I promotori di giustizia del tribunale del Papa sanno la differenza tra Santa Sede e Stato della Città del Vaticano? Inaudito

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La cittadina italiana Cecilia Marogna – battezzata dai media senza appello “dama di Becciu” – che fu arrestata il 13 ottobre in Italia su richiesta dei promotori di giustizia dello Stato della Città del Vaticano, è tornata in libertà 17 giorni più tardi. Ieri la Cassazione ha stabilito che la sua carcerazione è stata illegittima.

Solo per dovere di cronaca, nel “Palazzo del Tribunale” hanno sede rispettivamente, nell’ordine da sud a nord, con tre portoni distinti: il Comando del Corpo della Gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano; la residenza dei padri penitenzieri (confessori della Basilica di San Pietro) e sede all’uopo di soggetti posti agli “arresti domiciliari vaticani” (p. es, il Vescovo polacco Wesolowski nel periodo di detenzione domiciliare 2015 era sotto stretta osservazione e sorveglianza dei padri penitenziari e del Corpo della Gendarmeria) luogo da non da confondere con i soggetti posti in stato di arresto presso le celle della caserma della gendarmeria (p. es. Mons. Lucio Angel Vallejo Balda, Gianluigi Torzi, Paolo Gabriele e Mons. Alberto Cappella, che attualmente sta scontando 5 anni di condanna e nessuno lo ricorda mai, chissà perché…); il Tribunale dello Stato della Città del Vaticano.

Scrive Renato Farina oggi su Libero quotidiano, che nel loro mandato di cattura, i promotori di giustizia Gian Piero Milano e Alessandro Diddi “hanno trascurato il fatto che non esistono trattati di estradizione tra Italia e Città del Vaticano. Non proprio un’inezia. È singolare che i magistrati milanesi abbiano bevuto l’ukase dei magistrati papali e messo le manette ai polsi senza che la legge lo consentisse e senza verificare la praticabilità giuridica di una misura che priva della libertà una concittadina, per conto di uno Stato straniero che non è stato in grado di citare alcuna clausola che lo consentisse. Hanno fatto riferimento alla «Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione cui aderiscono Italia e Santa Sede». Cavoli a merenda. La Santa Sede non ha prigioni, non estrada nessuno. La Santa Sede non è la Città del Vaticano. All’esame per matricole di diritto canonico tornate più preparati, signori promotori di giustizia. Questa faciloneria, con il discredito che ne sarebbe seguito, era apparsa subito evidente e pure indecente a chi frequenta le aule del Tribunale vaticano. Impossibile però sollevare la questione in pubblico, pena la scomunica. Per una volta clericali e anticlericali hanno fatto comunella. Il vento dell’opinione dominante è stato più forte di quello dello Spirito Santo. La campagna diffamatoria dell’Espresso, culminata con l’omicidio morale del cardinale Angelo Becciu, trovava ovunque plauso. È allora che una certa tracotanza deve aver avuto la meglio, dentro le Mura Leonine, sulla santa prudenza. La pratica è stata così portata avanti con festosa baldanza dal dottor Diddi, arrivato sotto il Cupolone senza studi specifici di diritto canonico, carenza non banale, dato che quel codice è fonte primaria della legislazione del piccolo Stato”.

Questo Blog dell’Editore l’ha osservato, che non è prevista l’estradizione da Italia allo Stato della Città del Vaticano, ovviamente non sapendo che con questo incorreva nella scomunica, nella colpevole ignoranza di questa aggiunta al diritto canonico. Siamo dunque “scomunicati” a nostra insaputa, per aver commesso un fatto non previsto tra i motivi di scomunica… [Adnkronos ieri sul Caso Becciu: Cecilia Marogna libera con obbligo di firma. E quella strana “intervista” a Bergoglio. Le due facce della stessa medaglia – 31 ottobre 2020]: “Buco nell’acqua (uno) e figura di merda (due). Tertium non datur. Al punto 1. I legali di Cecilia Marogna hanno evidenziato che non è prevista l’estradizione da Italia allo Stato della Città del Vaticano. Lo Stato della Città del Vaticano ha fatto un colossale buco nell’acqua. Punto 2. Ma prima di emettere un mandato di cattura internazionale via Interpol, non si verifica che esistono gli estremi per l’estradizione? Inoltre, non si verifica prima che esistono gli estremi per poter chiedere l’estradizione attraverso Interpol?”. Va (ri)letto tutto, molto istruttivo.

Aula del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano.

Caso Becciu, collaboratrice arrestata per niente
La magistratura vaticana sbugiardata dalla Cassazione
Cecilia Marogna era finita 17 giorni a San Vittore su mandato dei pm del Papa: misura illegittima e perciò ora bocciata
di Renato Farina
Libero, 18 dicembre 2020

Che la Chiesa della Misericordia, nel suo braccio giudiziario, sia più giustizialista di quella italiana? E che sia propensa a maneggiare il diritto con la finezza di una monarchia assoluta? Così pare. Almeno considerando la sentenza della Corte di Cassazione che ha bocciato sonoramente le pretese del Vaticano di afferrare una signora per il collo, sbatterla in galera in Italia, e poi consegnarla alla gattabuia papalina. Ieri i supremi giudici hanno infatti annullato senza rinvio, cioè senza possibilità di ricorso, l’ordine di carcerazione contro Cecilia Marogna, cittadina italiana, voluto da Oltretevere. Non è la prima sentenza che lo dice. Ma questa è definitiva e persino tagliente.

La donna, 39 anni, era stata catturata ed era rimasta diciassette giorni a San Vittore, su mandato dei promotori di giustizia (i pm) Gian Piero Milano e Alessandro Diddi, i quali per ottenere questo provvedimento di custodia cautelare hanno trascurato il fatto che non esistono trattati di estradizione tra Italia e Città del Vaticano. Non proprio un’inezia. È singolare che i magistrati milanesi abbiano bevuto l’ukase dei magistrati papali e messo le manette ai polsi senza che la legge lo consentisse e senza verificare la praticabilità giuridica di una misura che priva della libertà una concittadina, per conto di uno Stato straniero che non è stato in grado di citare alcuna clausola che lo consentisse. Hanno fatto riferimento alla «Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione cui aderiscono Italia e Santa Sede». Cavoli a merenda. La Santa Sede non ha prigioni, non estrada nessuno. La Santa Sede non è la Città del Vaticano. All’esame per matricole di diritto canonico tornate più preparati, signori promotori di giustizia.

COMUNELLA

Questa faciloneria, con il discredito che ne sarebbe seguito, era apparsa subito evidente e pure indecente a chi frequenta le aule del Tribunale vaticano. Impossibile però sollevare la questione in pubblico, pena la scomunica. Per una volta clericali e anticlericali hanno fatto comunella. Il vento dell’opinione dominante è stato più forte di quello dello Spirito Santo. La campagna diffamatoria dell’Espresso, culminata con l’omicidio morale del cardinale Angelo Becciu, trovava ovunque plauso. È allora che una certa tracotanza deve aver avuto la meglio, dentro le Mura Leonine, sulla santa prudenza. La pratica è stata così portata avanti con festosa baldanza dal dottor Diddi, arrivato sotto il Cupolone senza studi specifici di diritto canonico, carenza non banale, dato che quel codice è fonte primaria della legislazione del piccolo Stato. Da mesi in Vaticano si ha la sensazione di trovarsi al Palazzo di Giustizia di Milano durante Mani pulite, con seguito di cronisti zelanti e adoranti. Che importa il diritto quando vince l’euforia delle manette? Prevale il farne udire il clangore metallico perché chi ancora ne è risparmiato lo intenda e parli.

Non abbiamo elementi per discettare su colpevolezza o innocenza della Marogna. Di certo vale, forse persino in Vaticano, la presunzione di innocenza e neppure i promotori di Sua Santità hanno l’autorizzazione divina per saltare come cervi le siepi del diritto internazionale.

LA CRONACA

Un po’ di cronaca. Il 13 ottobre finì a San Vittore un’avvenente sarda, battezzata già da giorni «dama di Becciu». Alla vigilia erano state fatte trapelare notizie di borse firmate e poltrone di lusso acquistate dalla Marogna con i soldi del Papa destinati ai poveri. Becciu! Borse di lusso! Soldi dei poveri! La strega vada al rogo, e al diavolo il diritto. In quel momento nessuno eccepì. Ed appare singolare che nessuno – neppure al Copasir – abbia preso sul serio e interrogato sul punto «i due generali dell’Aise» cui la «studiosa di geopolitica» aveva fatto riferimento nei suoi colloqui con il Corriere della Sera, e il cui nome, con strano pudore, non era stato riferito dall’intervistatore Ferruccio Pinotti. In effetti la Marogna risulta essere collaboratrice dei servizi segreti italiani. Come tale la sua opera era stata messa a disposizione della segreteria di Stato della Santa Sede dall’allora capo dell’intelligence militare italiana (Aise), il generale Luciano Carta. Compito nobile: aiutare la liberazione di sacerdoti e suore ostaggi delle bande jihadiste in Africa. La stessa rassicurazione sulla credibilità di Cecilia in materia era stata fornita dal successore di Carta, il generale Giovanni Caravelli. Figure entrambe al di sopra di ogni sospetto. Perché la magistratura vaticana non li ha sentiti, e ha preferito operare l’arresto di una donna con apparato scenografico, peraltro senza sporcare il proprio bugliolo, ma quello della nostra Repubblica?

Francesco, che non sopporta soprusi e violazioni dei diritti personali, si porrà certo qualche domanda, e troverà risposte conseguenti. Ricordano in tanti come papa Bergoglio abbia spinto alle dimissioni il fedele comandante della gendarmeria, generale Domenico Giani, per le foto segnaletiche di funzionari e monsignori sospesi dal servizio, finite inopinatamente sui giornali, non certo per mano dell’onesto gendarme.

Postilla

Ad integrazione di quanto affermato da Renato Farina sull’operato dei Promotori di giustizia vaticani, paragonabili ai Pm (Pubblici ministeri italiani), sottoponiamo agli attenti lettori una circolare interna destinata agli uffici della Procura della repubblica di Roma (ottobre 2017) a firma dell’allora Procuratore  generale Giuseppe Pignatone, nella quale si richiamavano i Pm rei di iscrivere sul Registro degli indagati soggetti di denunce senza i dovuti accertamenti di rito a tutela dei soggetti denunciati. In questa circolare in parole povere, Pignatone tirava le orecchie a quei Pm troppo frettolosi di attribuire presunte colpe o responsabilità a taluni soggetti. In sintesi, nella circolare è chiaro il messaggio di Pignatone, dove spiega che se il soggetto denunciato diviene indagato, non lo decide il denunciante ma lo determina la Procura a seguito delle approfondite indagini. Oggi, Pignatone è Presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano e sarebbe opportuno, a nostro avviso, che la stessa circolare – naturalmente “tradotta” per lo Stato della Città del Vatican – venisse inviata ai Pm vaticani, meglio identificati come Promotori di giustizia, che in queste ultime fasi appaiono poco equilibrati e sembrano un tantino avventati.
Staff del Blog dell’Editore

Foto di copertina, da sinistra in alto, in senso orario: Cardinale Angelo Becciu, Cecilia Marogna, Gian Piero Milano (promotore di giustizia da marzo 2013), Alessandro Diddi (promotore di giustizia aggiunto da dicembre 2018).

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