“Alla fine questo stop imposto in contemporanea a Trump sui vari social network si rivelerà un gigantesco boomerang” (Enrico Mentana). Una battaglia per la libertà contro la socialcrazia

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“Dicono che Trump sia un dittatore. Un dittatore particolare dato che la censura non la impone bensì la subisce” (Azzurra Barbuto @AzzurraBarbuto – Twitter, 11 gennaio 2021).
“Sobre la censura de Trump en plataformas digitales. El ISIS ha utilizado whastapp, Facebook, TikTok y mil apps más para organizar atentados sin que, con razón, Apple/Google las hayan sacado de su store. Lo que vemos estos días es lo opuesto al liberalismo. Y da miedo” [In riferimento alla censura di Trump sulle piattaforme digitali. L’ISIS ha utilizzato WhatsApp, Facebook, TikTok e mille altre app per organizzare attacchi senza che, a ragione, Apple/Google le ha rimosse dal proprio store. Quello che vediamo in questi giorni è l’opposto del liberalismo. Ed è spaventoso] (José Ramón Bauzá @JRBauza – Twitter, 11 gennaio 2021).

Donald Trump è stato per quattro anni Presidente degli Stati Uniti e chissà in quante occasioni avrà “violato” le regole di Facebook e di Twitter. In questi quattro anni, quante volte sono stati sospesi gli account di Trump? Dati alla mano, mai… Zuckerberg ha fatto tutto da solo? Oppure dietro la censura a Trump ci sono Biden-Harris? Se fosse così, sarebbe un quadro davvero inquietante…

Quello che sia, è scandaloso ciò che sta succedendo – e ribadisco che va oltre Trump, come ho scritto: QUI (comunque, anche se Trump resta colpevole di tutto quello che ha fatto di male (senza dimenticare quello che ha fatto di bene), che ora non possa nemmeno esprimersi su un social network è assurdo=. Ma ancora più scandaloso è l’applauso di coloro che approvano la censura messa in atto dai social network. Ovviamente, si alza anche la voce del benpensante di turno che scrive: “Scandaloso? Dai non scandalizziamoci per così poco”. Vorrei vedere cosa direbbero coloro che inneggiano al blocco di Libero e Trump se succedesse con loro profilo, i loro giornale di elezione e il loro politico preferito.

Le implicazioni non sono solo inquietanti, sono pericolose. Chi vieta a questi social network, per esempio, di censurare politici che in futuro potrebbero imporre regolazioni, visto che sono diventati miliardari con le loro start-up, come una web tax contro di loro? È evidente che iniziano ad avere paura…

È evidente che questi onnipotenti social network stanno già influenzando/determinando la politica degli Stati molto di più degli stessi governi e in futuro lo faranno sempre di più. Per dirlo lapidariamente: un manipolo di “editori miliardari di social network” stanno dettando sempre di più la politica degli Stati fottendosene altamente del popolo (che comunque li segue come un branco di pecore bianco, attaccando quelle nere).

Siamo messi malissimo. E la cosa peggiore è che molti colleghi giornalisti su Facebook e Twitter esultano per il blocco degli account non solo di Trump, ma anche per quello di Libero su Twitter. Hanno perso il senso della libertà. Invece di combattere per la libertà di informazione, molti giornalisti esultano se ad essere imbavagliato è un giornale considerato di destra. Vorrei vedere cosa direbbero se succedesse con il profilo del giornale per cui lavorano… e che paga il loro stipendio. Proprio disdicevoli sono esternazioni come questa, che segnala come siamo messi peggio di malissimo: ”Ma tutto questo dibattito sulla censura di Twitter è davvero sincero e interessante o serve solo ai trumpisti per non parlare di Trump?”.

Però ci sta alzando anche una battaglia a difesa della libertà. Faccio seguire la voce di alcuni giornalisti, che cantano fuori dal coro: oggi Antonio Socci e Enrico Mentana che sulle rispettive pagine Facebook riassumano in modo conciso ed esaustivo la questione; ieri Francesco Agnoli, che ha pubblicato su L’Occidentale un articolo chiaro e esaustivo sulla medesima questione, citando pure personalità anche di sinistra, come Massimo Cacciari, Roberto Saviano, Stefano Fassina ed altri (per restare in Italia, che si sono chiesti se ciò non sia pericoloso per la libertà di opinione), Davide Casaleggio, Roberto Mazzoni (giornalista italiano che vive in Florida, con un grande seguito tra gli italiani interessati alle vicende politiche e tecnologiche Statunitensi) e Elon Musk. Tante voci si alzano per lasciare Whatapp (di proprietà di Facebook) per Signal, di abbandonare Facebook, Instagram, Youtube, ecc. per VKontakte, LinkedIn, Telegram, Parler, MeWe, Rumble, Gab, ecc.

Da tempo sono già su LinkedIn, VKontakte e Telegram. Oggi mi sono iscritto anche su Gab (e mi attrezzerò per condividere i miei articoli anche qui). Vi prego di iniziare a seguirmi anche su questi social network, non solo su Facebook, Instagram e Twitter.

Più importante ancora, è abituarvi di seguire direttamente su Korazym.org questa mia rubrica Blog dell’Editore, bypassando i social network.

Telegram – il concorrente di Whatsapp, di proprietà di Facebook – ha superato i 500 milioni di utenti attivi. Solamente nelle ultime 72 ore, più di 25 milioni di nuovi utenti da tutto il mondo si sono uniti a Telegram.

La questione è semplice, cioè la censura politica che i padroni dei social network Zuckerberg e Jack Dorsey stanno mettendo in atto nei confronti di chi non è allineato al paradigma progressista e globale del pensiero unico e il politicamente corretto. È ora di dire basta ai privilegi dei provider dei social media, che sono editori. Invece di elogiarli, perché si sono arrogati il diritto di censurare Trump, quotidiani come New York Post, Libero e altri, sarebbe giusto invocare la loro chiusura immediata d’autorità. Se vengono ravvisati illeciti comportamentali, va seguita la via giudiziaria e solo dopo, chi ne avrà il potere costituzionale, potrà determinare la sanzione. Come è stato scritto, anche se Trump avesse sbagliato, non significa che gli altri abbiano ragione. È ora di riportare alla legalità tutti, i media, i social network e soprattutto la politica. La Legge è uguale per tutti. Questa è una “battaglia per la libertà”: #restiamoliberi.

Antonio Socci scrive oggi 12 gennaio alle ore 12.25 sulla sua pagina Facebook: “C’è chi scrive – a proposito dell’imbavagliamento di Trump – che i social sono società private e possono fare ciò che vogliono zittendo ed espellendo chi ha pensieri diversi dai loro. Ma non è così [lo sto affermando da tempo]. Al Congresso USA la discussione è la seguente: o sei il gestore di una rete o sei un editore. Se sei il gestore di una rete (come per esempio è Telecom con la rete telefonica) non puoi discriminare chi ha questa o quella idea (infatti il gestore telefonico non stacca la linea a chi ha idee che lui non condivide). Se invece sei un editore puoi decidere quali contenuti pubblichi e quali non vuoi, ma allora devi rispondere davanti alla legge di quello che sulla tua piattaforma viene pubblicato. La questione sta tutta qui. Non si può pretendere di avere la botte piena e l’oste ubriaco. Mi pare significativo che importanti statisti europei (come la cancelliera tedesca Merkel) abbiano manifestato il loro sconcerto di fronte alla censura al presidente Trump”.

Questa volta Socci non è solo, ma nell’illustra compagnia niente meno di un pezzo da novanta del mondo dell’informazione nostrano, il Direttore de La7 e di Open Enrico Mentana, che scrive oggi 12 gennaio alle ore 11.30 sulla sua pagina Facebook: “Alla fine questo stop imposto in contemporanea a Trump sui vari social network si rivelerà un gigantesco boomerang. Lui, Trump, ha comunque già perso. Loro, che ne sono sempre stati la principale cassa di risonanza, dovranno spiegare quale diritto (letteralmente) applicano, e a chi ne rispondono. Come sta dimostrando il Congresso americano, comunque vada a finire la richiesta di impeachment, nemmeno l’uomo più potente del mondo è legibus solutus: figuriamoci se lo possono essere i social”.

Democrazia digitale
Potere censorio senza responsabilità editoriali: il paradosso social che il caso Trump ha fatto esplodere
di Francesco Agnoli
L’Occidentale, 11 gennaio 2021

In questi giorni negli Usa, un Paese che ha il mito della libertà di espressione, i due colossi social, Facebook-Instagram e Twitter, hanno censurato il presidente uscente Donald Trump. Non è la prima volta che succede.

In campagna elettorale il New York Post, uno dei più grandi giornali americani, aveva pubblicato alcune notizie molto gravi nei riguardi di Hunter Biden, figlio di Joe: facebook e twitter reagirono censurando lo scoop, facendo intendere si trattasse di una fake news.

Così non era: abbiamo saputo infatti, dopo le elezioni, che la notizia era vera.

Così infatti il quotidiano Repubblica il 9 dicembre: “Hunter Biden, figlio del presidente eletto Joe Biden, è sotto indagine per presunte irregolarità o reati di natura fiscale. Biden Junior è già stato al centro di controversie e scandali, in particolare per gli affari realizzati in Ucraina e in Cina, sfruttando il ruolo del padre quando questo era il vice di Barack Obama”.

Cosa sarebbe successo se la notizia sul figlio di Biden fosse circolata prima delle elezioni presidenziali? Biden avrebbe vinto ugualmente?

Non possiamo saperlo, anche se qualcosa si può immaginare.

Ma che imprenditori privati possano censurare grandi giornali come il New York Post e il presidente americano votato quasi dalla metà degli americani, ha sollevato molti dubbi. Anche personalità di sinistra, come Massimo Cacciari, Roberto Saviano, Stefano Fassina ed altri (per restare in Italia), si sono chiesti se ciò non sia pericoloso per la libertà di opinione. La rete si è riempita di domande: perché il dittatore cinese non viene censurato, e il presidente americano sì?

Perché i social pubblicano di tutto, ma poi scendono in campo, politicamente, prima e dopo un’elezione?

Il problema giuridico è semplice. Le piattaforme social godono di un grande privilegio: non sono considerate editori come gli altri, e questo le mette al riparo da processi per diffamazione, calunnia…

Per intenderci: se il Corriere della Sera pubblica qualcosa di errato e diffamatorio contro qualcuno, questi ha il diritto di portare editore ed autore dell’articolo in tribunale. Con Facebook e Twitter no! Ma se questi colossi poi decidono cosa pubblicare e cosa no, allora diventano editori come gli altri: perché solo loro godono di impunità? Perché costoro sono legittimati a fare “politica”, senza però nessun controllo né sul loro modo di privilegiare la diffusione di certi temi rispetto ad altri né sull’uso che fanno dei dati che raccolgono sui singoli cittadini? Ancora: è opportuno un regime di quasi monopolio, quale che sia il comportamento dei monopolisti?

Anche Davide Casaleggio ha espresso la sua perplessità: “Fino ad oggi Facebook, come molti altri social network, si è qualificata come piattaforma software indipendente, ma oggi forse dovrebbero qualificarsi come società editoriale prendendosi quindi la responsabilità di tutto quello che viene reso pubblico e specificando in ogni occasione perché un post è tollerato e un altro no. Se Putin o Xi Jinping dovessero fare dichiarazioni contro gli interessi statunitensi o quelli del social media, sarà Zuckerberg a decidere se è il caso di censurarli?”.

La questione era dibattuta ben prima della vicenda Trump – sia per motivi fiscali, sia perché perché tra i giganti della Silicon Valley c’è chi, per entrare nel mercato cinese, si è piegato ad assecondare e facilitare la censura di Pechino a danni dei suoi cittadini, dimostrando così più attenzione ai guadagni che al resto – ma gli ultimi fatti hanno scatenato l’ira di milioni di persone, non solo negli Usa, che si sono sentite sorvegliate, controllate, manovrate, da due giganti dagli immensi profitti e senza regole.

Un giornalista italiano che vive in Florida, con un grande seguito tra gli italiani interessati alle vicende politiche e tecnologiche Usa, Roberto Mazzoni, ha invitato i suoi fans a lasciare facebook per telegram ed altri social (QUI), mentre Elon Musk ha scritto in un post di lasciare Whatsapp, di proprietà di Facebook, per Signal (QUI).

In generale, in questi giorni, in tutto il mondo molti stanno abbandonando Facebook, Instagram, youtube ecc. per Telegram, Parler, MeWe, Rumble… Tanto che questi mezzi, meno conosciuti, sono andati in sovraccarico.

È una “battaglia per la libertà”, dicono i critici di Mark Elliot Zuckerberg e Jack Dorsey.

Vedremo cosa succederà: può darsi che un maggior pluralismo nei social media possa giovare a tutti, ed evitare che singoli cittadini che possono “controllare” a loro piacimento una marea di notizie, possano influenzare troppo politica ed economia.

È un’altra faccia, se vogliamo, delle critiche ad Amazon, il negozio mondiale di Jeff Bezos, che, per il suo strapotere, fa paura a molti [*].

[*] Che non si tratta solo di una questione di censura, di attacco alla libertà di pensiero, si è già cominciato a pensare: “Ma tutti i fautori della moneta elettronica stanno cominciando a pensare che se si comportano male ci potrebbe essere qualcuno che li banna dalla carta di credito?” (Claudio Borghi A. @borghi_claudio – Twitter, 12 gennaio 2021). Idea per niente strampalata [V.v.B.].

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