Si può rendere obbligatoria la sperimentazione di un vaccino – oltretutto “fatto di corsa” – sulla popolazione? Tutto ciò è folle

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«Op enkele maanden tijd krijgen we dus een “fascinating new type of vaccine”, tot heden nog nooit ontwikkeld. Denk maar eens na over de verschillende aspecten van deze zin…» (Fernand Keuleneer). [In pochi mesi otteniamo così un “affascinante nuovo tipo di vaccino”, mai sviluppato fino ad ora. Pensaci un po’ ai diversi aspetti di questa frase…]

I vaccini proteici si preparano in circa 5 anni, che dopo 10 anni diventano sicuri al 100%. Il nuovo vaccino nucleico per Sars-CoV-2 lo hanno preparato in 6 mesi… Già più volte siamo intervenuti sul rischio vaccino “fatto di corsa”. Non conosciamo neanche la durata e il tipo di immunità della vaccinazione. Tutto il processo è sperimentale, come sempre nella medicina e perciò esiste il consenso informato, escludendo l’obbligatorietà di trattamenti sanitari per chi sa volere ed intendere. Le domande sono tante e non chiunque osi formulare domande non è un negazionista o un no vax. È inammissibile con la paura di una pandemia ridurre le libertà personale costituzionalmente garantite e far ricorso all’obbligatorietà della vaccinazione anti-Covid-19. Su base di quale scienza si esclude la possibilità che un vaccino “fatto di corsa” potrebbe essere più pericoloso del virus stesso?

Se mi ricordo bene, fino a poco tempo fa i virologi non dicevano che di questo nuovo coronavirus si sa ancora poco? È stato asserito che il ceppo italiano è autoctono ed è in Italia dal 2019. Rispetto alla fase di marzo, questa dell’autunno/inverno 2020 è molto più potente [*] e anche se la curva dei contagi diminuisce, i morti sono in costante aumento, da come si può ben vedere dal nostro grafico sui 300 giorni dal primo decesso italiano. Ecco, come è possibile di essere così sicuro su un vaccino “fatto di corsa” contro un nuovo coronavirus di cui si sa così poco? Ribadisco quanto già scritto più volte in modo ragionato: non mi vaccino in questa fase, non perché sono contrario ai vaccini anzi – non sono un no vax e non sono un negazionista – ma per molti motivi razionali. Quindi, non so aggiungendo il vaccino anti-Covid-19 a una ipotetica lista irragionevole di vaccini da non fare, ma non accetto l’impostazione e l’obbligatorietà. Sono sempre di più le nostre scelte che ci condurranno sulla strada della vita o della morte. Ogni scelta va ponderata, soppesando pro e contro un trattamento sanitario. E questa scelta non sono disposto a delegare a chicchessia… certamente non ad un Alculi o a un Giuseppe, tantomeno ad un #brancodibalordi.

È più facile imporre di educare, ha spiegato il genetista Prof. Don Roberto Colombo nella lunga intervista a cura di Caterina Giojelli per Tempi.it. Ma la salute non è una scelta sociale e politica e nemmeno la profilassi contro il Covid-19 può diventare prerogativa dello Stato e non della persona.

Vorrei che fosse chiaro un punto. Il vaccino Covid-19 è sperimentale quindi, se uno Stato prevede l’obbligo vaccinale sperimentale, chi lo decide o lo favoreggia, finisce dritto davanti al Tribunale penale internazionale per violazione del divieto di sperimentazione su uomo senza consenso. Semplicemente. E non lo salva certo una leggina che accorcia i tempi ordinari. Invito tutti i lettori di questa pagina a leggere subito: La tutela dei soggetti sottoposti a sperimentazione. Dai principi agli strumenti specifici. Ne avremo tutti bisogno(Francesco Scifo, avvocato cassazionista).

L’avvocato cassazionista Francesco Scifo, “in merito alle volontà manifestate da alcuni sconsiderati sulla obbligatorietà di trattamenti sperimentali imposti surrettiziamente alla cittadinanza”, ha informato i suoi colleghi avvocati italiani, che già alcune Corti d’appello penali europee (come per esempio quella di Lisbona, dell’11 novembre 2020) hanno utilizzato l’Articolo 6 della dichiarazione dell’UNESCO come base giuridica, per scardinare i trattamenti sanitari imposti senza consenso e “così ogni avvocato italiano, se richiesto dai cittadini, dovrà difendere il cliente, eccependo davanti alla giurisdizione questo articolo della dichiarazione Unesco e citando le sentenze che all’uopo forniremo se necessarie. Si vince uniti”.

«Articolo 6 – Consenso
1. Qualsiasi intervento medico preventivo, diagnostico o terapeutico deve essere attuato solo con il consenso preventivo, libero e informato dell’interessato, basato su informazioni sufficienti. In tal caso, il consenso dovrebbe essere espresso e la persona interessata può revocarlo in qualsiasi momento e per qualsiasi motivo senza alcuno svantaggio o pregiudizio per l’interessato».


Seguono alcuni stralci dalla sentenza della Corte d’Appello di Lisbona, con le considerazioni dell’avvocato cassazionista Francesco Scifo a latere. Inoltre, facciamo seguire l’analisi sulla “tutela dei soggetti della sperimentazione clinica” della Dott.ssa Maria Anna Filosa, pubblicato su Diritto.it il 3 gennaio 2018.

La sentenza della Corte d’Appello d Lisbona sulla restrizione della libertà personale
di Francesco Scifo, avvocato Cassazionista


L’11 novembre 2020 la Corte d’Appello di Lisbona ha pronunciato una sentenza (1783/20.7T8PDL.L1), fondamentale nella gestione giuridico-amministrativa legata al Covid-19. Il caso sottoposto all’attenzione della Corte è analogo a ciò che ormai per centinaia di migliaia di italiani è una pratica naturale e perfino scontata. Si tratta della reclusione che viene definita “quarantena” e che viene irrogata come misura cautelare a tutti i soggetti ritenuti positivi per aver esperito il test mediante tampone o anche semplicemente in quanto entrati in contatto con persone risultate positive al medesimo test. Questo, che viene normalmente definito quarantena, in realtà è null’altro se non una sanzione vera e propria che inibisce il bene fondamentale della libertà. Bene che in Italia è tutelato mediante l’articolo 13 della Costituzione, in particolare, il quale sancisce come nessun individuo può essere soggetto a restrizione della libertà personale se non per decisione di un giudice che deve essere basata su una norma di legge previgente. Si tratta di un caso di doppia riserva: riserva di legge, in quanto soltanto la legge può determinare i casi nei quali l’individuo può essere privato della propria libertà, e riserva di giurisdizione, poiché soltanto un giudice può, in base alla legge, limitare la libertà individuale. Questa ipotesi, cioè la cosiddetta quarantena per motivi sanitari, non è affatto differente da ciò che viene chiamato lockdown e che, in ultima analisi, si risolve inevitabilmente e fatalmente nella medesima privazione della libertà individuale, nonché in una serie di altre lesioni di diritti fondamentali correlate.

La decisione della Corte portoghese si potrebbe tranquillamente applicare in Italia, poiché sia i principi costituzionali che la natura delle “norme” sanitarie sono i medesimi. La lucidità di questi Giudici dovrebbe essere d’esempio a tutti i giuristi occidentali.

PRIMO PRINCIPIO: La diagnosi di contagiosità deve essere effettuata da un medico

Soltanto un anno fa, nessuno si sarebbe sognato di affidare una diagnosi a uno strumento diagnostico con un’affidabilità indimostrata. Perfino le lastre, le ecografie, le TAC, dopo l’esecuzione, sono sottoposte al vaglio di uno specialista per l’interpretazione e la diagnosi. Ma l’avvento della dittatura dei tamponi ha sovvertito anche principi elementari della medicina e del buonsenso. I giudici non nascondono il proprio stupore per il fatto che misure di estrema gravità quale la privazione della libertà possano essere inflitte senza neppure un preventivo controllo medico.

“La prescrizione e la diagnosi sono atti medici, sotto l’esclusiva responsabilità di un medico, iscritto all’Ordine dei Medici. Pertanto, la prescrizione di metodi diagnostici ausiliari (come nel caso dei test per l’individuazione di un’infezione virale), nonché la diagnosi dell’esistenza di una malattia, in relazione a ciascuna persona, è una questione che non può essere eseguita per legge, Delibera, Decreto, Regolamento o qualunque altro modo normativo , trattandosi di atti che il nostro ordinamento riserva alla competenza esclusiva di un medico, assicurandosi che, nel consigliare il suo paziente, egli cerchi sempre di ottenere il suo consenso informato”.

La Corte definisce “inspiegabile” il fatto che nessuno dei soggetti sia stato neppure visitato da un medico, e che la diagnosi si sia basata esclusivamente sull’esperimento dei tamponi.

SECONDO PRINCIPIO: chiunque privi di libertà un individuo, al di fuori della Costituzione e delle leggi, commette un reato

È un principio cardine degli ordinamenti costituzionali moderni, portato di millenni di dispotismi monarchici, prima, e dittatoriali, poi: la libertà è il bene fondamentale che lo Stato debba garantire rispetto alle ingerenze. Del resto, lo Stato non nasce per guarire le persone: la sanità è uno dei servizi che la collettività mette a disposizione dei suoi membri, ma ciò che non può essere per definizione compresso è proprio la libertà, sì da distinguere lo stato di diritto da quello di dispotismo e dittatura.

“Qualsiasi persona o entità che emette un ordine, il cui contenuto porta alla privazione della libertà fisica, deambulatoria, della libertà degli altri (qualunque sia la nomenclatura che questo ordine assume: reclusione, isolamento, quarantena, protezione profilattica, sorveglianza sanitaria, ecc.), che non rientra nelle disposizioni di legge, ovvero nelle disposizioni dell’articolo 27 del CRP, effettuerà una detenzione illegale , perché disposta da un ente incompetente e perché motivata da un fatto per il quale la legge non lo consente. […] Di conseguenza, in mancanza di forza vincolante eteronoma per i singoli e imponendosi al giudice solo per il valore dottrinale che possono avere, le prescrizioni contenute nelle ‘circolari’ non costituiscono norma ai fini del sistema di controllo costituzionale di competenza della Corte Costituzionale”.

Quanto detto, permette di concludere che gli indirizzi amministrativi veicolati sotto forma di circolari normative, come nel caso di specie, non costituiscono disposizioni di valore legislativo suscettibili di essere oggetto di dichiarazione di incostituzionalità formale – si veda la sentenza della Corte suprema amministrativa 21/06/2017.

E, questo per far capire che le norme invocate dall’Azienda Sanitaria Regionale che sostenevano la privazione della libertà imposta ai Ricorrenti attraverso la notifica dell’isolamento profilattico sono linee guida amministrative non vincolanti per i Ricorrenti.

TERZO PRINCIPIO: il diritto deve guidare le scelte politiche e scientifiche anche e soprattutto nelle emergenze

La Corte evidenzia un passaggio logico-fattuale elementare, ma che sembra sfuggire ai più: una volta aperta la porta alle violazioni delle libertà fondamentali, quale che sia il motivo, non si potrà più tornare indietro. Oggi si abdica al Covid-19, e domani a cosa si abdicherà? Del resto la situazione attuale non è dissimile da quella che si verificò in USA all’indomani dell’11 settembre, con strascichi persistenti nell’attribuzione di poteri a entità governative, e l’imposizione di controlli, limitazioni di diritti individuali.

“In questo momento, le energie del Paese sono concentrate sull’emergenza. Ma per la necessità di tutelare i diritti fondamentali, anche e soprattutto in caso di emergenza, i tribunali sono tenuti a fare la loro parte. Perché, oltre alla medicina e alla scienza, il diritto – e il diritto dei diritti umani in primis – deve essere in prima linea: non per proibire e sanzionare – come si sottolinea troppo oggi – ma per garantire e proteggere tutti noi. Oggi l’emergenza si chiama coronavirus. Non sappiamo domani. E ciò che facciamo o non facciamo oggi, per mantenere la conformità ai principi fondamentali del sistema, può condizionare il nostro futuro“.

“Non sarà difficile ammettere e accettare che il tumulto legislativo generato intorno al contenimento della diffusione del Covid-19 aveva – e continuerà ad avere – nella sua ragion d’essere la protezione della salute pubblica, ma questo tumulto non potrà mai ledere il diritto a libertà e sicurezza e, in definitiva, il diritto assoluto alla dignità umana”.

QUARTO PRINCIPIO: l’efficacia diagnostica dei tamponi è indimostrata

La Corte non si limita a considerazioni di diritto, ma entra anche nel merito della diagnostica: dopo aver stigmatizzato il fatto che le diagnosi siano state fatte senza neppure coinvolgere alcun medico, i giudici sottolineano come non vi siano prove scientifiche di affidabilità dei tamponi, ma, anzi, tutto il contrario.

“iii. E il problema è che questa affidabilità è dimostrata, in termini di evidenze scientifiche (e in questo campo, il giudice dovrà fare affidamento sulla conoscenza di esperti del settore) più che discutibile.
Questo è il risultato, tra gli altri, del recentissimo e completo studio di correlazione tra 3790 campioni positivi qPCR e colture cellulari positive, inclusi 1941 isolati di SARS-CoV-2 , di Rita Jaafar, Sarah Aherfi, Nathalie Wurtz, Clio Grimaldier, Van Thuan Hoang, Philippe Colson, Didier Raoult, Bernard La Scola, malattie infettive cliniche, ciaa1491, pubblicato alla fine di settembre di quest’anno da Oxford Academic, realizzato da un gruppo che riunisce alcuni dei maggiori esperti europei e mondiali del settore.
Questo studio conclude, nella traduzione libera:
‘Ad una soglia di ciclo (ct) di 25, circa il 70% dei campioni rimane positivo nella coltura cellulare (cioè erano infetti): in un ct di 30, il 20% dei campioni è rimasto positivo; in un ct di 35, il 3% dei campioni è rimasto positivo; e ad un ct superiore a 35, nessun campione è rimasto positivo (infettivo) in coltura cellulare.
Ciò significa che se una persona ha un test PCR positivo a una soglia del ciclo di 35 o superiore (come nella maggior parte dei laboratori negli Stati Uniti e in Europa), le probabilità che una persona venga infettata sono inferiori al 3%. La probabilità che una persona riceva un falso positivo è del 97% o superiore’.
iv. Quello che segue da questi studi è semplice: la possibile affidabilità dei test PCR effettuati dipende, sin dall’inizio, dalla soglia dei cicli di amplificazione che contengono, in modo tale che, fino al limite di 25 cicli, l’affidabilità del test sarà di circa il 70%; se vengono effettuati 30 cicli il grado di affidabilità scende al 20%; se si raggiungono i 35 cicli il grado di affidabilità sarà del 3%.
v. Tuttavia, nel caso in esame, il numero di cicli di amplificazione con cui vengono eseguiti i test PCR in Portogallo, comprese le Azzorre e Madeira, è sconosciuto, poiché non siamo stati in grado di trovare alcuna raccomandazione o limite al riguardo”.

Insomma, la reclusione (quarantena) è determinata sulla base di test che potrebbero avere il 97% di falsi positivi.

CONCLUSIONI

Come giurista di un paese europeo, non posso che condividere e sottoscrivere tutte le argomentazioni della Corte portoghese, che potrebbero essere applicate tal e quali in Italia, a fronte di norme e condotte del tutto analoghe.

Il mondo del diritto, almeno in Italia, è il grande assente in questa pantomima: show televisivi ammanniscono e dispensano reprimende morali e norme di condotta, politici affetti da deliri di onnipotenza vietano ai cittadini di incontrare “chiunque non convivente”, mentre il popolo è sedato dai teleimbonitori e dai quotidiani bollettini di guerra con numeri inverosimili che vedono attribuire a un virus qualunque tipo di morte. Basta esser positivi a un tampone… con il 97% di falsi positivi.

Tutela dei soggetti della sperimentazione clinica
di Maria Anna Filosa
3 gennaio 2018

Dalla semplice informazione fino al consenso informato

Ogni paziente, prima di iniziare una sperimentazione deve firmare un consenso informato. Questo è un modulo in cui gli viene riferito lo scopo dello studio, i possibili rischi e benefici a cui potrebbe andare incontro, e la possibilità per il paziente di ritirare in qualunque momento il proprio consenso, interrompendo la propria partecipazione alla ricerca, senza che questo, in alcun modo, precluda la sua assistenza con farmaci convenzionali.

Il principio del “consenso informato” comparve formalmente per la prima volta sulla scena della giurisprudenza, soltanto nell’anno 1914, in America, in quanto, nella famosa sentenza del Giudice Cardozo, si formulò il principio che “ogni essere umano adulto e sano di mente ha il diritto di decidere ciò che sarà fatto sul suo corpo, e per questo, ogni medico, che agisce senza il consenso del suo paziente, commette un’aggressione per la quale è perseguibile per danni”.

Il ruolo del consenso informato

Oggi il consenso informato è alla base del rapporto medico-sperimentatore- paziente, poiché, quest’ultimo si è evoluto nel tempo, e quindi si è passati da una situazione di paternalismo e centralità dello sperimentatore/medico ad una di supremazia e centralità del paziente, che gode della più piena autonomia: quest’ultimo può decidere in che modo, dove, quando e perché farsi curare, senza coercizione alcuna, soprattutto in ottemperanza all’art. 32 della Costituzione, il quale afferma solennemente che “Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario, se non per disposizioni di legge. La legge in alcun caso può violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

Per questo oggi il diritto a dare un consenso consapevole nelle motivazioni e nella rappresentazione di ciò che rappresenta davvero per la tutela della salute è diritto fondamentale della persona e come tale va tutelato in modo assoluto rispetto all’ordinaria gestione giuridica di una vicenda, che nasce dal contatto clinico, oggi il consenso è il nodo centrale in quanto al suo fine si deve piegare l’informazione, che, come ci illustrano gli stessi articoli 30 [1] e 32 [2] del Codice deontologico, sarà valido supporto nella misura più o meno intensa con cui avrà caratterizzato il rapporto, è ovvio che, di conseguenza, qualora si voglia escludere una responsabilità per inadempimento non riferibile a colpa grave e quand’anche non sussistano contestazioni di colpa sulle modalità di esecuzione della prestazione generale di cura e assistenza, si può pur sempre configurare una responsabilità per carenza assoluta di un consenso o per non essere lo stesso retto da un’ adeguata informazione, responsabilità prevista, ai fini di un risarcimento danni, esclusivamente  dall’articolo 2043 c.c., il quale, posto a tutela generale, sottolinea, in maniera imponente, come il rapporto sottostante di cura è solo uno dei tanti contesti di fatto, in cui si realizza la violazione di un diritto personalissimo.

Di conseguenza, se il consenso è stato validamente acquisito, non c’è lesione e non sussistono ragioni per identificare un danno non patrimoniale, il quale è insito nella stessa condotta omissiva, ai fini dell’acquisizione di un valido consenso, né per conferire maggiore intensità alle conseguenze pregiudizievoli di un errore, poiché il paziente è stato consapevolmente coinvolto e ha partecipato alla decisione, accettando il prospetto del medico e svolgendo il proprio ruolo fondamentale. Ma ci possono essere casi, nei quali il criterio del necessario consenso subisca delle eccezioni?

La voce della giurisprudenza

La Cassazione penale, a tal proposito, ha precisato che eccezioni al criterio generale dell’acquisizione del consenso informato prima di un trattamento medico “sono configurabili solo nel caso di trattamenti obbligatori ex lege, ovvero nel caso in cui il paziente non sia in condizione di prestare il proprio consenso, o si rifiuti di prestarlo e d’altra parte, l’intervento medico risulti urgente ed indifferibile al fine di salvarlo dalla morte o da un grave pregiudizio alla salute”. Aggiunge, inoltre, sempre la Suprema Corte che “per il resto, la mancanza del consenso (opportunamente “informato”) del malato o la sua invalidità per altre ragioni determina l’arbitrarietà del trattamento medico-chirurgico e, la sua rilevanza penale, in quanto posto in violazione della sfera personale del soggetto e del suo diritto di decidere, se permettere interventi estranei sul proprio corpo. Le ipotesi delittuose configurabili possono essere di carattere doloso: artt. 610-613-605 c.c. nell’evenienza del trattamento terapeutico non chirurgico; ovvero,art 582 c., nell’evenienza di trattamento chirurgico. Per questa ragione, quindi, il consenso del paziente non può soffrire limitazioni, perché o è ritenuto importante ed essenziale per fare del rapporto medico- paziente un rapporto interpersonale non solo sul piano etico e sociologico, ma soprattutto sul piano giuridico, o lo si considera un non problema, ponendo come irrilevante la salvaguardia dei valori della persona, sicuramente  conclamata da una vasta normazione deontologica, che muove i passi dal Codice di Norimberga e dalla Dichiarazione di Helsinki (sistematicamente aggiornata sui pericoli più evidenti provenienti dalla sperimentazione) fino giù ai Codici di deontologia medica alla Carta dei diritti dell’uomo e alla Costituzione europea, prescindendo dai nostri principi costituzionali che ispirano con adattamento a posteriori il nostro ordinamento giuridico. Fin quì sicuramente ciò che salta di più agli occhi dello studioso è come tutto ruoti intorno a due parole chiave: informazione e consenso, quest’ultimo conseguenza più o meno articolata di una chiara e corretta informazione.

Proprio perché questa distinzione è importante, ai fini del nostro discorso, non tanto dal punto di vista grammaticale, ma soprattutto dal punto di vista logico e di significato, prima di passare all’analisi del consenso un po’ più nello specifico, ritengo importante che tutti noi ci ponessimo una domanda: Che cos’è davvero il consenso, e come si arriva alla sua chiara, libera, espressa ed esplicita formazione? Volendo, ad esempio, rispondere attraverso la normazione, possiamo dire che  il Decreto Legislativo n° 211/03 ad esempio fornisce una definizione di consenso informato molto più articolata, non solo di quella riportata nel Decreto ministeriale del 15 Luglio 1997 (relativo al recepimento delle Linee guida dell’Unione Europea di buona pratica clinica per l’esecuzione delle sperimentazioni cliniche dei medicinali)ma anche delle ulteriori fonti legislative analizzate in seguito, in modo da poter poi  meglio delineare lo stesso nei gesti e nelle modalità di esecuzione del team dello sperimentatore. Infatti, recita il D.M. del 15 Luglio 1997: “Dicesi consenso informato una procedura mediante la quale un soggetto accetta volontariamente di partecipare ad un particolare studio clinico, dopo essere stato informato di tutti gli aspetti dello studio pertinenti alla sua decisione. Il consenso informato è documentato mediante un modulo di consenso informato scritto, firmato e datato”.

Il dato normativo

In contrapposizione, dal canto suo, (o meglio a maggior chiarire) il Dlg 211/03 risponde, dichiarando che: “Il consenso informato” è la decisione di un soggetto, il quale risulta candidato ad essere incluso in una sperimentazione, scritta, datata, e firmata, presa spontaneamente, dopo un’esaustiva informazione circa la natura, il significato, le conseguenze ed i rischi della sperimentazione e dopo aver ricevuto la relativa documentazione appropriata. La decisione, quindi, è espressa da un soggetto capace di dare il consenso, ovvero, qualora si tratti di una persona che non è in grado di farlo, dal suo rappresentante legale o da un’autorità, persona o organismo nel rispetto delle disposizioni normative vigenti in materia.

Se il soggetto non è in grado di scrivere, può in via eccezionale fornire un consenso orale alla presenza di almeno un testimone, nel rispetto della normativa vigente”. Queste le definizioni, le cui analisi determinano innanzitutto l’insufficienza della prima e la parziale esaustività della seconda. Nel primo assunto normativo, infatti, il consenso informato è identificato in modo molto approssimativo come procedura consistente semplicemente in un’informazione genericamente definita come relativa a “tutti gli aspetti dello studio”, in un’accettazione volontaria cioè non forzata, e in una documentazione mediante un modulo scritto (ovviamente) sottoscritto e datato dal soggetto, il cui contenuto, prima di essere sottoposto all’attenzione degli individui interessati, è sottoposto alla preventiva approvazione scritta del Comitato etico. In questo caso, quindi, la procedura è esattamente definita come tale, in quanto viene a concludersi attraverso un documento (l’espresso richiamo ad un modulo è significativo, infatti) dove il solo soggetto coinvolto si assume la propria responsabilità per poter conferire una legittimazione.

Nel secondo assunto invece il consenso informato è più correttamente definito come una decisione non un’etichetta di procedura, alla quale sia dato un nome ormai convenzionale, volto ad evocare solo configurazioni formali di principi(cosa essenziale peraltro ad un’efficace e spedita comunicazione)e a darne, in tal modo, per scontati i contenuti, i quali devono essere esaustivamente precisati per poterne predisporre un’efficace applicazione. In questo modo si arriva così a dire che, in particolare, lo sperimentatore deve esporre con chiarezza quali chiari benefici il paziente può attendersi dal trattamento stesso, quali inconvenienti potrebbero verificarsi in caso di accettazione, a quali rischi per la salute si espone il paziente con un’eventuale rifiuto, quali trattamenti alternativi, se ve ne sono, sono quindi disponibili.

[1] Art. 30 del codice deontologico: “Il medico deve fornire al paziente la più idonea informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive e le eventuali alternative diagnostico-terapeutiche e sulle prevedibili conseguenze delle scelte operate; il medico nell’informarlo dovrà tenere conto delle sue capacità di comprensione, al fine di promuovere la massima adesione alle proposte diagnostico-terapeutiche.
Ogni ulteriore richiesta di informazione da parte del paziente deve essere soddisfatta. Il medico deve, altresì, soddisfare le richieste d’informazione del cittadino in tema di prevenzione. Le informazioni riguardanti prognosi infauste o tali da poter procurare preoccupazione e sofferenza alla persona, devono essere fornite con prudenza, usando terminologie non traumatizzanti e senza escludere elementi di speranza.
La documentata volontà della persona assistita di non essere informata o di delegare ad un altro soggetto l’informazione deve essere rispettata”.

[2] Art. 32 del codice deontologico: “Il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l’acquisizione del consenso informato del paziente.
Il consenso, espresso in forma scritta nei casi previsti dalla legge e nei casi in cui per la particolarità delle prestazioni diagnostiche e/o terapeutiche o per le possibili conseguenze delle stesse sull’integrità fisica si renda opportuna una manifestazione inequivoca della volontà della persona, è integrativo e non sostitutivo del processo informativo all’art. 30.
Il procedimento diagnostico e/o il trattamento terapeutico che possano comportare grave rischio per l’incolumità della persona, devono essere intrapresi solo in caso di estrema necessità e previa informazione sulle possibili conseguenze, cui deve far seguito un’opportuna documentazione del consenso. In ogni caso, in presenza di documentato rifiuto di persona capace di intendere e di volere, il medico deve desistere dai conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona ove non ricorrono le condizioni di cui all’art. 78”.

[*] Cattive notizie per Roma: il coronavirus si fa più cattivo. Appello dello Spallanzani
7Colli.it, 17 dicembre 2020

Cattive notizie per Roma. Il virus non rallenta, anzi: e parte la campagna dello Spallanzani (…), prestigioso istituto di Roma, lancia un appello. ”A Natale e a Capodanno noi saremo al lavoro in ospedale, come tutti gli altri giorni dell’anno. Se vuoi aiutarci, comportati responsabilmente durante queste festività, evitando di contribuire a diffondere l’epidemia: #ANataleUsaLaTesta – Aiutaci ad aiutarti!”. (…) “Non possiamo abbassare la guardia, il virus circola nel nostro Paese e il rischio di contrarre la malattia Covid-19 è ancora molto alto. Soprattutto per le persone anziane e per quelle più giovani che soffrono di patologie come ipertensione, diabete, malattie cardiache o respiratorie”, aggiunge o Spallanzani. Con “semplici accorgimenti e un po’ di buonsenso, è possibile fare il miglior regalo possibile a sé stessi e ai propri cari: un Natale sereno”, rimarca l’Inmi. “Le autorità, in Italia e nel mondo, hanno fissato delle norme per cercare di contenere l’epidemia, ma nessun decreto e nessun divieto possono essere sufficienti da soli a fermare il virus. Ma ciò che può fare davvero la differenza è la convinzione di ciascuno di noi a fare la propria parte per affrontare al meglio questa emergenza sanitaria”, conclude lo Spallanzani.

Postscriptum

Sul vaccino statunitense – che costa molto di più di tutti gli altri e va conservato a -70 °C – Pfizer/BioNTech che Alculi intende inoculare a TUTTI gli italiani – gratis, pagati con le loro tasse – entro il prossimo autunno in risposta al coronavirus cinese di Wuhan…

«IL COMMISSARIO. Arcuri: “Vaccino per TUTTI gli italiani entro il prossimo autunno”. Grazie Arcuri, ma non si scomodi troppo. L’importante è che lo dia ai compagni artisti, saltimbanchi, giornalistici, piddini, LeUetici e politici vari» (Alfio Krancic @AlfioKrancic – Twitter, 17 dicembre 2020).

«EMA accelera per dare l’ok al vaccino genico. il 21 Dicembre sapremo. In ogni caso chiederò di essere vaccinato dopo: i virologi, i medici infermieri pro-vax, politici, funzionari governativi, sindacalisti, insegnanti pro-vax, iscritti al PD, LeU, sx e migranti. Forse lo sfango» (Alfio Krancic @AlfioKrancic – Twitter, 15 dicembre 2020).

«Un’altra trovata della Palombella e dei suoi ospiti sinistrati e non. Parlano come degli invasati di quando, grazie al vaccino, arriverà il GIORNO DELLA LIBERAZIONE. Una specie di 25 Aprile sanitario. Non sono scemi. Sono dei posseduti, un pericolo per l’umanità» (Alfio Krancic @AlfioKrancic – Twitter, 17 dicembre 2020).

«Palombella: il vaccino me lo farei subito; Rampini idem; Oliviero Toscani: io me lo farei ieri; Stefano Zecchi: io l’altro ieri; Matteo Ricci sindaco di Pesaro: il vaccino è un obbligo morale e civico. Ormai il vaccino è un Dogma di fede. Chi è contrario va denunciato» (Alfio Krancic @AlfioKrancic – Twitter, 17 dicembre 2020).

«Dice il sindaco di Pesaro: quando quasi tutti avranno fatto il vaccino ci sarà l’immunità di gregge. Mi ricordo quando all’inizio Boris Johnson parlo di immunità di gregge lo presero per scemo e tutti i sinistrati si reggevano la panza dalle risate…» (Alfio Krancic @AlfioKrancic – Twitter, 17 dicembre 2020).

«Usa, segnalata grave reazione allergica al vaccino Pfizer – Una operatrice sanitaria statunitense cui è stato somministrato il vaccino contro il coronavirus di Pfizer/BioNTech ha sviluppato una grave reazione allergica, ma le sue condizioni sono ora stabili. Lo riferisce il “New York Times”, che cita fonti sanitarie del Barlett Regional Hospital di Juneau, in Alaska, dove l’operatrice sanitaria lavora e dove ha ricevuto il vaccino. Il quotidiano evidenzia che il soggetto non aveva alcun precedente di allergie, ma ha sviluppato comunque una reazione allergica grave 10 minuti dopo la somministrazione del farmaco. La donna aveva ricevuto la prima dose del vaccino di Pfizer/BioNTech di fronte alle telecamere lo scorso 11 dicembre, nell’ambito della campagna governativa tesa a promuovere la “fiducia nei vaccini” tra i cittadini statunitensi. La donna ha sviluppato rush cutanei, tachicardia e una crisi respiratoria, e le è stata somministrata epinefrina per placare i sintomi, che però si sono ripresentati, ed hanno costretto i medici curanti a fare anche uso di steroidi. Un ulteriore aggravamento ha costretto ad un ricovero in terapia intensiva. Fonti mediche riferiscono che la donna “si sente bene e resta entusiasta del vaccino”. Il caso aumenta però la preoccupazione in merito all’intensità delle reazioni avverse al vaccino, dal momento che secondo gli esperti l’infermiera ha rischiato di perdere la vita» (La Repubblica, 17 dicembre 2020).

«Vabbè, ci sta, dai… a questa è andata di lusso visto che è un’infermiera…» (Alfio Krancic @AlfioKrancic – Twitter, 17 dicembre 2020).

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