Rapporto Caritas: Roma sempre più povera

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Quasi il 10% della popolazione romana non riesce ad affrontare spese improvvise o quelle legate all’abitazione come mutuo, locazioni, spese condominiali, bollette. E il 7% vive in condizioni di grave deprivazione abitativa: immobili insicuri o precari, immobili mal riscaldati o in condizioni igieniche inadatte, alloggi in strada come roulotte, tende o baracche, un dato superiore di quasi 2 punti percentuali rispetto a quello nazionale che arriva 5%.

Una povertà che è cresciuta con la pandemia: quasi 7.500 persone che si sono rivolte per la prima volta ai centri d’ascolto delle Caritas parrocchiali; raddoppiate le tessere per l’emporio della solidarietà; più 28,7% l’attività delle mense. E’ l’allarme che la Caritas di Roma ha presentato nell’annuale rapporto ‘La povertà a Roma: un punto di vista’.

E proprio l’emergenza sanitaria e sociale ha cambiato profondamente la città: “Nel Lazio si profila un netto processo di impoverimento diffuso nascente anche da uno stato di profondo scoraggiamento della popolazione, come se il moltiplicatore di disagio rappresentato dal Covid-19 avesse azzerato le aspettative e i legittimi sogni di una fascia di popolazione”.

Secondo la Caritas l’avvento del Covid-19 ha trovato una città in forte affanno: nel 2019 già si registrava un forte peggioramento delle condizioni di precarietà socio-economica sofferta da un numero sempre maggiore di persone e di famiglie e allo stesso tempo l’allargamento della forbice tra classi sociali, con forti polarizzazioni:

“Tra gli indici più aggiornati si possono citare quelli BES 2020 (Relazione sugli indicatori del benessere equo e sostenibile del Ministero dell’Economia e delle Finanze) da cui si evince l’allarmante dato relativo all’aumento della deprivazione materiale che sta colpendo la città: il 9,4% della popolazione romana si trovava infatti in difficoltà a causa dell’impossibilità di poter affrontare spese improvvise o quelle legate all’abitazione (mutuo, locazioni, spese condominiali, bollette).

Allo stesso tempo anche il dato della grave deprivazione abitativa (immobili insicuri o precari, immobili mal riscaldati, immobili in condizioni igieniche inadatte, alloggi in strada – roulotte o tende, ecc.) segna un andamento in accelerazione, con una percentuale del 6,9% sull’intera popolazione, superiore di quasi 2 punti percentuali rispetto al dato nazionale (pari al 5%). Complessivamente, nella Capitale, la quota di popolazione a rischio povertà è del 18%”.

Ancora più preoccupante è la misurazione Istat su base nazionale del sovraffollamento abitativo: nel 2018 il 27,8% delle persone vive in condizioni di sovraffollamento abitativo. Tale condizione di disagio è più diffusa per i minori, il 41,9%, dato che penalizza drammaticamente non solo la vita privata nell’abitazione ma anche la concentrazione e la partecipazione alla didattica a distanza in situazione Covid.

I dati contenuti nel Rapporto 2019 della Caritas romana vedevano una notevole disuguaglianza nella distribuzione dei redditi con l’aumento di sacche di disagio sociale. Circa il 40% dei contribuenti romani presentava un reddito fino ad € 15.000, un altro 40% tra € 15.000 e 35.000. Solo il 17,5% della popolazione dichiarava redditi imponibili tra € 35.000 e 100.000.

Anche le 35.780 domande per il Reddito di Cittadinanza nel solo a Roma nell’ultimo anno hanno riguardato ben 80.351 persone (coinvolgendo il nucleo familiare del richiedente); mentre le Pensioni di Cittadinanza hanno coinvolto 6.629 persone. Tutte le prime dieci aree romane per incidenza di domande accolte sono periferiche e caratterizzate dalla presenza di consistenti insediamenti di edilizia popolare o da borgate ex abusive.

Inoltre sono state 7.476 le persone che si sono rivolte per la prima ai centri di ascolto delle Caritas parrocchiali nel corso dei primi nove mesi del 2020. Queste si aggiungono alle 40.607 persone che le parrocchie avevano già preso in carico nel corso degli anni, di queste 13.684 erano quelle seguite con continuità (incontrate più volte nel corso dell’anno). Complessivamente, quindi, le persone che in questa fase hanno ricevuto aiuto dai centri di ascolto parrocchiali sono state 21.160 su 48.083 iscritte nei database delle parrocchie.

Nel 48,7% dei casi le nuove persone (7.476) che si sono rivolte ai centri parrocchiali sono italiani, seguiti da filippini (16,3%), peruviani (4,9%), romeni (4,7%) e altre 97 nazionalità. Nel 64,4% dei casi, il rappresentante della famiglia che ha varcato per la prima volta la soglia del centro di ascolto è una donna. La suddivisione per classi di età ci dice che il 54% dei nuovi iscritti sono al di sotto dei 45 anni (4,1% al di sotto dei 25 anni), mentre gli ultrasessantacinquenni sono il 14,7%.

In questo periodo le parrocchie romane hanno rappresentato una sorta di attrattori di energie, disponibilità, risorse che volevano impegnarsi per la collettività e che forse si sarebbero disperse in assenza di riconoscibili punti di coagulo. Un dato, quest’ultimo, di grande importanza sociale: la rete delle parrocchie rappresenta nei fatti sul territorio la possibilità di convogliare un capitale sociale sommerso, una sensibilità che potrebbe restare altrimenti silente o addirittura scoraggiarsi e inabissarsi.

Un altro aspetto fondamentale degli spazi di gratuità sollecitati dalla pandemia è dato dall’andamento del flusso dei volontari. Come si è già sottolineato, i primi mesi hanno registrato una brusca diminuzione. Un dato facilmente comprensibile se si considera che tra i volontari la presenza degli over60 è certamente importante, e che dunque comprensibili forme di preoccupazione per la propria salute e la propria incolumità hanno certamente tenuto a casa un buon numero di volontari.

E così, per oltre la metà dei centri d’ascolto il numero dei volontari disponibili non ha superato il numero di cinque. Nel 71,3 % il calo dei volontari è associato al timore del contagio mentre nel 57,3 % dei casi i volontari si sono ritirati a causa dell’età avanzata.

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