Mons. Battaglia: Napoli è la città della bellezza

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Sabato scorso papa Francesco ha eletto il vescovo di Cerreto Sannita-Telese-Sant’Agata de’ Goti, mons. Domenico (Mimmo) Battaglia, nuovo Arcivescovo metropolita di Napoli. Nato nel 1963 a Satriano in provincia di Catanzaro, è sacerdote dal 1988. Dal 1989 al 1992 è rettore del seminario liceale di Catanzaro e membro della Commissione Diocesana Giustizia e Pace, mentre dal 1992 al 1999 è amministratore parrocchiale a Sant’Elia, parroco della Madonna del Carmine a Catanzaro, e direttore dell’Ufficio Diocesano per la Cooperazione Sanitaria nelle Chiese.

Inoltre dal 1992 al 2016 guida il Centro Calabrese di Solidarietà, una comunità per il recupero di tossicodipendenti; dal 2000 al 2006 è vicepresidente della Fondazione Betania di Catanzaro; dal 2006 al 2015 è presidente nazionale della Federazione Italiana delle comunità terapeutiche.

Appena ufficializzata la nomina il card. Sepe, particolarmente commosso, ha letto la lettera del nuovo arcivescovo di Napoli: “Continua a sostenermi quella pagina del Vangelo in cui il cieco di Gerico, rincuorato dall’invito ‘Coraggio! Alzati, ti chiama’ (Mc 10,49), si alza in piedi e superando la distanza generata dal frastuono della folla e dal tumulto di sentimenti, si riconosce in Gesù capace di seguirlo. La figura del cieco di Gerico provoca ancora oggi la mia vita. La gioia e la pace continuano a essere alimentate dallo sguardo misericordioso di Dio in Gesù”.

Quindi ha rivolto un saluto ai napoletani: “A incoraggiare la mia gratitudine ci sono i volti di coloro che nella fiducia mi hanno accolto per primi come padre, fratello, compagno di strada. Sono nel mio cuore con me, mentre volgo il mio saluto a voi.

Tutto questo lo vivo nella consapevolezza che un Vescovo è inviato a prendersi cura di tutti coloro che il Signore gli affida e che la Chiesa è comunità di fratelli e sorelle che annunciano nel loro accogliersi reciproco la comunione possibile sulla terra. Chiedo già da ora con voi al Signore di confidare sempre nel dono della fraternità, della condivisione della vita e della fede”.

Ed ha raccontato i valori della città: “Napoli, incrocio di bellezza e di ricchezze umane all’ombra del Vesuvio, con la sua complessità e i suoi evidenti problemi, alcuni antichi ed altri nuovi, rappresenta il vero tesoro del nostro Sud, con i suoi limiti e le sue possibilità.

La capacità di resistere, reggendo, per così dire, anche al crollo di molte speranze, che trovo simile a quella della mia gente di Calabria, è la vostra e la nostra risorsa più grande.

Accanto al desiderio di questa umanità che vuole rialzarsi, ci sono tanti che sperano e lottano ogni giorno per la giustizia, l’onestà, l’uguaglianza e la preferenza verso i più deboli, ma anche per la mancanza del lavoro, che rimane la vera piaga di questa nostra società. Con questa speranza, con questa forza, desidero venire tra voi e condividere la vita e il cammino della nostra fede battesimale”.

Il primo di questi valori è l’ospitalità: “Tra i valori che più apprezzo nella loro evidenza, emergono quelli dell’ospitalità e dell’accoglienza. Lo avete dimostrato in tanti modi: avete accolto uomini di cultura e poveri bisognosi di pane, d’istruzione e di speranza, sacerdoti, santi, che hanno fatto la storia di questa terra verso cui va la riconoscenza mia e vostra. Anche io spero di essere accolto in questa grande famiglia e di diventare parte viva di questa terra”.

Mons. Battaglia ha inviato un pensiero particolare ai fedeli della sua diocesi di Cerreto Sannita-Telese-Sant’Agata de’ Goti: “Chiamato a venire tra voi, dovrò lasciare necessariamente persone che ho amato e che continuo ad amare. Da loro ho ricevuto molto di più di quanto io abbia dato.

Sono ben consapevole che la Chiesa di Napoli richieda tanto impegno e dedizione, per questo confido nella preghiera e nella corresponsabilità che realmente edificano la Chiesa. E’ questo il sogno di Dio sulla terra! Egli ci ha chiamati alla vita, vuole la nostra felicità, ci vuole salvare come persone e come comunità radunata nel suo nome”.

Nella lettera il neo arcivescovo ha chiesto di aprirsi alla speranza: “Anche se non conosco ancora i vostri volti, tendo le mie mani a tutti voi. Non solo a chi condivide la speranza cristiana ma a tutti coloro che, in modi diversi, si impegnano ogni giorno, pur nella durezza del vivere quotidiano, a rendere più umana l’umanità, più civile la civiltà.

Vengo con cuore aperto, specialmente verso coloro che sono i feriti della vita, verso tutti i cercatori di Dio e verso tutti quelli che Dio cerca, vengo verso i promotori del bene, della giustizia e della legalità”.

Inoltre mons. Battaglia ha espresso il desiderio di una Chiesa capace di raccontare la speranza: “Vengo come un viandante che desidera camminarvi accanto, convinto che solo insieme possiamo seguire l’unico Maestro e Pastore, Gesù, Signore della vita e della storia!

A Lui dovranno ispirarsi i nostri criteri, i piani pastorali, le scelte concrete, i comportamenti quotidiani. Gesù ci invita ad abitare una Chiesa che esce dai suoi sacri recinti per mettersi al servizio del territorio, a partire dagli ultimi.

Una Chiesa dunque dove non si celebrano solo dei riti ma la vita e le speranze delle donne e degli uomini del nostro tempo. Su questa strada cercheremo di essere insieme artigiani di pace, cercatori di un infinito che intercetta i limiti per farne possibilità, costruttori infaticabili di speranza”.

Mentre nell’ultimo discorso alla città di Napoli nella festa dell’Immacolata nella Chiesa del Gesù Nuovo il card. Crescenzio Sepe ha invitato a non escludere Dio dalla propria vita: “Cambiare la situazione non può essere frutto solamente di progetti e sforzi umani. Le angosce della nostra esistenza sono troppo profonde per essere guarite dai soli espedienti umani. Deve intervenire una gratuita iniziativa di Dio…

Da quando questo virus si è abbattuto sull’umanità intera, seminando panico, sofferenze e morte, sentiamo spesso dire che niente sarà più come prima. Ma è vero che niente è più come prima? Con tutti questi sacrifici, dolori, disagi e sofferenze che stiamo vivendo abbiamo imparato ad essere un po’ fratelli tutti, secondo l’invito di papa Francesco?

Ancora registriamo atteggiamenti di insofferenza, di intolleranza, di indifferenza, di delinquenza, di illegalità e, talvolta, anche di offesa alla persona e di odio”.

Infine ha invitato a riflettere i cittadini sulla responsabilità: “Riflettiamo seriamente su quel niente sarà più come prima e diciamo con coraggio che niente dovrà essere più come prima, sentendoci più comunità, facendo spazio a una maggiore solidarietà, rispettandoci e stringendoci le mani per porci insieme a servizio del bene di tutti.

E allora, ciascuno di noi, per la sua parte e in ragione del proprio ruolo e dei propri doveri, si adoperi perché la pandemia porti un cambiamento reale, una trasformazione del nostro sentire, una concretezza nell’agire e nell’esercizio del potere come nel governo della comunità”.

Ha concluso l’omelia chiedendo di essere generatori di vita: “Dimostriamo che la sofferenza e il dolore, unitamente ai sacrifici e ai disagi, ci hanno resi diversi, uomini veri, più responsabili, più pronti a intercettare e, per quanto possibile, a soddisfare i bisogni e i diritti degli altri; a capire lo stato d’animo di chi è costretto a chiedere aiuto. 

Allora, anche le morti, che abbiamo pianto con tanto dolore, diventeranno generatrici di vita nuova in ciascuno di noi e nella intera comunità, perché si potranno avere più salute, più lavoro, più bene comune, più giustizia e più pace”.

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