuroso… Tutta la tutela della personalità psicotica delle sue vittime è premurosa, si prende cura.

Per cui vediamo nella intervista, che al di là di quelli che sono dei temi seri, tuttavia il loro svolgimento presenta dei vulnus preoccupanti. I messaggi subliminali di Francesco, che si compongono di una fede protestante, di un linguaggio patologicamente psicanalitico e di un confondente tono cattolico, alla fine riaffermano una radicalità, che si è espressa in modo collerico e improvviso nei famosi incontri assai bruschi ad esempio con i confratelli Cardinali Muller e Becciu, licenziati in un batter d’occhio, sulla base di un giudizio etico-psicanalitico. Il che poi, come nel caso Becciu, da successive evidenze non sarebbe risultato in un fatto episodico, ma articolato in complesse macchinazioni. D’altronde, l’enigma non si è limitato in questi anni alla sola personalità del Regnante, ma ha coinvolto con i suoi misteri tutta la Curia Romana.

Ma certamente un pensiero non chiaro genera comportamenti non chiari. Freud insegna.

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