Vaccino anti-Covid-19. Domande si moltiplicano. Non sull’utilità della profilassi vaccinale, ma sul ridurre il problema della pandemia a vaccinazione obbligatoria. Intervista di Tempi a Roberto Colombo

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“Più ci chiedono di sognare la palingenesi – resistere fino al vaccino, torneremo a vita nuova col vaccino – più le domande si moltiplicano. Non sull’utilità di una profilassi vaccinale – ditelo ai celebrazionisti per cui chiunque osi porre questioni è un negazionista no vax -, ma sul ridurre il problema e il debellamento di una pandemia all’obbligatorietà o meno di qualche puntura”, scrive Caterina Giojelli su Tempi.it e Don Roberto Colombo le ha aiutato ad orientarsi “in questo pandemonio di informazioni e dichiarazioni sguainate sulla profilassi anti-Covid-19”.

Don Roberto Colombo è genetista clinico e specialista nella diagnostica molecolare delle malattie rare, docente della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica di Roma e consultore del Dicastero Laici, Famiglia e Vita della Santa Sede. Dal colloquio di Caterina Giojelli con Prof. Don Roberto Colombo è nato un lungo approfondimento su efficienza, immunità, sperimentazione, reazioni, distribuzione, affidabilità e obbligatorietà vaccinale, che Tempi.it ha proposto in cinque puntate.

“Certo, sappiamo che la strada del coinvolgimento attraverso l’informazione, l’educazione e il consenso guadagnato onestamente è assai più lunga e faticosa di quella della imposizione autoritaria, che rischia di divenire dispotica. Ma sono un tempo e una fatica ben spesi, per “fare bene” il bene di tutti. Il bene va fatto per libertà, non per forza. Come scriveva San Paolo al suo collaboratore Filèmone, «non ho voluto far nulla senza il tuo parere, perché il bene che farai non sapesse di costrizione, ma fosse spontaneo» (Fm 1, 14). Anche il bene della profilassi individuale e sociale contro il flagello del Covid-19 non fa uno strappo a questo sano principio etico e civico, pur nella eccezionalità della situazione sanitaria in cui ci troviamo. L’emergenza non cancella la vocazione alla libertà attraverso la quale si costruisce la solidarietà, l’amicizia civica, la dedizione alla costruzione della “casa comune” che è la società. Al contrario, la sollecita come condizione imprescindibile” (Don Roberto Colombo, Tempi.it).

Non si deve “dimenticare che una migliore e più precoce terapia del Covid-19 (precoce: ossia all’esordio della malattia, già ai primissimi sintomi, quasi sempre riconoscibili e curabili a domicilio) riveste anche un forte valore profilattico a livello socio-sanitario, spezzando il circolo vizioso tra una elevata prevalenza di quadri clinici gravi, l’affollamento nelle strutture di ricovero e cura con eccessivo impiego di personale sanitario, e una ridotta disponibilità di medici, infermieri e mezzi sanitari per la prevenzione della diffusione di questa malattia infettiva. Se una diffusa profilassi può ridurre la domanda di terapia e risparmiare sulla offerta sanitaria disponibile, una appropriata e tempestiva terapia può consentire di disporre di maggiori risorse (umane e materiali) per una diffusa e più efficiente profilassi” (Don Roberto Colombo, Tempi.it).

Ecco le cinque puntate della lunga intervista di Caterina Giojelli al genetista Prof. Don Roberto Colombo, pubblicate su Tempi.it dal 14 al 18 dicembre 2020:

1. Vaccino anti-Covid, non conosciamo ancora la durata e il tipo di immunità
L’approccio profilattico per contenere l’epidemia – 14 dicembre 2020

2. La durata e il tipo di immunità
Non esistono “cavie” del vaccino, tutto il processo è sperimentale – 15 dicembre 2020

3. Le diverse fasi di sperimentazione e le reazioni allergiche
Dopo una fase III di eccezionale brevità per l’approvazione d’urgenza della profilassi diventa fondamentale la fase IV della farmacovigilanza (ma niente allarmismi sulle allergie) – 16 dicembre 2020

4. Stoccaggio, distribuzione e il rischio vaccino “fatto di corsa”
Dalla distribuzione a bassa temperatura alla tenuta di una macchina che dovrà gestire un’operazione vaccinale senza precedenti, alle questioni aperte dal prodotto di Oxford-AstraZeneca – 17 dicembre 2020

5. L’obbligo vaccinale
È più facile imporre di educare. Ma la salute non è una scelta sociale e politica e nemmeno la profilassi contro il Covid-19 può diventare prerogativa dello Stato e non della persona – 18 dicembre 2020

L’intervista di Caterina Giojelli
al Prof. Don Roberto Colombo
Vita.it, 14-18 dicembre 2020

1. Non finirà con una puntura, «oggi non basta il vaccino per sconfiggere il Covid»

Tempi.it: Dovevamo aspettare il vaccino. Oggi leggiamo che dovremo comunque vivere con mascherine e distanziati per un bel po’ di tempo anche dopo averlo ricevuto, sia perché il vaccino viene somministrato in due dosi (la seconda dose di quello della Pfizer-BioNTech viene inoculata tre settimane dopo la prima e quella di Moderna un mese dopo), sia perché non ci sono ancora dosi per tutti. Infine, l’impatto del vaccino non è ancora «del tutto chiaro». A questo proposito Emer Cooke, direttrice esecutiva dell’Agenzia europea del farmaco (Ema), ha già sottolineato che «il vaccino non è una bacchetta magica: la popolazione dovrà continuare a seguire tutte le restrizioni». “Vaccinare” quindi al momento non significa affatto “debellare subito il Covid”?
Roberto Colombo: Non è facile, immediato rispondere a queste domande. L’efficacia e l’efficienza di una vaccinazione devono essere valutate correttamente all’interno di quella complessa e articolata azione medica che è la profilassi di una malattia contagiosa, di cui la vaccinazione rappresenta solo uno strumento, anche se molto importante e in alcuni casi risolutivo, ma solo con il passare degli anni (è il caso del vaiolo nel mondo e della meningite e poliomielite in molti Paesi). L’esperienza delle pandemie storiche e delle recenti epidemie diverse dal Covid-19 ci insegna che non tutti gli approcci profilattici per debellare o contenere la diffusione di un virus patogeno per l’uomo sono ugualmente efficienti in tutte le differenti situazioni epidemiche o pandemiche. I quadri epidemiologici che si presentano sono assai diversificati, e sono definiti non solo dalle caratteristiche intrinseche dell’agente virale (infettività, patogenicità, virulenza e invasività) e dai quadri clinici della malattia provocata dall’infezione (periodo di latenza, gravità e durata della sintomatologia, infezioni localizzate o disseminate, organi bersaglio e organi diffusori, resistenza del nostro organismo, eliminazione del virus, eventuale persistenza post-sintomatica, infezioni acute o latenti e altro ancora), ma anche dal quadro epidemiologico locale e globale che – in ciascuna fase dell’evento clinico-popolazionistico, che evolve nel tempo lungo settimane, mesi o anni – è definito dalla prevalenza della malattia (il numero di casi in una popolazione osservati in un dato momento) e dalla sua incidenza (il numero di casi nuovi che si sviluppano in una popolazione in un determinato periodo di tempo). La relazione tra prevalenza e incidenza varia da epidemia ad epidemia ed è importante nella scelta dell’approccio profilattico migliore per ciascuna di esse in una specifica popolazione e regione del mondo. Quando la durata clinica-infettiva di una malattia è elevata, possiamo avere una alta prevalenza anche se la sua incidenza è bassa, mentre nel caso opposto – quando la malattia si risolve in breve tempo – si può avere una alta incidenza (come nel caso del comune raffreddore, spesso causato da un rhinovirus) pur in presenza di una prevalenza moderata.

Tempi.it: Quindi per “arrestarlo” in modo efficace oltre a conoscere “il tipo” di virus e di “malattia” che provoca è determinante sapere come cambia lo scenario della pandemia.
Roberto Colombo: La scelta di uno o più mezzi profilattici appropriati (ad esempio quelli di barriera e igienici, come nel caso delle mascherine facciali, degli occhiali di protezione, di altri dispositivi di protezione individuale e della detergenza delle mani; o quelli ambientali, come il distanziamento fisico, i ricambi di aria negli ambienti chiusi, la sanificazione delle superfici con detergenti e disinfettati, il controllo della temperatura agli accessi; oppure di tipo immunitario, nel caso dei vaccini) dipende dai fattori che abbiamo elencato e dal quadro epidemiologico che viene rilevato in una specifica popolazione o regione. E quest’ultimo non è stazionario, ma in continua evoluzione, con la conseguente importanza di disporre di modelli statistico-predittivi robusti. Infine, ma non meno importante, l’efficienza di una iniziativa profilattica dipende dal grado di organizzazione del sistema sanitario che è chiamato ad attuarla (competenze, risorse materiali e umane, logistica, strumenti normativi di cui dispone, motivazione del personale sanitario e capacità manageriale dei direttori) e dalla risposta della popolazione (stratificata per fasce di soggetti e priorità di intervento su di essi) alla campagna profilattica. I fattori in gioco sono molteplici e non se ne può trascurare nessuno se si vuole agire in modo efficace ed efficiente contro la diffusione di questo virus.

Tempi.it: Sta dicendo anche lei che il vaccino non sarà la bacchetta magica.
Roberto Colombo: Sto dicendo che per queste ragioni (e altre che per brevità ho omesso) concordo con l’affermazione della dottoressa Emer Cooke sul fatto – del tutto evidente – che il solo vaccino non è l’arma vincente contro la fase attuale (acuta, dopo la ripresa post-estiva) della pandemia Covid-19 in Italia e in altri Paesi. Sottolineo “il solo vaccino” e “fase attuale (acuta)”. Altra questione è parlare del “solo vaccino” (più precisamente, dei vaccini, perché in dirittura di arrivo ve ne sono diversi e con differenti caratteristiche) per sconfiggere il Covid-19 quando il numero di soggetti infettati da betacoronavirus Sars-Cov-2, e a loro volta infettivi, sarà sceso a livelli popolazionistici molto più bassi e per un periodo sufficientemente lungo di tempo da consentire una campagna di vaccinazione di ampie fasce della popolazione (operazione assai complessa e di certo non “lampo”, nonostante alcuni toni propagandistici) in condizioni di sicurezza per i cittadini, gli operatori sanitari e le attività sociali ed economiche. Solo allora – e questo potrebbe accadere non prima di parecchi mesi – sarà ragionevole e realistico pensare di vincere le “sacche di resistenza” del virus ancora presenti in alcuni cripto-focolai di Covid-19 puntando tutto o quasi sulla profilassi vaccinale estesa. Adesso è prematuro puntare tutto e solo sulla vaccinazione e far credere ai cittadini che il “miracolo”, la “svolta prodigiosa” che sistemerà tutto è dietro l’angolo, già a portata di mano, e si chiama “vaccino”. Siamo realisti e ragionevoli: diamo il giusto peso a questo buon strumento profilattico, ma non nascondiamone i limiti.

Tempi.it: Nel frattempo mascherine e gel?
Roberto Colombo: Nel frattempo è necessario adottare un approccio profilattico integrato, che unisca mezzi di barriera e igienici (la cui icona sono diventate le mascherine e il gel, ma non sono solo questi), disposizioni ambientali (il cui slogan sembra essere il divieto di raggruppamento intra- ed extra-domestico, dimenticando altre elementari misure di tipo ambientale) e inoculazioni vaccinali mirate preventive a determinate categorie di soggetti. Senza dimenticare che una migliore e più precoce terapia del Covid-19 (precoce: ossia all’esordio della malattia, già ai primissimi sintomi, quasi sempre riconoscibili e curabili a domicilio) riveste anche un forte valore profilattico a livello socio-sanitario, spezzando il circolo vizioso tra una elevata prevalenza di quadri clinici gravi, l’affollamento nelle strutture di ricovero e cura con eccessivo impiego di personale sanitario, e una ridotta disponibilità di medici, infermieri e mezzi sanitari per la prevenzione della diffusione di questa malattia infettiva. Se una diffusa profilassi può ridurre la domanda di terapia e risparmiare sulla offerta sanitaria disponibile, una appropriata e tempestiva terapia può consentire di disporre di maggiori risorse (umane e materiali) per una diffusa e più efficiente profilassi.

Tempi.it: Come su molti argomenti sensibili la comunicazione sul tema è stata subito polarizzata dai media, l’iperottimismo di chi vede nel vaccino la soluzione definitiva al Covid (e tratta come negazionista chiunque non solo avanzi dubbi, ma anche solo ponga domande su tempi ed efficacia) rischia di portarci a sottovalutare la situazione anche post-profilassi. Cosa dobbiamo tenere presente allora per non abbassare la guardia?
Roberto Colombo: Quello che è certo (al di là delle affermazioni iperboliche che sembrano inseguire più la voglia di rassicurare che “tutto andrà bene” e giungerà il “lieto fine” di questo dramma umano, sociale, culturale, educativo ed economico arriverà presto, che non la necessità di una comunicazione veritiera e responsabile su come stanno realmente le cose e ciò di cui non dobbiamo illuderci) è il dato che nessun mezzo profilattico individuale o sociale, da solo, può attualmente (ossia nella fase pandemica in corso) garantire una protezione del singolo e della comunità nelle quotidiane condizioni in cui si svolge la ordinaria vita familiare, scolastica, universitaria, lavorativa, sportiva, ricreativa e sociale. L’efficacia e l’efficienza pratica (non quella teorica, ottenuta in condizioni sperimentali, di laboratorio o cliniche, ma quella “sul campo”) dei mezzi di barriera, igienici, ambientali e vaccinali – presi singolarmente – non è e non sarà del 100 per cento, ma, nei migliori casi, lascerà un rischio di contagio del 20-30 per cento. Solo integrando i diversi mezzi a disposizione, affiancando l’uno all’altro, possiamo riuscire a ridurre ulteriormente la probabilità di trasmissione del contagio e spezzare la catena di trasmissione del Covid-19 che ci sta tenendo in scacco. Non ci sono “bacchette magiche” né “sfere di cristallo” a darci l’illusione che tutto, d’incanto, possa finire quando gli aghi per la inoculazione del vaccino inizieranno ad entrare nel muscolo deltoide delle nostre spalle. Servono solo il realismo e la ragionevolezza di tenere conto di tutti i fattori in gioco, nessuno escluso, e la moralità di dire le cose come stanno, senza infingimenti che accarezzano i timori e le lamentele dei cittadini per edulcorare il loro umore, né terrorismo informativo che fa indebite pressioni sulla loro libertà e responsabilità per forzare un’adesione senza “se” e senza “ma” alle misure profilattiche.

2. Oggi vaccinati non significa “impermeabili al virus”

Tempi.it: Professor Colombo, cosa si sa del periodo di azione del vaccino: per quanto tempo potrà avere effetti sulla persona e sulla comunità e con quale durata di immunità?
Roberto Colombo: Non disponiamo ancora di dati affidabili sulla durata della immunità conferita dai diversi tipi di vaccini che hanno completato o stanno completando la fase III della sperimentazione clinica. E questo è comprensibile, perché il periodo di osservazione degli studi sui volontari che hanno ricevuto il vaccino è stato sinora troppo breve. Come ha scritto pochi giorni fa sul New England Journal of Medicine un gruppo di ricercatori e medici statunitensi che stanno studiando i vaccini basati sulla biotecnologia del mRna (è il caso del vaccino mRna-1273 di Moderna, da loro indagato, ma anche del BNT162b2 di Pfizer-BioNTech), «le risposte longitudinali del vaccino [cioè nel tempo successivo alla sua inoculazione] sono di una importanza critica e per questo è in corso una analisi di tipo follow-up [controllo periodico programmato dei vaccinati] per valutare la sicurezza e la immunogenicità [del vaccino] nei partecipanti [allo studio] per un tempo di 13 mesi». Siamo ancora lontani da questo traguardo della ricerca. I dati preliminari consento solo di osservare che «gli anticorpi neutralizzanti presenti nel siero [dei vaccinati] continuano ad essere osservati in tutti i partecipanti [allo studio] 119 giorni […] dopo la prima vaccinazione (90 giorni dopo la seconda vaccinazione)». Mancano ancora 10 mesi di osservazione per completare lo studio di follow-up indicato dagli autori, i quali concludono affermando che, «sebbene i correlati della protezione [vaccinale] contro l’infezione da Sars-Cov-2 non sono ancora stati accertati, questi risultati mostrano che, nonostante l’atteso lieve declino dei livelli degli anticorpi leganti e neutralizzanti, il [vaccino] mRna-1273 ha la potenzialità di fornire una immunità umorale duratura». Quanto duratura, per ora non possiamo dirlo. Si noti, tra l’altro, che il campione di vaccinati sperimentalmente preso in esame dagli autori è di soli «34 adulti sani che hanno partecipato allo stesso studio ricevendo [ognuno] due iniezioni di vaccino alla dose di 100 microgrammi» a 28 giorni di distanza l’una dall’altra, e che i soggetti di studio hanno tutti una età superiore ai 18 anni (nulla sappiano di come si comporti lo stesso vaccino nei bambini e negli adolescenti).

Tempi.it: Non sappiamo quanto siano duraturi, però i produttori hanno più volte sottolineato, con dovizia di percentuali, l’efficacia dei loro vaccini.
Roberto Colombo: Una pubblicazione scientifica ancora più recente (10 dicembre) apparsa on-line sulla stessa rivista medica, che riguarda il vaccino BNT162b2, ribadisce quanto precedentemente annunciato dal produttore Pfizer-BioNTech che il preparato ha una «efficacia del 95 per cento nel prevenire il Covid-19 (intervallo di credibilità al 95 per cento: 90.3–97.6)». Il modello statistico assunto per ricavare l’efficacia è quello Bayesiano con distribuzione beta-binomiale. È necessario però ricordare che questo valore così elevato si riferisce alla efficacia in condizioni sperimentali, con un protocollo di studio molto rigoroso ed una organizzazione di reclutamento dei vaccinandi e di tempistica delle inoculazioni altamente efficiente. Come l’esperienza su altri vaccini insegna (in primis, quella suoi vaccini anti-influenzali), l’efficacia pratica, nella prassi ordinaria della sanità, è sempre inferiore a quella determinata sperimentalmente e potrebbe non superare il 70 per cento. In questa seconda pubblicazione non viene preso in considerazione il quesito sulla durata della immunizzazione anti-coronavirus conferita dal vaccino e non sono riportati dati sui livelli di anticorpi leganti e neutralizzanti presenti nel siero dei vaccinati a distanza di tempo dalla somministrazione delle due dosi di vaccino (30 microgrammi, a distanza di 21 giorni l’una dall’altra). Comunque, anche in questo studio il periodo di osservazione clinica è stato sinora breve, «con un tempo medio di follow-up di due mesi dopo la seconda dose» di vaccino. Anche se fossero stati presentati, i dati sui livelli di anticorpi presenti a tale data non avrebbero aggiunto ulteriori informazioni utili sulla durata dell’effetto immunizzante dei vaccini a mRna rispetto a quanto riportato dagli autori che hanno pubblicato il 3 dicembre sulla stessa rivista.

Tempi.it: Deborah Fuller, esperta di vaccini presso l’Università di Washington, ha detto inoltre che non si sa ancora se i vaccini Pfizer-BioNTech e Moderna proteggano completamente le persone dall’infezione virale o solo dai sintomi del Covid-19. In altre parole, le persone vaccinate potrebbero ancora essere suscettibili di venire infettate e potrebbero trasmettere il virus. È corretto?
Roberto Colombo: La vaccinazione anti-virale può produrre due tipi di immunità nei soggetti vaccinati: quella cosiddetta “sterile” e quella “non sterile”. I vaccini sinora sviluppati ed utilizzati nella profilassi inducono quasi tutti una immunità non sterile. Fanno eccezione quelli contro l’epatite di tipo A e contro l’infezione da papillomavirus umano (Hpv), che hanno dimostrato di essere efficaci sia contro la manifestazione dei sintomi della malattia, sia contro le infezioni asintomatiche. Si tratta di una sorta di “impermeabilità al virus”. Nel caso degli altri vaccini, quelli che forniscono una immunità non sterile, essi prevengono l’insorgenza della malattia con i suoi sintomi, ma non proteggono dalla infezione virale che la causa, così che il soggetto vaccinato – qualora entri a contatto con il virus in condizioni contagiose – può sviluppare una infezione asintomatica e potrebbe trasmettere ulteriormente il virus ad altri soggetti. Oggi non abbiamo dati scientifici affidabili per rispondere alla domanda su quale dei due tipi di immunità sarà indotta dai vaccini anti-Covid.

Tempi.it: Però è una domanda enorme, cosa ci dice l’esperienza di altri coronavirus?
Roberto Colombo: Uno dei pochissimi studi che hanno messo a tema la questione (di notevole rilevanza per quanto concerne il contenimento della pandemia attraverso la profilassi vaccinale) è quello pubblicato on-line come pre-print sul sito BioRxiv da un gruppo di ricercatori statunitensi (National Institutes of Health) e inglesi (Jenner Institute). Utilizzando il macaco come modello animale sperimentale, gli studiosi hanno osservato che l’inoculazione di un vaccino genetico che induce la produzione della proteina spike del coronavirus (come fanno i vaccini di Pfizer-BioNTech e Moderna) da parte delle cellule del corpo porta ad una protezione dell’animale nei confronti della polmonite bilaterale e ad una riduzione della replicazione virale nei polmoni, ma non ha effetto di contenimento della carica virale nelle vie aeree superiori, quelle maggiormente implicate nella trasmissione della infezione da soggetto a soggetto. Occorre assumere con cautela le conclusioni di questo e altri studi su modelli animali, perché l’organismo umano potrebbe rispondere in modo differente al medesimo tipo di vaccino. Ma questi dati non sono comunque una buona notizia. Anche a prescindere da questi risultati sull’animale, le esperienze che abbiamo con altri coronavirus e con i virus che provocano infezioni delle vie aeree superiori, suggeriscono che non ci si deve aspettare che i vaccini anti-Covid conferiscano una immunità sterile. Ma, come ha dichiarato il coordinatore dello studio, Vincent J. Munster, «trasformare la malattia [Covid-19] da polmonite a raffreddore è comunque un grande passo avanti». Ci auguriamo che possa essere davvero così: se non proprio un raffreddore, in una sindrome simil-influenzale che verosimilmente continuerà ad accompagnarci ancora per parecchio tempo.

Tempi.it: Scusi, ma se col vaccino abbattiamo nella popolazione solamente o prevalentemente il numero di soggetti positivi sintomatici, come faremo a sapere se il virus circola ancora e in che misura?
Roberto Colombo: Per monitorare l’andamento della diffusione del virus nella popolazione vaccinata si dovrà ricorrere non alla registrazione delle manifestazioni sintomatiche e neppure ai comuni test immunologici, ma alla rilevazione della presenza del Rna virale attraverso i test molecolari (tampone rinofaringeo o altri). Il tampone molecolare specifico per il betacoronavirus Sars-Cov-2 col tempo, quando l’immunizzazione di ampie fasce della popolazione sarà stata raggiunta o per via infettiva o tramite la vaccinazione, tornerà ad essere ciò che in origine è, secondo la natura di questo strumento di laboratorio: un test utile per la ricerca e per le indagini epidemiologiche, non un sostituto della diagnosi clinica di Covid-19, che dovrà anzitutto basarsi sulla valutazione di segni e sintomi specifici di questa malattia, che in questi mesi abbiamo imparato a conoscere con sempre maggiore precisione. Solamente quando strettamente necessario per una diagnosi differenziale non altrimenti formulabile si dovrà ricorrere alle indagini molecolari per l’identificazione del Rna virale.

3. Non esistono cavie del vaccino. Tutto il processo è sperimentale

Tempi.it: Professor Colombo, in merito a possibili effetti collaterali, l’Ema sottolinea che «con l’autorizzazione [alla distribuzione] predisporremo misure stringenti di monitoraggio su tutta la popolazione, inclusi gli anziani». È un modo scientificamente presentabile per dire che gli anziani – i primi a ricevere il vaccino insieme agli operatori sanitari – sono al momento le “cavie” per una ulteriore valutazione del vaccino?
Roberto Colombo: La sperimentazione clinica dei farmaci, dei vaccini e di altri prodotti biotecnologi ad uso umano non si ferma alla Fase III, quella che deve fornire i dati per l’autorizzazione che le Agenzie governative sono chiamate a rilasciare per la immissione in commercio e la somministrazione di questi preparati. Vi è anche la Fase IV, che segue l’inizio e la prosecuzione dell’utilizzo effettivo del prodotto da parte dei pazienti attraverso la prescrizione medica. Questa ulteriore fase della sperimentazione – in realtà, tutta la pratica della medicina e della chirurgia è un processo “sperimentale”, nel senso che gli interventi medici o chirurgici producono evidenze che sono oggetto di continuo studio empirico per valutare l’appropriatezza e l’efficienza dell’assistenza sanitaria prestata ai malati – si fonda sulla farmacovigilanza. Anche dopo la commercializzazione, il nuovo prodotto viene tenuto sotto controllo per rilevare eventi avversi o problemi eventualmente sfuggiti agli studi di fase I-III, perché si manifestano molto raramente o a lungo termine, oppure solo in particolari condizioni o in determinati soggetti. Questi studi (mai definitivamente chiusi finché il farmaco o il vaccino è in uso) possono riguardare milioni di pazienti, e consentono analisi statistiche sempre più robuste, con un campione di scala così grande da consentire di rilevare effetti sulla morbosità e/o mortalità che riguardano una percentuale molto ridotta della popolazione, non rilevabili negli studi condotti prima della autorizzazione e commercializzazione su gruppi contenuti di volontari.

Tempi.it: Sarà così anche per i vaccini contro il Covid-19?
Roberto Colombo: Certamente. Ciò non di meno, una differenza (e non di poco conto) è legata alla eccezionale brevità della Fase III della loro sperimentazione, che sta portando ad una approvazione “di urgenza” della loro commercializzazione e della loro somministrazione. In questo caso, la Fase IV dovrebbe anche supplire – almeno in parte – alle carenze nella numerosità campionaria e/o nella estensione del periodo di osservazione degli effetti del vaccino verificatesi nella Fase III “accellerata”, evidenziando eventuali effetti e/o eventi avversi che avrebbero potuto affiorare in una Fase III più “distesa” perché non così rari o riguardanti categorie cliniche non così esigue nella popolazione. Non parlerei di vaccinati come “soggetti di sperimentazione” nella stessa misura dei volontari arruolati nella Fase III che precede l’autorizzazione del vaccino anti-Covid, ma, piuttosto, di “soggetti controllati” clinicamente in modo più frequente, completo e prolungato di quanto non accada in chi ha ricevuto un vaccino introdotto nella pratica medica con una procedura ordinaria. Questi controlli (follow-up) saranno utili per trarre conclusioni sempre più robuste sulla efficacia e sicurezza del farmaco, in particolare in alcune categorie di soggetti. È comunque necessario (eticamente e giuridicamente) informare ciascuno di essi sulla possibilità di eventi avversi che potrebbero manifestarsi a seguito della inoculazione del vaccino ed ottenere il loro consenso scritto alla procedura profilattica.

Tempi.it: Dopo aver registrato, nelle prime ore della campagna vaccinale, casi di reazione al vaccino Pfizer-BioNTech tra due operatori sanitari 40enni inoculati, l’Agenzia britannica del farmaco (Mhra) raccomanda di non sottoporre a vaccinazione chi abbia «una significativa storia clinica» di allergie. Come dobbiamo prendere questa e le altre segnalazioni di reazioni indesiderabili? Eccesso di prudenza? Oppure, in tema di sicurezza dei vaccini, esse hanno un significato rilevante?
Roberto Colombo: Mi sarei stupito se questi eventi avversi non si fossero verificati. L’anafilassi (una reazione allergica grave, a esordio molto rapido, che, se non trattata in modo adeguato con farmaci appropriati, può mettere a rischio anche la vita del paziente) è nota da lungo tempo come evento avverso dopo la somministrazione di farmaci e vaccini. In Europa, ogni anno, il numero di casi di anafilassi è compreso tra 1.5 e 7.9 ogni 100 mila soggetti. La frequenza nella popolazione generale è di circa lo 0.3 per cento, ma i casi ad esito fatale sono molto rari: circa lo 0.001 per cento. La rilevazione dei due casi britannici segnalati (che – come viene riferito – avevano già sofferto in passato di risposte esagerate del loro sistema immunitario, e per questo portavano sempre con sé la EpiPen, un dispositivo per la autosomministrazione di adrenalina in emergenza) rappresenta un esempio di studio di Fase IV di cui abbiamo parlato in precedenza.

Tempi.it: Ma per questi soggetti fortemente allergici esistono alternative?
Roberto Colombo: Prima di ogni vaccinazione (anche quelle più comuni, come l’anti-influenzale) è opportuno includere nell’anamnesi del paziente una valutazione della storia di eventi allergici, inclusi quelli ai farmaci e a precedenti vaccinazioni. Nel caso della vaccinazione anti-Covid, la disponibilità di diversi preparati a composizione differente potrebbe non escludere la possibilità che anche i soggetti con storia clinica di reazioni allergiche siano eleggibili per la profilassi vaccinale.

4. La corsa ai vaccini (e vaccini fatti di corsa)

Tempi.it: L’Ema ha anticipato al 21 dicembre la decisione sul vaccino Pfizer/BioNTech, seguirà quella sul vaccino di Moderna. A tema per l’autorizzazione c’è il controllo della qualità della catena di produzione e la capacità delle aziende di preparare il vaccino su larga scala. Questo prodotto richiede però anche condizioni particolari per la conservazione a bassa temperatura, che deve raggiungere addirittura i ̶70/ ̶ 80 °C per quello di Pfizer-BioNTech. L’Italia è attrezzata per la crioconservazione di un numero elevato di dosi?
Roberto Colombo: Il problema dello stoccaggio e della distribuzione a bassa temperatura dei vaccini anti-Covid (in particolare il BNT162b2 di Pfizer-BioNTech, richiede temperature inferiori a quelli dei comuni vaccini e ottenibili solo con un ultracongelatore; l’mRna-1273 di Moderna è stabile anche in un normale congelatore) rappresenta sicuramente un problema serio da affrontare per la predisposizione di un piano di vaccinazione che comprende l’inoculazione di decine o centinaia di milioni di dosi. Mentre la disponibilità di congelatori (simili a quelli che usiamo nelle nostre case per gli alimenti), anche di grande capienza e adatti alla mobilità, è alla portata di aziende, ospedali e ambulatori pubblici e privati, gli ultracongelatori sono strumenti molto ingombranti e abbastanza costosi, di scarsa presenza negli ospedali e centri di ricerca, e di ridotta capienza e difficile mobilità.

Tempi.it: Quindi come si risolve il problema della distribuzione?
Roberto Colombo: Le aziende produttrici e di commercializzazione di questi vaccini sono consapevoli della complessità della questione e si stanno attrezzando per predisporre confezioni in contenitori termicamente isolati e adatti per il trasferimento a lunga distanza per via aerea e terrestre. È importante che le confezioni contengano ciascuna un numero non eccessivo di dosi rispetto al numero di inoculazioni che è possibile effettuare ogni giorno in ciascun “punto vaccinale” che sarà predisposto dal servizio sanitario nelle diverse località, così che non si debbano riportare a temperatura ambiente (prima della iniezione intramuscolare) dosi in eccesso rispetto al fabbisogno immediato. Come per tutti i prodotti biologicamente attivi e delicati, non è possibile “ricongelare” le dosi una volta che sono state “scongelate”. Tuttavia, anche il vaccino Pfizer-BioNTech ha un periodo di tempo (limitato) in cui può restare attivo anche a temperature superiori a quelle di crioconservazione, consentendo così un regolare svolgimento della pratica di vaccinazione senza andare di corsa.

Tempi.it: Il rischio (attesa appunto l’inoculazione di decine o centinaia di milioni di dosi) è che sia la macchina organizzativa a rallentare la profilassi.
Roberto Colombo: Sul versante della organizzazione nazionale e territoriale della “operazione vaccinazione anti-Covid” – una operazione dalle dimensioni poderose, senza precedenti per numerosità di inoculazioni e tempistica – sussistono alcuni interrogativi (leciti, senza cadere in pregiudizi nei confronti del sistema sanitario e delle altre forze messe in campo dal Governo italiano per questa operazione) sulla tenuta di una “macchina” così complessa e articolata. In particolare, sono da considerare tre fattori: la effettiva disponibilità del personale sanitario incaricato di eseguire la vaccinazione per coprire tutti i turni che saranno richiesti in tutti i “punti vaccinali” sparsi sul territorio nazionale; la organizzazione (supportata da servizi informatici a copertura nazionale e regionale) di convocazioni ordinate, rapide e sicure dei chiamati alla vaccinazione; e una informazione certa e accessibile ai cittadini per quanto concerne le modalità della vaccinazione e la loro chiamata su appuntamento, che li raggiunga capillarmente e rapidamente ovunque essi risiedano e indipendentemente dalla loro familiarità o meno con i mezzi di comunicazione informatici e on-line. Se il numero degli appuntamenti per la vaccinazione che vanno perduti per mancanza di presentazione del convocato al tempo programmato fosse elevato, il rischio che molte dosi di vaccino non siano più utilizzabili diventa un problema grave.

Tempi.it: L’Italia ha prenotato oltre 202 milioni di dosi di vaccini, compreso anche quello di Oxford-AstraZeneca. In un’analisi provvisoria pubblicata su Lancet questo preparato ha mostrato di avere un’efficacia del 62.1 per cento se somministrato in due dosi intere, e del 90 per cento nei volontari che hanno ricevuto mezza dose seguita da una dose intera. Quanto dobbiamo fare affidamento sulle percentuali di efficacia che escono da queste analisi (e sono state sbandierate dalle aziende produttrici) in questa fase neonatale del vaccino?
Roberto Colombo: Il vaccino AZD1222 di Oxford-AstraZeneca ha due notevoli vantaggi. Secondo le promesse dell’azienda, costerà 2.50 euro a dose: da sei a dieci volte più economico di quello dei suoi due concorrenti, i vaccini di Pfizer-BioNTech e Moderna. Inoltre non richiede per lo stoccaggio temperature da congelatore (come l’mRna-1273 di Moderna) o ultracongelatore (come il BNT162b2 di Pfizer-BioNTech), ma può essere conservato in un ordinario frigorifero a temperature di +2/+8 °C. Certamente, l’efficacia e la sicurezza valgono per la salute assai più della facilità di conservazione. I responsabili della ricerca e sviluppo di Oxford-AstraZeneca sono consapevoli della inconcludenza dei dati preliminari di Fase III per AZD1222 sinora presentati e hanno predisposto una estensione dello studio clinico sperimentale sul loro vaccino prima di proporlo per la commercializzazione e la somministrazione ai cittadini. Si tratta di una decisione che mostra una serietà e responsabilità di alto profilo scientifico, etico e sociale, in modo particolare nel momento in cui la “corsa al vaccino” da far approvare sembra nascondere un “vaccino fatto di corsa”, (forse) troppo in fretta per offrire tutte le garanzie di efficacia, sicurezza e accessibilità necessarie.

Tempi.it: Cosa “non è andato” durante questa fase?
Roberto Colombo: Due questioni principali restano aperte per il vaccino di Oxford-AstraZeneca, che l’estensione dello studio sperimentale potrà superare. «Il campione [dei soggetti studiati, trattati e non trattati con il vaccino] rimane insufficiente per trarre conclusioni», ha affermato la specialista in malattie infettive Odile Launay, che coordina il Centre d’Investigation Clinique Vaccinologie Cochin-Pasteur di Parigi. Inoltre, il campione «non comprende alcuna persona di età superiore ai 55 anni». È noto, infatti, che l’età è tra i principali fattori di rischio per le conseguenze del Covid-19 e gli anziani saranno tra i primi a essere chiamati all’appello per la vaccinazione.

5. Vaccino obbligatorio? «Senza la libertà non si fa il bene comune»

Tempo.it: Ancora non conosciamo la durata dell’immunità, né sappiamo se un vaccinato possa infettare ancora o meno. Non sappiamo nemmeno quando la popolazione “più attiva” potrà essere sottoposta a vaccinazione. Eppure in molti spingono sul cosiddetto “patentino di immunità”, ovvero un documento per dare accesso a luoghi e servizi solo a chi ha fatto il proprio dovere e ricevuto la dose di vaccino. Di più, il costituzionalista Gaetano Azzariti la settimana scorsa dichiarava al Foglio che «il diritto alla salute è importante quanto il principio di uguaglianza» e la discriminazione tra vaccinati e non vaccinati sarebbe possibile dal punto di vista costituzionale se regolata da una legge statale. Lei cosa pensa di una legge sull’obbligatorietà vaccinale per il Covid?
Roberto Colombo: La questione della obbligatorietà o meno di una pratica profilattica come la vaccinazione è assai complessa e delicata, sia sotto il profilo antropologico, etico, medico e psicologico che sul versante sociale, giuridico (anche di rango costituzionale) e politico. Sul piano antropologico ed etico, la considerazione del cittadino come soggetto di libertà (il cui esercizio può subire, in determinate circostanze, delle limitazioni quando al “libero arbitrio”, ma mai essere negata o coartata quanto all’autodeterminazione, perché l’uomo resta sempre e comunque aperto al proprio destino, al compimento di sé, cui la corporeità non è estranea né marginale) solleva domande ineludibili sulla correttezza di un “piano di vaccinazione di massa” che non veda la persona al centro di esso. La persona con la sua originale struttura antropologica che ne fonda la soggettività meritevole di rispetto incondizionato, di tutela fattiva e di promozione. La società si fonda sulla persona nella sua dimensione di relazionalità con le altre persone, non la persona si relaziona alla società come se ad essa fosse meramente strumentale. Il bene comune (come, in questo caso, la salute) è bene di tutti se e solo se è bene di ciascuno. In quanto bene della persona è bene della società. Una società “sana” è una società che riconosce, tutela e promuove la salute di ciascuno dei suoi membri. E la salute è una opzione della libertà, dell’io che si autodetermina come chiamato alla integrità del corpo e dello spirito.

Tempi.it: C’è chi sostiene che bisogna “espropriare” la persona dalla gestione individuale della propria salute per garantirla a tutti.
Roberto Colombo: La salute dei cittadini non è una scelta sociale e politica che si impone ad essi a prescindere dalla loro libertà, senza il coinvolgimento di essa. Anche quando questo coinvolgimento nel perseguire l’obiettivo comune – il bene della salute – deve fare i conti con la possibilità di una resistenza o di una negazione del consenso, per evitare la quale devono essere messe in campo tutte le possibilità (anche le più onerose in termini di impegno culturale, sociale e politico) prima di prendere in considerazione, quale extrema ratio – la coercizione. Come è noto, il trattamento sanitario obbligatorio (eticamente e giuridicamente accettabile, in determinate condizioni) scatta solo quando vi è documentata evidenza di una assenza di libertà del soggetto, di una incapacità di autodeterminazione in ordine al bene della propria persona secondo la dimensione antropologica della coscienza di sé e della ragionevolezza. Sul piano medico e psicologico, occorre tenere presente che la vaccinazione è un atto “invasivo” nei confronti del corpo (certamente “mini-invasivo”, come può essere una iniezione intramuscolare), tocca cioè la sfera antropologicamente e psicologicamente rilevante della corporeità della persona. La decisione se farsi inoculare un vaccino, quale farsi somministrare tra i diversi preparati disponibili e quando farsi vaccinare (per esempio, in dipendenza dei dati sulla sicurezza ed efficacia del prodotto, delle proprie condizioni di salute e aspettative di vita, delle relazioni affettive, familiari, lavorative, scolastiche, sociali, sportive o ricreative, ed altro ancora) non può che essere considerata – in prima e forte istanza – come una prerogativa della persona e non dello Stato o di una autorità da esso delegata.

Tempi.it: Ma il governo può costringere con decreto o dpcm le persone all’inoculazione o “punirle” in caso di mancata adesione?
Roberto Colombo: L’articolo 32 della Costituzione italiana prevede che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge». In teoria (punta di diritto), il Governo nazionale potrebbe ipotizzare il ricorso all’obbligo di vaccinazione per tutti i cittadini o per determinate categorie di essi (soggetti anziani, operatori socio-sanitari, addetti a servizi pubblici essenziali, forze militari, di polizia e di pubblico soccorso, insegnati, studenti e altre ancora), ma questo – in un regime democratico e uno stato di diritto – dovrebbe avvenire praticamente solo attraverso il ricorso ad una legge approvata dal Parlamento a seguito di un ampio dibattito (non certo con un atto autocratico del Governo), trattandosi di decisione che rimanda direttamente ed esplicitamente al diritto costituzionale. Inoltre, le sanzioni previste per chi non ottemperasse a tale obbligo di legge non potrebbero che essere amministrative, riguardando ammende pecuniarie ed eventualmente la esclusione dei non vaccinati dalla partecipazione ad attività o presenza in luoghi che prevedono l’incontro con altre persone suscettibili di venire infettate. La coercizione fisica o la condanna alla privazione della libertà non sono configurabili nella misura in cui il soggetto scelga (o sia obbligato) di avvalersi di altre valide misure profilattiche per evitare l’eventuale contagio di sé o degli altri: mascherina, occhiali od altri dispositivi di protezione individuale; igienizzazione delle mani; disinfezione dei locali in cui soggiorna; distanziamento fisico e ricambio d’aria; non accessibilità a determinati spazi od attività; ed altro ancora. Se l’obiettivo della profilassi (di cui la vaccinazione è solo una delle pratiche possibili) è la prevenzione della diffusione del coronavirus, come condannare ad una pena detentiva chi scegliesse e documentasse di attuare efficacemente azioni riconosciute sinora come utili per contenere la pandemia anziché sottoporsi alla immunizzazione indotta da un vaccino, esibendo le accettabili ragioni di questa scelta?

Tempi.it: Neanche l’emergenza giustifica quella che in molti stanno invocando come «una forma d’obbligo» a vaccinarsi?
Roberto Colombo: Il vaccino è uno strumento prezioso e deve essere promosso per tutti dopo una rigorosa validazione delle sue caratteristiche di sicurezza, efficacia e accessibilità. È un bene per la persona e per la società. Un bene comune. Ma come ogni bene deve essere offerto alla libertà e scelto dalla libertà di ognuno, non imposto. Senza il coinvolgimento attivo della libertà del cittadino – non escludendo il caso serio che la risposta non vada nella direzione auspicata – è dietro l’angolo lo scivolone verso il collettivismo o l’individualismo, tanto lontani tutt’e due dalla prospettiva del bene comune. Certo, sappiamo che la strada del coinvolgimento attraverso l’informazione, l’educazione e il consenso guadagnato onestamente è assai più lunga e faticosa di quella della imposizione autoritaria, che rischia di divenire dispotica. Ma sono un tempo e una fatica ben spesi, per “fare bene” il bene di tutti. Il bene va fatto per libertà, non per forza. Come scriveva San Paolo al suo collaboratore Filèmone, «non ho voluto far nulla senza il tuo parere, perché il bene che farai non sapesse di costrizione, ma fosse spontaneo» (Fm 1, 14). Anche il bene della profilassi individuale e sociale contro il flagello del Covid-19 non fa uno strappo a questo sano principio etico e civico, pur nella eccezionalità della situazione sanitaria in cui ci troviamo. L’emergenza non cancella la vocazione alla libertà attraverso la quale si costruisce la solidarietà, l’amicizia civica, la dedizione alla costruzione della “casa comune” che è la società. Al contrario, la sollecita come condizione imprescindibile.

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