La Santa Sede chiede un vaccino accessibile a tutti

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A fine anno la commissione Vaticana Covid-19 e la Pontificia Accademia per la Vita hanno diffuso un documento congiunto in 20 punti che affronta le problematiche e le priorità emergenti nelle tappe del processo del vaccino, dalla ricerca e lo sviluppo fino ai brevetti e allo sfruttamento commerciale, passando per l’approvazione, la distribuzione e l’amministrazione.

Il documento ha ribadito l’essenziale ruolo dei vaccini per sconfiggere la pandemia, non solo per la salute personale individuale, ma per proteggere la salute di tutti, ricordando che i vaccini devono essere forniti a tutti in modo giusto ed equo, dando priorità a coloro che ne hanno più bisogno.

Ricordando i richiami di papa Francesco all’accessibilità dei vaccini per tutti il documento invita a resistere alla tentazione di aderire ad un ‘nazionalismo dei vaccini’, esortando gli Stati nazionali e le imprese a cooperare tra loro:

“Abbiamo qui un ampio orizzonte che evoca i principi della Dottrina sociale della Chiesa, come la dignità umana e l’opzione preferenziale per i poveri, la solidarietà e la sussidiarietà, il bene comune e la custodia della casa comune, la giustizia e la destinazione universale dei beni.

Questo richiama anche i valori che nel linguaggio della salute pubblica costituiscono i riferimenti condivisi nelle emergenze sanitarie: uguale rispetto delle persone (dignità umana e diritti fondamentali), riduzione della sofferenza (solidarietà verso chi va aiutato nella necessità o nella malattia), correttezza (fairness: non discriminazione ed equa distribuzione di benefici e oneri)”.

Il documento riflette sull’uso dei materiali biologici per i vaccini, richiamando l’Istruzione del  2008 ‘Dignitas personae’ della Congregazione per la Dottrina della Fede, che afferma : “la finalità della salute (pubblica) non può giustificare l’aborto volontario per ricavarne linee cellulari per la produzione di vaccini – per cui anche la loro distribuzione e commercializzazione è in linea di principio moralmente illecita”.

Un altro punto riguarda la questione della ‘brevettazione’: “Infatti, il finanziamento della ricerca ha seguito percorsi diversi, nella modalità sia dell’investimento di risorse pubbliche da parte degli Stati (direttamente per la ricerca o nella forma di acquisto previo di una certa quantità di dosi), sia di donazioni da parte di enti privati.

Vi è quindi la questione di precisare in che modo il vaccino possa effettivamente divenire un ‘bene comune’ (common), come già è stato detto da diversi responsabili politici (es. la Presidente della Commissione Europea).

Infatti, in quanto non si tratta di una risorsa naturale già data (come l’aria o i mari) o scoperta (come il genoma o altre strutture biologiche), ma di una invenzione prodotta dall’ingegno umano, è possibile sottoporla alla disciplina economica che consente di retribuire le spese della ricerca e il rischio che le imprese si sono assunte”.

Il documento sottolinea che lo sfruttamento economico del vaccino è inaccettabile: “Il solo obiettivo dello sfruttamento commerciale non è eticamente accettabile nel campo della medicina e della cura della salute. Gli investimenti in campo medico dovrebbero trovare il loro più profondo significato nella solidarietà umana.

Perché ciò sia possibile occorre individuare opportuni sistemi che favoriscano la trasparenza e la collaborazione, invece che l’antagonismo e la competizione…

Sono assai auspicabili e da sostenere accordi internazionali per gestire i brevetti in modo da favorire l’accesso di tutti al prodotto ed evitare possibili cortocircuiti commerciali, anche per mantenere il prezzo calmierato pure in futuro”.

Per quanto riguarda la vaccinazione il documento sottolinea che il rifiuto è un rischio per gli altri: “Sulla responsabilità morale di sottoporsi alla vaccinazione, occorre ribadire come questa tematica implichi anche un rapporto tra salute personale e salute pubblica, mostrandone la stretta interdipendenza.

Alla luce di questo nesso, riteniamo importante che si consideri al riguardo la presa di una decisione responsabile, atteso che il rifiuto del vaccino può costituire anche un rischio per gli altri. Ciò vale anche qualora, in assenza di alternativa, la motivazione fosse di evitare di trarre benefici dagli esiti di un aborto volontario”.

Ed ha spiegato la situazione: “Si tratta qui di cooperazione materiale passiva (e non formale), poiché è indiretta e remota date l’intenzione da cui è sottesa la scelta, la contingenza rispetto all’evento imputato e le circostanze in cui oggi ci troviamo: sono quindi non vincolanti i criteri che la renderebbero eticamente illecita. Pertanto, tale rifiuto potrebbe aumentare seriamente i rischi per la salute pubblica”.

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