Kabir, il panettone sulla tavola del Papa dal carcere di Padova

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Con il panettone sono diventati noti al “grande pubblico”. Il 2012 è stata una passerella trionfale per “I dolci di Giotto”, la pasticceria del penitenziario di Padova, con un pieno di premi e riconoscimenti. Anche il Papa ordina il panettone del carcere da qualche anno, per i suoi regali personali. E a Natale, sulla sua tavola, ci sarà il nuovo arrivato, “Kabir”, al moscato di Pantelleria, nato dalla collaborazione con l’azienda vinicola Donnafugata di Marsala. Ma “Giotto” non è solo i panettoni. E un altro dono “d’eccellenza” è stato consegnato in questi giorni a Benedetto XVI, sfornato – anche qui è il caso di dirlo – dai ceramisti della cooperativa. Si tratta del No. 1/500 e 1/250 rispettivamente delle serie “Giustizia e ingiustizia” e “Fede e infedeltà”, riproduzione di virtù e vizi dagli affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni, luogo simbolo di Padova. Come il lievito nella pasta. Così è la storia della cooperativa sociale “Giotto”. Sono oltre 25 anni da quando nel 1986 un manipolo di ragazzi freschi di laurea in scienze agrarie e forestali fonda la società e inizia a lavorare nel settore del “verde”.

Cinque anni dopo l’incontro con il carcere. Siamo tra il ’90 e il ’91 quando il “Due Palazzi” deve essere inaugurato e serve chi allestisca gli spazi verdi. Il gruppo partecipa al bando. Ma – complici i ritardi burocratici dell’assegnazione – un’idea si fa strada e attecchisce: la cooperativa si impegna a formare carcerati che possano svolgere questo tipo di lavoro e manutenzione. Così “Giotto” entra nel penitenziario padovano, e inizia a lavorare con i primi 20 detenuti. Gli anni passano e la pasta lievita: dal 2001, con la legge muraria che incentiva il lavoro nelle carceri, i detenuti che lavorano per la cooperativa diventano 120 e le attività si diversificano. Dietro le sbarre si iniziano ad assemblare biciclette (circa 150-200 al giorno) e valigie per importanti marche, nasce un call center, il laboratorio ceramico e quello dei manichini di carta, e anche a ristorazione e la pasticceria, sotto la guida di tre maestri chef e tre maestri pasticceri. Sua Eccellenza… L’insistenza sulla qualità e la professionalità sono da subito i tratti distintivi del lavoro di Giotto.

Nicola Boscoletto, presidente del Consorzio Rebus (di cui la cooperativa fa parte, e che impiega anche 70 persone con disabilità) non si stanca di ripeterlo: “il panettone deve essere buono, non sociale”, ovvero deve “stare sul mercato” e possibilmente “meglio degli altri”. Tanto che il lavoro dietro le sbarre avviene secondo le regole del mercato, anche dal punto di vista dell’inquadramento contrattuale dei carcerati. Dire “sociale” – insiste Boscoletto – non può essere l’equivalente di “meno qualificato”. E in tempi di crisi, questa insistenza ha permesso alla cooperativa di resistere. E proprio la crisi ha mostrato che è l’eccellenza a vincere. Come l’alta pasticceria di Giotto che da sola contribuisce al 10 per cento del fatturato ed esporta in tutti i continenti. Come i manichini di carta e le formelle di ceramica, un prodotto di nicchia, se si pensa che ne vengono prodotte 750 all’anno e tutte numerate. E che quest’anno sono ancora più preziose: saranno realizzate due serie da 500 e da 250 pezzi, rispettivamente su “Giustizia e ingiustizia” e “Fede e infedeltà”. L’idea è nata dalla visita del ministro Paola Severino in carcere lo scorso settembre, e dall’apertura dell’Anno della fede a ottobre.

La No. 1 di entrambe le serie è stata donata al Papa, la No. 2 al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. “Il lavoro è modificare e costruire quel che ho tra le mani, e contemporaneamente modifico e costruisco me stesso”. Chi parla sta scontando la sua pena ai “Due Palazzi”. E le sue parole arrivano al cuore della questione, come osserva il presidente del Consorzio: la dignità di chi lavora risiede nel fatto di essere una persona, prima ancora che nel lavoro che svolge, e poi che bisogna impegnarsi col lavoro al cento per cento. E tutto questo ha risvolti a livello del singolo, ma anche della società. Lo dicono i numeri della “recidiva”, la possibilità che chi esce dal carcere torni a delinquere. Attualmente, la popolazione carceraria è di circa 67 mila persone, di cui 700 impegnate in progetti lavorativi. A fronte di una recidiva media del 68 per cento (stime ufficiali), tra chi lavora essa crolla al 15 per cento con punte dell’uno per cento tra chi inizia i percorsi all’interno del carcere per continuarli all’esterno. Con notevoli benefici economici e sociali per tutta la collettività: basti pensare che mantenere in carcere ogni detenuto costa allo Stato circa 250 euro al giorno.

Foto Gobbi , per gentile concessione

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